
Lettere al direttore
Buon Natale Giggino

Vorrei fare anche io il mio Te Deum e ringraziare Dio anche in quest’anno così faticoso perché, pur tra tante difficoltà, ci ha fatto vedere più da vicino cosa è la vita. Io lo ringrazio perché ho imparato a fare cose nuove, che prima non sapevo fare come, ad esempio, scrivere poesie. E ringrazio Dio che mi ha messo di fianco qualcuno che potesse insegnarmi a scriverle. Ringrazio Dio di aver creato il mondo e di aver mandato suo figlio per rendere “vivibile” la vita.
Benedetto Frigerio
***
Buon Natale Giggino,
come diciamo in Terronia;
ma in Paradiso si può cantare
China su fronte
Si ses sezziddu pesa
Ch’es passende
Sa Brigata tattaresa
Boh! Boh! ? Certo non lo so
Ma all’altro Luigi che sta con te
So che piacevano tutti i tipi di canto.
Come stai Luigi
Arrivato finalmente a destinazione
Dopo una vita da cow boy ciellino?
Te lo chiede un ciellino anomalo,
intermittente come le luci di Natale,
ma non ingessato come un pilone autostradale
– Neanche volendo lo potrei fare –
che ti ha sempre ascoltato estasiato
tutte le volte che in televisione
hai mostrato il più totale disprezzo
per qualsiasi autogol, e io so il segreto:
non sei mai andato in onda
con la scaletta, né in tasca né in testa.
La meraviglia era
Che neanche tu sapevi cosa avresti detto
– E io lo sapevo! –
E inesorabilmente sapevo
Che la presunta obiezione
Era – non si sa dove va a parare.
E tutte le volte ridevo
Anche quando capitava
Che il filo lo perdevi,
anche perché
c’è chi si può permettere di perderlo
e chi no.
Non ti ho mai conosciuto fisicamente,
sospetto di averti incrociato da Giggetto (!)
al Getto
a capotavola di una sterminata famiglia casinista
ci siamo forse anche semisalutati
e tu semiscusato senza convinzione per il chiasso,
ma invece a piazza del Popolo
per una performance di Ferrara
con Anna capitammo proprio vicino
al tuo gruppo effervescente.
Il tuo amico cinico calcistico
(sport uber alles)
Ha scritto per te il più bell’articolo
Col quale concludo
La mia lettera di Natale:
“Di calcio zero,
Ma anche del resto capivi poco.
Scusa, ma è la battuta
Che ci sta in questo momento,
e tu, lo so, stai ridendo”
Rodolfo Granafei
***
“[…] sembra che il mettersi insieme tentando di rispettare ognuno il volto dell’altro possa rappresentare la realizzazione della pace. Ma questa non è pace, è un equivoco. Essa infatti risulta essere – nel migliore dei casi – tolleranza, cioè, radicalmente, indifferenza. Così come di solito è conclamato adesso, il termine ecumenismo sembra indicare l’espressione migliore della buona volontà di chi è buono di cuore ed è al comando della gente, si tratti di capi religiosi o politici. Questo “ecumenismo” […] nel migliore dei casi è un tentativo di tolleranza dove ognuno è attento ai suoi interessi e degli altri prende ciò che gli conviene. Ma, se non si assecondano che i propri interessi particolari, si finisce per guardare gli altri come potenziali nemici, da cui difendersi: davanti a ciò che più interessa, si cessa di fatto di essere tolleranti. Invece, l’ecumenicità cattolica è aperta verso tutti e tutto, fino alle sfumature ultime, pronta a esaltare con tutta la generosità possibile ciò che ha anche una lontana affinità col vero. Ma è intransigente sulla equivocità possibile. Se uno ha scoperto la verità reale, Cristo, avanza tranquillamente in ogni tipo di incontro, sicuro di trovare in ognuno una parte di sè. L’ecumenismo vero scopre sempre cose nuove, così che non c’è mai una totale ripetizione: si è trascinati da un totalizzante stupore de bello. E’ dalla bellezza che nascono continuamente immagini di possibilità insospettate per riparare le case distrutte e costruirne di nuove. Questa apertura fa trovare a casa propria presso chiunque conservi un brandello di verità, a proprio agio dovunque.”
(don Luigi Giussani, da “Generare tracce nella storia del mondo”, 1998, Bur Saggi – cap. 3, par. 4).
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