Bush e la nuova via politica del dopo “ribaltone”

Di Lorenzo Albacete
31 Maggio 2001
Grazie alla maggioranza in Senato, i Democratici più intransigenti sono pronti a far pagare cara a Bush una agenda politica che non tiene in nessuna considerazione il punto di vista dell’opposizione. Ma la via più realistica appare quella del dialogo

Senza dubbio, questa settimana la notizia che ha fatto più discutere gli Usa è stata la decisione del senatore del Vermont James M. Jeffords di lasciare il Partito Repubblicano e prestare il resto del suo mandato come Indipendente. Col risultato che i Democratici hanno adesso la maggioranza (per un voto) al Senato e possono perciò controllare il flusso della legislazione da votare, il processo di approvazione delle nomine presidenziali in campo giudiziario, diplomatico e politico, il potere di disporre gli accertamenti imposti da sanzioni penali, oltre ad avere nelle mani altri vantaggi procedurali. La divisione dei voti al Senato rimane la medesima, (il senatore Jeffords non appoggiava la legislazione conservatrice di Bush) ma sarà molto più difficile per il presidente far approvare la sua agenda legislativa al Congresso. La situazione politica di Washington diventa così più realisticamente rappresentativa delle divisioni tra gli americani. Dopo la vittoria di stretta misura dello scorso novembre, erano in molti a dire che Bush avrebbe dovuto prendere in seria considerazione il fatto che un numero così ampio di cittadini americani si opponessero alla sua linea politica. Tutti, incluso lo stesso Bush, parlavano della necessità di un approccio bipartisan alla politica. Ma i Democratici erano rimasti completamente disorientati da una sconfitta giunta inaspettata e Bush ha sfruttato la situazione per imporre il suo programma senza tenere in nessuna considerazione il punto di vista dell’opposizione. Adesso questa strategia gli si è ritorta contro. La tattica dei Democratici consiste nel rendere al presidente impossibile il governo effettivo della nazione. Tutte le loro chiacchiere sulla necessità di una politica bipartisan oggi non sono più credibili dei tentativi di Bush di vestire con l’abito della moderazione i suoi obiettivi di più stretta osservanza conservatrice. Il futuro non appare tranquillo a Washington, almeno fino alle prossime elezioni del Congresso, tra due anni- sempre che uno dei due partiti guadagni la maggioranza netta. Non ci dovrebbe essere alcun dubbio sulla fiera determinazione dei conservatori a cancellare le “vittorie dei liberal” degli ultimi 8 anni (nonostante molti di loro fossero scontenti dei compromessi di Clinton) e sul fatto che i liberal considerino l’amministrazione Bush come una minaccia mortale. Naturalmente non è affatto politically correct dirlo apertamente perché in pubblico ognuno vuole apparire come l’emblema della moderazione e della cooperazione, visto che nessuno sa con sufficiente sicurezza che cosa ne pensino i cittadini Usa (probabilmente la maggior parte vuole che ognuno faccia silenzio e si occupi piuttosto di salvaguardare il recente progresso economico). Ma se i più ideologicamente partigiani di entrambi gli schieramenti non sembrano avere la disposizione d’animo di chi vuole dialogare con l’avversario, la nuova configurazione del Senato spingerà i più realisti a seguire la via del compromesso.

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