
Bush II e la fine del “multilateralismo dogmatico”
Naturalmente il primo viaggio in Europa del Presidente George Bush ha ricevuto una buona copertura mediatica, ma non ha ottenuto l’attenzione che gli è stata riservata dai media europei. La ragione è, come al solito, lo scarso interesse degli americani per la politica estera. Nessuno ha offerto un approfondimento delle tematiche sollevate da questa visita. La maggior parte dei servizi raccontavano il tentativo d’impedire che apparisse la mancanza di competenza e d’interesse del presidente verso la politica europea (che gli americani trovano divertente e quasi un qualcosa verso cui avere tenerezza), così come l’insoddisfazione dei leader del Vecchio Continente e del “popolo europeo” per la nuova politica degli Usa, considerata egoisticamente nazionalistica (il che non dispiace affatto agli americani). Solo poche notizie sulle proteste in Svezia, ad esempio, hanno individuato l’origine di queste contestazioni nella “sindrome di Seattle” contro la globalizzazione che in Europa si è trasformata in un problema importante di ordine pubblico. Più attenzione è stata rivolta al “mostrare le terga” di Bush, come al possibile inizio del revival di una pratica che negli Usa era popolare oltre 20 anni fa. Ma se i commentatori, i giornalisti e gli editori liberal hanno espresso la propria costernazione per la decisione del presidente di smorzare gli entusiasmi di Clinton sull’idea di una politica estera multilaterale, la gran parte degli americani probabilmente l’ha apprezzata. Effettivamente non si può parlare, a rigor di termini, di un revival del nazionalismo sciovinistico, ma semplicemente di una sopravvivenza dell’ethos dell’isolazionismo americano. Oggi la maggior parte degli americani hanno verso i problemi energetici della California legati all’ambientalismo quello stesso sentimento provato negli anni ’70 per i problemi finanziari di New York, vale a dire un controllato piacere. La maggior parte degli americani, naturalmente, non ha mai nemmeno sentito parlare dei trattati di Kyoto, ma quando legge che le sue regole dispensano Cina e India (una popolazione complessiva di 2 miliardi e mezzo di persone) e che fino ad oggi nessun Paese europeo l’ha ancora firmato, pensa che sia una cospirazione dettata dall’invidia contro lo stile di vita americano. E a proposito dell’insistenza di Bush perché venga istituito un sistema di difesa antimissilistico che risponde alle preoccupazioni di sicurezza del dopo-Guerra Fredda, si domandano perché questa idea sia così contrastata dagli europei. È chiaro che, almeno fino a quando riuscirà a passarla liscia coi Democratici, Bush intende ampliare le possibilità di una libera azione Usa a sostegno degli interessi nazionali, allontanandosi dal “multilateralismo dogmatico” della passata amministrazione. Dopo tutto è stato questo il solenne appello di George Washington nel suo discorso d’addio, e Bush, almeno all’apparenza, ha deciso di prenderlo sul serio.
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