Bush, quel cowboy che corteggia la Chiesa

Di Lorenzo Albacete
10 Maggio 2001
Nonostante pena di morte e azioni di guerra imposte dalla ragion di stato, George W. Bush sembra cercare il dialogo – interrotto da Clinton – col Vaticano. Tutti i passi (e qualche scivolone) verso i voti cattolici dei primi 100 giorni del presidente

Mi è stato fatto osservare che le relazioni tra Chiesa e Casa Bianca non sono mai state così cattive, nell’intera storia americana, come durante l’amministrazione del primo presidente degli Stati Uniti diplomato due volte in una scuola cattolica (alle elementari e nella specializzazione dopo la laurea), William Jefferson Clinton. Non solo per il suo coinvolgimento a favore dell’aborto, dei diritti dei gay e delle battaglie femministe. Ma anche perché nessuno della sua amministrazione sembrava capire quale ruolo la Chiesa cattolica potesse mai giocare nei problemi del mondo. Un membro del suo staff un giorno mi chiese perché il Papa mostrasse più simpatia perfino verso Fidel Castro. Una spiegazione (parziale) a tutto questo sta nei buoni rapporti tra il Vaticano, l’amministrazione di Ronald Reagan (per l’anticomunismo del Papa polacco e le posizioni antiabortiste del presidente), e poi quella di George Bush padre (fino alla Guerra del Golfo). Oggi George Bush figlio ha stretto nuovamente i legami con la Chiesa. Nei suoi primi 100 giorni si è mostrato numerose volte davanti a platee cattoliche. A Washington ha pronunciato un sorprendente discorso in onore di Giovanni Paolo II durante l’inaugurazione di un Centro dedicato al Papa ed è stato a cena dal neoeletto Arcivescovo di Washington, il cardinale Theodore McCarrick, molto intelligente sui temi di politica internazionale. Tuttavia la scorsa settimana, questi rapporti che significano molto per i piani politici del presidente si sono incrinati. Prima per la lettera con cui il Papa chiedeva a Bush un gesto di clemenza a favore di Timothy McVeigh, il cosiddetto “Oklahoma bomber” che il prossimo 16 maggio verrà condannato a morte dal governo federale (dal punto di vista politico, il presidente sarebbe pazzo a concedere la grazia, senza considerare che sul piano legale non è chiaro se possa farlo). Poi, per il bombardamento dell’isola portoricana di Vieques, dove la Marina Usa possiede alcuni territori per le manovre militari nelle vicinanze di una città abitata da migliaia di portoricani, che semplicemente non possono più sopportare la situazione. Questi portoricani sono cittadini americani ma, poiché non pagano le tasse, non votano alle elezioni federali e rappresentano una minaccia politica molto debole per l’amministrazione. Clinton si rifiutò di ordinare lo stop dei bombardamenti, Bush se ne è lavato le mani. Ma se il presidente cerca l’appoggio degli ispanici e dei cattolici residenti negli altri stati Usa, bombardare Viequez durante le festività per la beatificazione del primo santo portoricano, Carlos Manuel Rodriguez (per gli amici “Charlie”), ignorando gli appelli dei vescovi sull’isola, non attira i voti né degli uni né degli altri. La Marina ha così sospeso le operazioni, ma solo il giorno della beatificazione, due domeniche fa, riprendendole il mattino seguente.

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