
Cara Moratti, tira fuori le unghie
Chi qui scrive è convinto che le figure alla testa della Lombardia e di Milano siano il meglio che la un tempo detta Casa delle libertà esprima in tutta Italia, nei governi locali. Detto questo, in realtà in Italia l’ondata che molti anni fa si aspettavano – dei grandi sindaci e governatori che, forti della loro popolarità e successo, dopo aver governato localmente si sarebbero candidati a posizioni di rilievo nei rispettivi schieramenti nazionali – non si è mai concretamente realizzata. Persino nel centrosinistra italiano, che pure ha mantenuto criteri di selezione locale della classe dirigente meno lontani da quelli tradizionali e partitici tipici della Prima Repubblica, personalità che hanno molto meritato come Chiamparino a Torino o Cacciari a Venezia non riescono a trovare un ruolo riconosciuto nel Pd di Veltroni. Tutto questo per dire che il centrodestra non può far finta di nulla. Se Formigoni ritiene di avere chance da giocare e ha numeri, opportunità e risultati per farlo, a Milano le recenti vicende che hanno interessato Palazzo Marino non vanno prese sottogamba. Affidarsi a quanto appurerà la magistratura, ribadendo istituzionalmente fiducia nel suo operato, è un errore.
Letizia Moratti ha dalla sua il fatto di esprimere un carisma personale fatto di operatività e di dialogo al di sopra delle parti. Per la sua storia personale e di famiglia, per non esser mai stata iscritta ad alcun partito e per non aver intenzione di farlo oggi. Queste doti rappresentano un patrimonio da spendere. Con coraggio e determinazione. All’americana. La solidarietà della giunta e della maggioranza vanno bene, anzi benissimo, ma sono fatti politici che non parlano all’opinione pubblica moderata e senza partito, che a Milano e nel Nord è maggioritaria. Né va bene limitarsi a dire che tutto quanto è stato fatto dal sindaco o intorno al sindaco va oggi difeso e sarebbe da ripetere tale e quale. Ai milanesi e ai lombardi sono risultati evidenti negli ultimi mesi una serie di segnali che parlano di un indebolimento del sindaco, non del suo rafforzamento: vedi l’imbarazzo crescente del centrodestra sui ticket di ingresso in città. Di fronte all’accusa di aver indotto decine di dirigenti al prepensionamento per sostituirli con personalità di maggior fiducia politica e soprattutto a maggiori compensi, non è molto efficace replicare che, nonostante questo, la proporzione tra dirigenti e dipendenti resta a Milano più bassa che a Torino, Roma, Napoli e Palermo. È difficile credere che il più stretto collaboratore del sindaco di Milano possa svolgere al meglio il proprio incarico mantenendo il ruolo di consigliere regionale. È vero o no? È questo il punto dal quale partire. Intorno a un sindaco – soprattutto quando non è di partito – possono maturare anche scelte per tenere buoni i partiti della maggioranza. Ma la differenza che fa un grande sindaco, capace di tenere un rapporto diretto e convincente coi propri elettori prescindendo dai partiti, sta nel fatto che quando inizia a piovere, è lui che decide di aprire l’ombrello. A costo di ammettere qualche errore anche grave compiuto in suo nome, e tagliando qualche testa come riprova della propria buona fede e del rispetto degli impegni presi. Cara Moratti, questa non è una facile critica, semplicemente l’avviso di un tifoso.
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