«Carceri, la violazione costituzionale è così acclarata che amnistia e indulto sono prioritari»

Di Daniele Ciacci
02 Agosto 2012
Intervista a Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara, che insieme ad oltre 100 costituzionalisti ha inviato una [link url=https://dev.tempi.it/lettera-aperta-a-napolitano-su-giustizia-e-carceri-se-non-ora-quando-se-non-cosi-come#.UBll2EROEzN]lettera aperta[/link] su carceri e giustizia a Napolitano, che [link url=https://dev.tempi.it/il-presidente-napolitano-ha-risposto-ai-costituzionalisti-pro-amnistia#.UBllqEROEzM]ha risposto[/link]: «Bisogna anche riformare le leggi "carcerogene"».

«Con la nostra lettera abbiamo risposto a un problema posto per primo da Napolitano. E il Presidente ci ha risposto perché non poteva restare indifferente alle nostre argomentazioni». Parla così a tempi.it il professore Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara, che insieme ad oltre 100 costituzionalisti ha inviato una lettera aperta sullo stato allarmante della giustizia e delle carceri al capo dello Stato, che ha risposto.

Perché il presidente Napolitano ha risposto alla vostra lettera aperta?
Accanto alla cortesia del Presidente e del compianto consigliere Loris D’Ambrosio (che, so per certo, aveva istruito la pratica esprimendo parere favorevole ad una interlocuzione del Quirinale), penso abbiano giocato due elementi. Il primo è, insieme, qualitativo e quantitativo: la massa critica composta da oltre 120 giuristi per numero e per trasversalità culturale, disciplinare, accademica. Il secondo attiene alle argomentazioni sviluppate nel nostro testo, cui il Presidente non poteva mostrarsi indifferente.

Perché?
Perché facevano eco alle sue stesse parole, amplificandone la fondatezza sul piano giuridico, attraverso richiami alla Costituzione, alla giurisprudenza della Corte costituzionale ed a quella di Strasburgo, a dati statistici ufficiali. Noi non abbiamo inteso porre un problema al Presidente, semmai rispondere ad un problema posto, per primo, dal Presidente. In spirito di leale cooperazione con lui, prospettando possibili strumenti, parlamentari e normativi, perché investa del problema le Camere, cui spetta il compito (e la responsabilità politica) di risolverlo.

Il sovraffollamento carcerario è diretta conseguenza dei tempi non ragionevoli della giustizia italiana?
Certamente. Il merito di evidenziare questo nesso è del Partito radicale e in particolare di Marco Pannella, che molto insistono – a mio avviso a ragione –  non solo sull’indulto (che, estinguendo la pena, deflaziona le carceri) ma pure sull’amnistia (che, estinguendo i reati, deflaziona i processi). Si pensi, ad esempio, al numero elevato di detenuti in attesa di giudizio (anche di 1° grado) costretti dietro le sbarre per ragioni cautelari: l’azzeramento anche solo parziale di quei processi pendenti finirebbe per incidere pure sulla consistenza della popolazione carceraria. Lo stesso capo dello Stato, nelle righe iniziali della sua risposta, riconosce il nesso tra crisi della giustizia e sovraffollamento carcerario. Anche se poi le sue argomentazioni si concentrano esclusivamente sull’effetto, non sulla causa.

Il presidente della Repubblica potrebbe, in tema, inviare un messaggio formale alle Camere?
Rientra certamente tra le sue prerogative, secondo l’art. 87 comma 2 della Costituzione. Quello di messaggio è un potere esercitato con parsimonia dai presidenti della Repubblica (con la sola eccezione di Cossiga che – anche in questo – abusò delle sue prerogative, inviandone addirittura 7): Einaudi, Gronchi, Saragat, Pertini non ne fecero. Leone, Scalfaro e Ciampi ne firmarono uno solo. Questi numeri ci dicono come si tratti di un potere da riservare a nodi costituzionali di assoluto spessore: lo era certamente – ad esempio – il tema del pluralismo informativo oggetto del messaggio del presidente Ciampi (durante la legislatura a maggioranza di centrodestra). Ad oggi, il presidente Napolitano non si è mai avvalso di tale potere.

Il Presidente sarà pur libero di esercitare o meno tale sua prerogativa.
Ovvio che sì. Segnalo tuttavia che questa come tutte le altre prerogative che la Costituzione assegna al capo dello Stato non sono sue personali ma del suo ufficio. Come tali vanno tutelate per preservarle ai propri successori al Quirinale. E la forma migliore per garantirne l’effettività e l’efficacia ordinamentale è di esercitarle – nessuna esclusa, se ne ricorrano le condizioni – per evitare pericoli di desuetudine. Quanto al merito di un suo eventuale messaggio sulla crisi della giustizia e del suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri, è lo stesso presidente Napolitano esattamente un anno fa (era il 28 luglio 2011, in occasione del Convegno promosso dai Radicali in Senato per una riforma della Giustizia) ad averne parlato come di «una questione di prepotente urgenza» che oramai va ben oltre i limiti fissati dalla Costituzione, del cui rispetto il Quirinale è il primo Garante.

Al vostro invito a non escludere, nel suo messaggio alle Camere, il ricorso ad una legge di amnistia e indulto, il presidente Napolitano cosa risponde?
Per un verso ribadisce la propria non pregiudiziale contrarietà ad un provvedimento di clemenza generale. Per altro verso afferma di non ravvisarne le condizioni necessarie, dato che l’art. 79 della Costituzione richiede per la sua approvazione maggioranze particolarmente alte: i due terzi dei votanti, articolo per articolo e nella votazione finale. È saggio che il Quirinale valorizzi l’unico strumento in grado, qui e subito, di restituire la legalità costituzionale smarrita dietro le sbarre (e nelle aule di giustizia). E tuttavia, al Garante della legalità costituzionale, spetta il compito di chiamare le Camere all’uso di tale strumento, non altro. Il potere di approvare amnistia e indulto, dopo la riforma intervenuta con legge costituzionale n. 1 del 1992, è infatti solo del Parlamento, senza alcuna partecipazione formale o sostanziale del Quirinale. Ecco il punto: quel consenso costituzionalmente richiesto può essere l’esito di un processo deliberativo che, in un messaggio presidenziale, potrebbe trovare la sua miccia. Nessuno può essere certo dell’esito, ma – credo – la logica degli organi di garanzia dovrebbe essere quella del «fai quel che devi, accada quel che può».

Ma bastano amnistia e indulto per risolvere il sovraffollamento carcerario?
La situazione ha raggiunto un livello di violazione costituzionale così acclarata, sistematica, duratura che il recupero della legalità si pone come assolutamente prioritaria: dietro i numeri del sovraffollamento ci sono sono corpi sottoposti a trattamenti inumani e degradanti per i quali l’Italia è ripetutamente condannata in sede internazionale; ci sono persone sottoposte ad una pena aggiuntiva, il sovraffollamento, che pure la legge vieta e che nessun giudice ha irrogato. Ma amnistia e indulto sono solo il primo passo. Il secondo, obbligato e immediatamente successivo, riguarda la riforma profonda di quelle leggi “carcerogene” perché produttive di corpi su corpi stipati dietro le sbarre: la Bossi-Fini in tema di stupefacenti, la Fini-Giovanardi in tema di immigrazione irregolare e clandestina, la Cirielli per la parte in cui irrigidisce il regime della recidiva, l’attuale meccanismo della custodia cautelare. La prospettiva di fondo deve essere quella di restituire il diritto penale alla sua dimensione minima, quale extrema ratio, rivedendone dunque le troppe fattispecie di reato e le tipologie di pena. Aumentare la cubatura delle carceri o costruirne di nuove è la risposta di uno Stato penale, non di uno Stato di diritto.

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