Carceri Usa, una lunga storia di tortura

La denuncia di Derek Jeffreys, studioso e volontario nei penitenziari del paese: «Così il ricorso intensivo all’isolamento devasta da anni migliaia di detenuti»

Un braccio del Camp Delta presso la base navale di Guantanamo Bay, Cuba, 9 ottobre 2007 (foto Ansa)

Pubblichiamo l’intervento pronunciato da Derek Jeffreys, professore di Scienze umane e Religione presso l’Università del Wisconsin, Green Bay, Usa, mercoledì 15 dicembre durante il terzo appuntamento della rassegna “Conformisticamente tolleranti? Riflessioni su scienza, religione ed etica”, webinar promosso dal Centro culturale Pier Giorgio Frassati di Torino con la collaborazione dell’associazione Esserci e di Politicall e con il contributo della Fondazione Crt.

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Più di dieci anni fa, mentre scrivevo un libro sull’etica e la tortura, ho avuto un’esperienza scomoda che ha cambiato la mia vita. Nel libro discutevo di come gli Stati Uniti usassero tecniche di tortura come l’isolamento ad Abu Ghraib, Guantanamo Bay e nei “black sites” della Cia. Ho imparato che gli Stati Uniti usano l’isolamento anche per punire tanti esseri umani nelle loro prigioni nazionali. Ho deciso di scrivere un libro sull’isolamento.

Per saperne di più sulla vita in prigione, ho cominciato a insegnare in un carcere e a fare volontariato nella cappella di una prigione. Queste attività sono diventate una parte importante della mia vita. In questa relazione, spiegherò prima come gli Stati Uniti usano l’isolamento; poi descriverò come esso aggredisce la dignità umana; infine, prenderò in esame le ragioni per le quali gli americani raramente riconoscono che l’isolamento può essere una forma di tortura.

L’isolamento come metodo

Quando sono entrato per la prima volta nelle carceri, avevo una scarsa conoscenza dell’isolamento. Storicamente, le prigioni ne hanno fatto uso selettivamente per punire le persone che ritenevano problematiche. Tuttavia, negli anni Ottanta, gli Stati Uniti hanno iniziato a usare l’isolamento in modo nuovo e diffuso. Hanno costruito carceri di “massima sicurezza” interamente dedicate all’isolamento e nella maggior parte delle carceri e dei penitenziari hanno creato ali speciali di isolamento. La nostra prigione di Green Bay, per esempio, tiene 150 uomini in isolamento.

In questi ambienti, le persone sono isolate in condizioni brutali e incredibilmente rigide per 22-24 ore al giorno, per periodi che vanno da diverse intere giornate sino a decenni. Le prigioni e le carceri usano anche la tecnologia per massimizzare l’isolamento e impedire ai confinati di avere contatti umani. Infine, le autorità fanno rispettare questo isolamento prolungato con squadre di agenti armati che si assicurano con la violenza che i detenuti obbediscano alle regole istituzionali. Gli studiosi stimano che a un certo punto gli Stati Uniti tenevano all’incirca 80 mila persone in isolamento. Il numero attuale probabilmente gira attorno alle 60 mila persone.

Le conseguenze dell’isolamento sulle persone

Gli psicologi hanno mostrato al dettaglio come l’isolamento danneggi le persone. Dopo un periodo relativamente breve in isolamento, le persone cominciano a provare emozioni negative come rabbia, paranoia e ansia. Man mano che il loro tempo passato in solitudine aumenta, questi sintomi possono peggiorare e portare a gravi malattie mentali. Sono tanti i detenuti che soffrono di malattie mentali. Alcuni hanno portato questa malattia in isolamento, mentre altri l’hanno sviluppata dopo aver sopportato mesi o anni di vita in solitudine.

Di fronte a qualsiasi considerazione seria sulla dignità umana, l’isolamento contemporaneo è un affronto. Ho scritto molto sulla dignità umana e difendo filosoficamente l’idea che tutte le persone possiedono una dignità intrinseca. La dignità non è qualcosa che decidiamo di attribuire alle persone in base a qualche caratteristica; essa è invece una proprietà propria di tutte le persone in quanto persone. Quando isoliamo le persone per lunghi periodi di tempo, denigriamo e aggrediamo questa loro proprietà. Lentamente, esse possono faticare a mantenere il senso della loro identità e la loro comprensione di ciò che significa essere umani.

Le istituzioni penali offrono diverse giustificazioni per confinare le persone in isolamento. Certamente possono ravvisare delle difficoltà nella gestione dei detenuti violenti. Tuttavia, non possono nascondere il carattere etico dei loro atti. Usano l’isolamento per danneggiare intenzionalmente le persone, scegliendo di degradare la loro personalità per assicurarsi che si sottomettano alle regole istituzionali.

Una forma di tortura

Le Nazioni Unite e altre autorità internazionali sostengono che l’isolamento prolungato può costituire una tortura. Hanno spesso considerato come una forma di tortura qualsiasi misura che superi i trenta giorni di isolamento. Molte nazioni nel mondo concordano con questa conclusione e rifiutano di adottare l’isolamento nelle loro prigioni. Tuttavia, nella loro giurisprudenza e nelle pratiche penali, gli Stati Uniti rifiutano di riconoscere che il trattamento riservato a migliaia di persone si potrebbe configurare come tortura.

La Costituzione degli Stati Uniti comprende un emendamento (l’ottavo emendamento) che vieta «pene crudeli e inusitate». Esso tenta di ridurre la brutalità delle pene e di limitare ciò che lo Stato può fare alle persone che infrangono le leggi. I tribunali hanno talvolta usato l’ottavo emendamento per criticare l’isolamento, ma non hanno stabilito che quest’ultimo costituisce una punizione crudele e insolita. Molti tribunali rifiutano persino di riconoscere che l’isolamento sia una tortura, e gli americani raramente prendono in considerazione tale ipotesi.

La resistenza della cultura americana

Gli studiosi offrono diverse analisi dei motivi per cui gli Stati Uniti mostrano una tale riluttanza a riconoscere che l’isolamento è una tortura. Dal mio punto di vista, possiamo rintracciare una spiegazione di questo fenomeno nelle concezioni americane della tortura e del corpo. Troppo spesso associamo l’abuso della pena o la tortura con la sola aggressione del corpo. Non riusciamo a riconoscere i modi non fisici in cui gli esseri umani attaccano lo spirito umano e trattano gli altri come cose o animali non umani.

Purtroppo, le persone, in particolare nel secolo scorso, hanno sviluppato tecniche di abuso e tortura che prendono di mira la vita interiore della persona. Sfortunatamente, la cultura americana celebra la tecnologia e le conquiste scientifiche, spesso ignorando il lato interiore della persona umana. Se qualcosa non assomiglia stereotipicamente alla tortura, la gente si rifiuta di considerarla.

Un baco nell’eccezionalità Usa

Un’ulteriore ragione per cui gli americani ignorano gli orrori dell’isolamento risiede in questioni di identità nazionale. Nella mia esperienza, sono tanto gli intellettuali di destra quanto quelli di sinistra a resistere all’idea che gli Stati Uniti pratichino la tortura nelle loro prigioni. Durante l’amministrazione Bush, ho trovato una sponda in alcuni noti critici delle sue politiche di tortura. Dopo che quella amministrazione ha lasciato il suo incarico, tuttavia, mi è risultato difficile portare l’attenzione di questi critici a ciò che stava accadendo nelle prigioni nazionali. Anche per i più ferrei critici della politica estera degli Stati Uniti, sembrava inaccettabile pensare che avvenissero torture nelle prigioni, un affronto all’idea che gli Stati Uniti sono una nazione eccezionale sotto il profilo etico.

Questa posizione intellettuale mostra una ostinata cecità nei confronti della storia carceraria degli Stati Uniti. Dalla prigione di Auburn nella New York del XIX secolo alle prigioni del Sud in tutti gli Stati Uniti, fino alla prigione di Attica nel 1971, i detenuti sono sempre stati soggetti ad abusi e torture. L’isolamento moderno è solo un altro capitolo di una lunga storia di tortura.

La società chiusa fuori

Un’ultima ragione per cui gli americani ignorano il problema dell’isolamento risiede forse nel modo in cui siamo separati dai detenuti. Le prigioni contemporanee compiono sforzi considerevoli per assicurare che le persone che detengono rimangano separate dalle persone libere. Architettonicamente, burocraticamente e tecnicamente, le prigioni americane impediscono alla gente di entrare nelle loro strutture. Spesso, il pubblico sa poco di quello che succede dietro le sbarre del carcere e della prigione. Questo contrasta con molte altre prigioni nel mondo.

Recentemente, per esempio, ho letto un manoscritto di un collega irlandese di nome Ian O’Donnell che fa ricerche comparative sulle carceri. Lui spiega come le prigioni etiopi permettano notevoli scambi tra detenuti, parenti e visitatori. Questi scambi consentono ai carcerati di mantenere le relazioni familiari e offrono agli esterni l’opportunità di conoscere ciò che accade nelle prigioni. Questa situazione esiste raramente negli Stati Uniti.

Una svolta attesa invano

Molti di noi speravano che la piaga del coronavirus potesse portare le persone a ripensare le nostre politiche penali punitive. Tuttavia, sembra aver avuto poco impatto sulla riduzione sostanziale della popolazione carceraria negli Stati Uniti. Inoltre, molti americani hanno la percezione che il crimine violento stia aumentando. Questa percezione è di cattivo auspicio per i tentativi di ridurre la popolazione carceraria e porre fine all’isolamento.

Prima di imbarcarci in un altro momento storico di crescita delle nostre prigioni, gli americani dovrebbero riflettere su come puniamo le persone. È necessario ricorrere all’incarcerazione delle persone a un livello sconosciuto nella maggior parte del mondo industrializzato? Se no, come possiamo ridurre la popolazione carceraria nel quadro attuale, quando molta gente teme un aumento del crimine?

Le mie esperienze di volontariato nelle prigioni mi hanno portato a credere che ciò di cui abbiamo più bisogno è l’onestà rispetto alle nostre pratiche carcerarie attuali e storiche. Sì, gli Stati Uniti hanno torturato le persone durante la “guerra al terrorismo”. Tuttavia, questo è stato solo un episodio in una lunga storia di tortura nei confronti di coloro che sono in cattività. Ascoltare quanti hanno sperimentato tale tortura e riconoscere la loro dignità dovrebbe essere un prerequisito per qualsiasi discussione seria sul cambiamento del sistema carcerario americano.

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