
Cari colleghi diciamoci la verità
Si condividano o no le sue battaglie, se c’è una cosa che ci insegna lo straripante direttore del Foglio, è che se questo non fosse «un paese marcio in un mondo pieno di cose belle» anche in politica tutto sarebbe più semplice. Sarebbe semplice, dopo lo sgangherato spettacolo dell’Unione prodista, un governo di larghe intese, a tempo determinato (di un anno, rinviando tutte le elezioni, comprese quelle amministrative del 2008 a un unico turno di politiche, europee e amministrative nella primavera 2009) che svolgesse l’ordinaria e civile amministrazione di fare una legge elettorale (bipartitista e con reintroduzione delle preferenze, perché la gente è stufa di un parlamento di passacarte decisi da due o tre principi), ripulire la Campania e costruire una mezza dozzina di termovalorizzatori, affrontare con provvedimenti equilibrati e durevoli il caso psichiatrico di alcuni magistrati e il caso generale dei rapporti tra politica e magistratura.
Sarebbe semplice accordarsi su queste tre, quattro cose urgenti e varare un governo di “responsabilità nazionale”. E invece sappiamo tutti che, tranne un miracolo, questo governo non si farà. Perché? Perché il prodismo è una brutta bestia che ha la faccia tosta di star lì ancora a pensare alle 600 nomine dei Rovati piuttosto che al bene del popolo. Perché siamo un paese che non è ancora riuscito a restituire a funzioni operative di nettezza urbana personaggi che siedono in parlamento e lanciano i sassi contro la polizia, dormono nei salotti del capitalismo e sognano i mausolei di Lenin, lottano per la salvezza della calotta polare e condannano a vivere nella merda i campani. Perché il sud Italia è dal tempo di Federico II e della principessa sarda d’Arborea che regredisce a causa dell’avarizia statalista tardosabauda e perché la Lombardia e le regioni del Nord-Est non riescono ad assumere responsabilità proporzionali al peso che dovrebbero avere in un paese che guarda all’Europa piuttosto che all’Unione del Maghereb.
Sappiamo tutti che sarebbe molto auspicabile un accordo tra il Pd di Walter Veltroni e il Pdl di Silvio Berlusconi. Ma sappiamo anche che per fare questo accordo sarebbe necessario giocare a carte scoperte e, prima ancora di accettare dal Capo dello Stato un qualsiasi formale incarico a formare un esecutivo, bisognerebbe che il paese venisse informato preventivamente, e in maniera precisa e trasparente, su che cosa si sono accordate le due più grandi forze politiche presenti oggi in parlamento.
Il governo Walter-Silvio è già fatto
Come al tempo della monarchia carolingia, chi governa deve partorire in pubblico. Perché il popolo deve proprio vedere che l’infante è figlio della regina e non di una favorita del Re. Fuori da questa trasparenza, per tornare alla proposta Veltroni per una soluzione parlamentare della crisi, nessuno può garantire gli italiani dalle trame gattopardesche della Roma andreottiana e dei poteri che hanno fatto dell’Italia una greppia di potere clientelare, immobile nella difesa farisaica di una Costituzione che si vorrebbe immodificabile per l’eternità. Se Veltroni ha la forza di fare quello che dice di voler fare, si accomodi. Perché lo può fare. Se Veltroni è in grado di contrastare la tigna che, dopo aver messo in campo l’impossibile armata dell’Unione, ora minaccia di sbrindellare pure il suo Pd, si accomodi. Può contrastarla e può mettere le sue carte in tavola. Insomma, se Veltroni ha davvero i numeri che sulla carta ha il Pd in parlamento – che problema c’è? – il governo con Berlusconi è già fatto.
Per come sta messa l’Italia nessuno pensa alle elezioni come panacea di ogni male. Il rischio di rivedere il teatrino che da quindici anni inchioda la politica, ci sta tutto. Purtroppo che alternative realistiche ci sono alle elezioni anticipate? Un patto politico stile ribaltone del ’94? Un governo tecnico stile Dini ’95? Fuori da quel patto a cui si accennava sopra, c’è solo la truffa (romana). Come non ripetere il teatrino degli ultimi tre lustri? Come schiodare dal nulla benintenzionato la politica italiana? è dura, ma, a meno di migrare ai Caraibi (fortunati i caraibici) bisognerà che ci proviamo ancora. E, ecco il motivo per cui ci mettiamo nella condizione di apparire come dei piccoli presuntuosi della marginalità mediatica, bisognerà che giornali e tv facciano la loro parte. Oltre a interpretare la pars destruens della storia italiana, i media potrebbero finalmente tornare a svolgere la loro fondamentale funzione (ricordate Il caffè dei fratelli Verri?) di levatrici della società, di stimolo e di diffusione della conoscenza in seno al popolo. Non solo, fatto cruciale nell’attuale panorama di disgregazione e panico sociale, i media potrebbero e dovrebbero incoraggiare le persone positive a mobilitarsi e a dire chiaro e forte il loro schierarsi a difesa del futuro dell’Italia e degli italiani. Insomma, per non stare a girarci attorno, giornali e tv potrebbero e dovrebbero riscoprire il gusto della verità.
La speranza non viene dai ventilatori
Quale verità? La prima è elementare: la difesa della vita, dal concepimento alla morte, difendendone i fattori – sacralità, libertà, lavoro – che la rendono degna di essere vissuta. Da dove cominciare per difendere questa “vita” da cui dipende la sopravvivenza di un popolo? Immagino che da casa mia a quella dei miei vicini, da Monza a Canicattì, l’uomo e la donna normali oggi vorrebbero che giornali e tv dessero insieme a loro questo semplice, elementare, rozzo, ultimatum alla politica: «Noi che abbiamo figli e che sentiamo la preoccupazione di dare loro un futuro, Noi famiglie, Noi single, Noi ragazze madri e Noi ragazzi padri, Noi che non importa quale sia la nostra fede, siamo noi veltroniani o berlusconiani, pannelliani o ruiniani, diciamo alla politica che o ci date un governo per fare l’amore e non l’aborto; o ci date una sanità pagata per amare la vita e non la malasanità sindacalizzata e via Tar; o ci abbassate le tasse e ci date il quoziente familiare per ristabilire un principio di elementare giustizia ed equità fiscale; o ci permettete di governare noi l’istruzione pubblica, statale o privata essa sia; o ci mettete queste cose nei vostri programmi elettorali e le fate diventare leggi 24 ore dopo che siete andati al governo, oppure noi non vi votiamo più».
Si applichino queste linee guida della verità in tema di salari operai e grandi opere ingegneristiche, amministrazione della giustizia e amministrazione delle città. Si capirà che staremmo tutti meglio se finalmente venissero sterminate le chiacchiere ideologiche e la protervia di quelli che si credono puri. Questo è il punto: bisogna immettere ossigeno nella politica. Ma l’ossigeno, come si sa, non viene dai ventilatori. Viene dalla verità, l’atmosfera che permette la venuta al mondo, la cura e l’educazione di ogni nuova vita e che salva il mondo dalla sua naturale fine.
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