
Caso Marò. De Leonardis: «È Monti che deve dimettersi per la grave mancanza di leadership politica»
A dimettersi dovrebbe essere il presidente del Consiglio Mario Monti. Questo pensa Massimo de Leonardis, docente di Storia dei trattati e delle istituzioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, in merito alla vicenda che ha visto coinvolti i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I due marò sono stati rimandati in India per essere processati e il ministro degli Esteri Giulio Terzi ieri si è dimesso affermando di non essere stato ascoltato.
Professore, come ha reagito alle dimissioni del ministro Terzi?
Il ministro ha dichiarato che «la linea del governo italiano di trattenere in Italia i due marò […] fu una decisione assunta in ambito governativo “in costante coordinamento” tra la Farnesina e tutte le istituzioni interessate». L’8 marzo, ha raccontato Terzi, «in una riunione in cui erano presenti i ministri della Giustizia, degli Esteri, della Difesa, fu illustrata una proposta che venne poi portata davanti alla presidenza del Consiglio» e che ricevette «l’assenso di tutti, in cui si concordava di formalizzare la controversia con l’India sul conflitto di attribuzione e di giurisdizione […]. La decisione di trattenere in Italia i marò fu maturata in modo “pienamente collegiale dal governo”». Se le cose sono andate così, e non vi è motivo di dubitarne fino a prova contraria, Terzi, che non ha «condiviso il successivo ripensamento», prende una decisione nobile e doverosa. Le dimissioni, però, dovrebbe a maggior ragione darle il presidente del Consiglio, al quale spettava decidere la linea politica.
Terzi ha detto: «Ero contrario a rimandare in India i marò, ma la mia voce è rimasta inascoltata». Da chi è rimasta inascoltata?
Evidentemente dal presidente del Consiglio, che ha gravemente mancato alla sua funzione di coordinamento. Sono sorpreso che abbiano parlato due ministri, tra l’altro con non irrilevanti differenze di accento e diverse decisioni personali e, per ora, non abbia parlato il capo del Governo.
Il ministro della difesa Giampaolo Di Paola, invece, ha detto: «Sarebbe facile oggi lasciare la poltrona, ma non sarebbe giusto e non lo farò». Una decisione opposta a quella di Terzi.
Il ministro Di Paola ha fatto due gravi affermazioni. Ha parlato di «valutazioni del ministro Terzi, non del Governo», lasciando chiaramente capire di non condividere tali valutazioni e affermando, invece, di condividere «le scelte del Governo». Presumo che parlasse sia della prima scelta, sia della seconda, che è stata opposta alla prima. Questa divergenza è sorprendente e inusuale. Di fronte ad essa passano a mio giudizio in secondo piano le diverse scelte personali, entrambe rispettabili, dei due ministri. Ancora una volta viene da osservare la grave mancanza di leadership politica da parte del presidente del Consiglio.
Che idea si è fatto di tutta la vicenda?
Dai fatti che si conoscono, in estrema sintesi, posso dire che sono stati commessi molti errori ab initio. Primo, non si mandano militari a bordo di una nave civile, in balìa delle decisioni del comandante, senza assicurare loro la piena tutela dello Stato e senza conferire a quest’ultimo il potere decisionale di ultima istanza. Secondo, da questo punto di vista si doveva impedire al comandante di portare la nave in porto, decisione che ha compromesso tutti gli sviluppi successivi. Terzo, si è oscillato tra il richiamo alle norme del diritto internazionale che, ammettendo anche che siano stati i nostri militari ad uccidere per errore i due pescatori, escludono la giurisdizione indiana, essendo l’incidente avvenuto in acque internazionali, e gesti, come il pagamento di una somma alle famiglie dei pescatori, francamente incomprensibili e controproducenti, configurando un’ammissione di colpa. Quarto, non si è riusciti ad ottenere la solidarietà della comunità internazionale: caso limite l’ignavia totale dell’Unione europea. Quinto e ultimo, dopo aver preso la decisione di non fare rientrare in India i fucilieri in base a motivazioni giuridiche, si è ribaltata la decisione appellandosi a garanzie risibili ottenute, che peraltro il governo indiano ha negato di aver dato.
Quali fattori entrano in gioco quando un uomo delle istituzioni deve tutelare dei militari come è successo nel caso dei marò? A quali principi deve ispirarsi l’azione dei politici?
Sarebbe banale dire il senso dello Stato. Sarebbe demagogico giocare sulla contrapposizione tra chi rischia la vita e chi gode solo di privilegi che l’opinione pubblica giudica da tempo indecenti. Ci si aspettava dai “tecnici” un comportamento ispirato a maggiore competenza e senso di responsabilità rispetto ai “politici di professione”.
Ora cosa succederà?
Si può sperare in un equo e rapido processo da parte delle autorità indiane. Si può cercare di ricorrere ad un arbitrato o ad autorità giuridiche internazionali. Si può tentare una mediazione politica. Sono vie diverse. Si possono anche percorrere insieme in maniera parallela, purché coerente. Non si può tentare una via in maniera contraddittoria rispetto alle altre. Occorre mettere insieme, sotto una leadership capace, competenze giuridiche e determinazione e chiarezza di linea politica. L’Italia è la Patria del diritto, ma certo manca, non da oggi, di quella forza politica che faceva dire nel 1850 al ministro degli Esteri britannico Lord Palmerston: «Un suddito britannico, in qualunque Paese si trovi, sarà fiducioso che l’occhio attento ed il forte braccio dell’Inghilterra lo proteggerà dall’ingiustizia e dalle offese».
Ci sono precedenti degni di nota che aiutano a gettar luce sull’accaduto?
Sono stati ricordati vari episodi: dall’incidente del Cermis, all’uccisione di Calipari, alla mancata estradizione di Battisti, tutte vicende nelle quali l’Italia è apparsa soccombente. Di segno opposto, ma più remote, le azioni della Regia Marina a Cartagena alla fine del secolo XIX in difesa di un nostro connazionale o quella a Corfù nel 1923 dopo l’uccisione del Generale Tellini. Ogni caso è a sé e non ho la competenza giuridica per fare paragoni. Tuttavia, una cosa si può dire. Gli equilibri internazionali sono cambiati. L’India è una grande Potenza, l’Italia non più ed essere membri della Ue non serve a niente. E purtroppo il vecchio detto che “might is right”, la potenza crea la sua legge, potremmo liberamente tradurre, si rivela ancora una volta valido.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!