Cattolico, ergo penso

Di Gianni Baget Bozzo
19 Aprile 2000
Prete e politologo invita a dibattito. Sostiene che “il nichilismo vorrebbe ridurre il cattolicesimo a un'attività privata”, che “non c’è nulla di meno privato della fede”, che “Giovanni Paolo II giganteggia per la sua testimonianza anche “politica” e che ai “ ‘partiti cristiani’ succede il nulla della politica democratica e civile dei cattolici”. “Per questo dico agli amici della Compagnia delle Opere: se scegliete la strada della neutralità politica, perderete la vostra originalità cattolica”

Per un cattolico che sia fedele alla Tradizione cattolica, il che vuol dire oggi una minoranza confessante all’interno della majoritè plurielle in cui consiste l’universo cattolico, ci sono dei problemi della Tradizione che tornano a proporsi. Nella Tradizione vi era il principio che lo Stato avesse una religione e che di paesi cristiani fosse la religione cristiana e nei paesi cattolici la religione cattolica. L’Italia è uno di quei paesi in cui in qualche modo, grazie all’articolo della Costituente, il principio della religione di Stato esiste ancora, perché esiste nell’articolo del Trattato Lateranense. Di fatto anche qui è prevalsa la forma dello Stato laico. Quando fu formulata esso poteva ancora consistere con il principio che la società era religiosa. Questo è oggi meno vero e da ciò i nichilisti deducono che la Chiesa Cattolica deve considerarsi nei paesi cattolici una attività privata, con un suo statuto sociale. Ma in realtà non è così, non c’è nulla di meno privato nel mondo delle religioni. E tra queste spicca per la straordinaria statura del Papa polacco la Chiesa Cattolica. I cristiani in Palestina e Israele sono pochi e poveri e anche oppressi e si teme che lo saranno di più, che molti emigreranno. Ma infine sembra scritto nei registri della divina dispensatio della storia che la terra di Gesù non appartenga ai cristiani ma a ebrei e musulmani. Però nonostante questa debole base cristiana in Palestina e Israele, il Papa ha fatto un viaggio altamente politico e istituzionale: di una politica e di una istituzionalità che è reale e non per questo per la stessa cosa degli stati. Non credo che l’ecumenismo abbia esiti confessionali, anzi su questo piano può essere rischioso: ma può giovare sul piano politico, fa esistere una diplomazia delle chiese non meno che degli stati. E ciò trasforma le chiese in istituzioni internazionali operanti. Se pensiamo come siano svuotate oggi le internazionali dei partiti, vien da pensare che le istituzioni ecclesiali abbiano non preso il loro posto, ma sostituito il loro ruolo. Esistono problemi di civiltà che la globalizzazione pone e che trascendono la competenza degli stati. Qui si inserisce un dibattito morale e civile che supera i fini degli stati e quelli delle politiche nazionali. In questo spazio le chiese e soprattutto la Chiesa Cattolica hanno assunto un ruolo oggettivamente politico, che diviene ancora maggiore quando si toccano problemi che riguardano rapporti tra le religioni. Sembra che ad un certo autunno della fede nelle stesse chiese istituzionali, corrisponda un aumento della loro influenza come agenti di civiltà, come elaboratori di regole di comportamento. Ciò vale per l’Islam, vale per Israele, vale persino per la Cina dove dinanzi al rischio delle sette, può rispondere un certo interesse per le chiese, specie per la Chiesa Cattolica. Certo questo accresciuto ruolo politico non può da solo supplire alla crisi dottrinale e spirituale delle chiese in Occidente. Ma mostra infine degli spazi aperti dallo stesso nichilismo dominante alla religione e alle sue istituzioni. Come muta il problema dei cattolici in politica in queste occasioni? Si può dire che in questa situazione di nichilismo culturale contano più le chiese come istituzioni che non l’azione politica dei cattolici, che ai “partiti cristiani” succede il nulla della politica democratica e civile dei cattolici. Bisogna ricordare che le democrazie cristiane nacquero di fronte allo stato liberale, nella congiuntura storica dell’Illuminismo e della Rivoluzione. Oggi si chiedono delle forze politiche che abbiano per oggetto politico la Tradizione di fronte al nichilismo. Cioè affrontino i problemi del mondo unico in modo da preservare le identità di fondo dei popoli, e in questo caso la memoria della Cristianità. Forze politiche in cui il fattore religioso, in forma non confessionale, sia considerato come un riferimento propriamente politico. Dunque dei partiti che non paghino scotto al nichilismo, risultato ultimo della fine della Rivoluzione e della consunzione della sinistra. Così sono i partiti di centro-destra in Italia, per cui il riferimento alla Tradizione della cristianità non è una appartenenza confessionale cioè un valore metapolitico, ma un vero e proprio valore politico. E ciò appare già nei partiti di centro-destra in Europa, in cui prevale il valore della Tradizione: un elemento che compare anche nei partiti dell’Europa centrale e orientale. Occorre che dei cattolici assumano l’impegno di pensare in forma non più confessionale la presenza diretta nel centro-destra come coscienza politica nazionale della Tradizione della cristianità. Ciò permette di affrontare sul piano civile problemi che sono più complessi sul piano religioso. Non ha più senso una presenza di un cattolico nella sinistra ora che con la crisi di sinistra è caduta anche la cultura cattolica di sinistra. Questo ho detto tante volte ad amici impegnati nella Compagnia delle Opere, che finiscono per divenire incorporandosi alla sinistra privi di ogni funzione culturale cattolica propria, diventando opere sociali il cui profilo può al massimo assumere quello della neutralità culturale. Si può rimanere da cattolici a sinistra solo rinunciando a pensare. Tra l’orizzonte nichilista e l’orizzonte della Tradizione non ci sono in principio spazi intermedi.

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