Cav, Fausto e la realtà di mezzo

L’incontro tra Berlusconi e Bertinotti a “Porta a Porta” è stato uno spettacolo in sé, il paragone di due linguaggi. Bertinotti ha il dono di possedere un linguaggio, è l’unico nella sinistra che possa includere in un orizzonte teorico le sue formule programmatiche. Il solo, cioè, per cui il programma non sia tutto.
Il tema di Bertinotti è il superamento del capitalismo, la sua riforma come sistema: in ciò si distingue dai riformisti, che, secondo la formula bertinottiana, intendono cambiare i capitalisti ma non il capitalismo. è una bruciante critica all’operazione Unipol, in cui il possesso di una banca da parte delle cooperative redimeva le operazioni finanziarie fatte per ottenerlo. La riforma consisteva soltanto nel fatto che un movimento cooperativo possedesse una banca. Ciò dava alla banca stessa una coloritura diversa: diventava “nostra”, come ha detto Piero Fassino.
La concezione di Bertinotti può essere formulata così: oggi il capitalismo è puramente finanziario, è staccato dalla realtà della produzione; si fonda perciò sulla rendita e non sul profitto. Qual è il compito dello Stato? Tassare la rendita e investirla a scopi sociali, e ciò servirebbe anche per alimentare la produzione e il consumo. Sembra di sentire parlare David Ricardo contro la rendita della proprietà terriera, ma in Bertinotti il punto centrale è che lo Stato controlli, mediante il fisco, produzione e consumo, divenendo così il gestore sociale del mercato e dell’economia.
Berlusconi si è situato in un diverso orizzonte, quello della realtà, quello in cui lo Stato non è il gestore della società ma il suo ordinatore e compie gli atti necessari per garantire sia l’iniziativa economica che l’equità sociale. Possiamo chiamare questo liberalismo? Se il liberalismo rappresenta la combinazione di libertà economica e di equità sociale, per cui lo Stato interviene non solo a garantire la produzione della ricchezza, ma anche le condizioni di equità fondamentale perché lo Stato sia democratico, Berlusconi è un liberale. Quello del presidente del Consiglio non è un liberalismo teorico, da manuale, ma un liberalismo della realtà. Sarebbe bene che i cattolici cominciassero a usare la parola “liberalismo” nel senso di conformità alla legge naturale, nello spirito della creatività personale e della giustizia distributiva. Eppure Bertinotti può citare Paolo di Tarso come comunista, chissà perché, e non mancano dei cattolici affascinati dalla protesta del segretario di Rifondazione contro la realtà del mondo.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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