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C’è libertà in Cina? Intervistato in strada, accusa il governo comunista. E subito lo trascinano via [link url=https://dev.tempi.it/blog/ce-liberta-in-cina-intervistato-in-strada-accusa-il-governo-comunista-e-subito-lo-trascinano-via-link-urlhttpwww-tempi-itvideogallerycome-funziona-in-cina-intervistato-in-strada-accusa-il#.UPU7rqFudIA]Video[/link]
[internal_video vid=67991] Arrestato e portato via da poliziotti in borghese in mezzo alla strada, sotto gli occhi di tutti, solo perché ha espresso la sua opinione. Tutto questo può succedere in Cina, se quell’opinione non coincide con quella del partito comunista cinese. La mancanza in Cina della libertà di espressione non è certo una novità, ma questa volta tutto è documentato dalle immagini della tv tedesca Zdf (Zweites Deutsches Fernsehen).
CRITICA AL GOVERNO, SUBITO PORTATO VIA. Il giornalista della televisione tedesca stava intervistando un giovane, Jiang Di, sulla controversia tra il famoso giornale Southern Weekly e il partito comunista cinese, colpevole di avere pesantemente censurato l’editoriale di inizio anno che chiedeva democrazia e il rispetto della legge e della Costituzione. Dopo il passaggio attraverso la censura, l’editoriale glorificava la nuova guida Xi Jinping. Dopo essersi espresso a favore dei giornalisti, che hanno anche indetto uno sciopero, Jiang Di sotto gli occhi della telecamera tedesca è stato subito preso, trascinato in un camioncino e portato via da un gruppo di uomini in borghese, mentre la polizia guardava senza fare nulla. La pratica è conosciuta in Cina: agenti di sicurezza in borghese, soprattutto vicino a “obiettivi sensibili” come piazza Tienanmen, sono soliti prendere e portare via comuni cittadini (come i cosiddetti “petitioners”) colpevoli solo di esprimere la propria opinione, spesso in contrasto con quella del governo.
E LE RIFORME? Nonostante le tante promesse di riforme fatte da Xi Jinping, subito glorificato da tanti giornali (come Repubblica), in Cina ancora non esiste la libertà di espressione e ora Jiang Di rischia di essere rinchiuso in una delle tanti “prigioni nere” dove le persone possono rimanere anche fino a tre mesi senza processo e senza che la famiglia debba essere avvisata.
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