C’è un futuro per la Chiesa in Olanda (e altrove)?

Chiese vuote, vite vuote. Che speranza c'è per la fede nel Paese dove tutto è lecito? La lectio magistralis del cardinale arcivescovo di Utrecht a Verona

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la lectio magistralis del cardinale arcivescovo di Utrecht, Willem Jacobus Eijk, tenutasi a Verona il 6 ottobre 2022 in occasione dell’inaugurazione dei corsi culturali della Fondazione Toniolo e della Scuola di Formazione all’Impegno sociale e politico. «L’Europa ha ancora bisogno del cristianesimo? I Paesi Bassi oltre la crisi».

“Sfidare la secolarizzazione”

La secolarizzazione rapida e massiccia è iniziata nei Paesi Bassi a metà degli anni ‘60. Ora questo fenomeno si sta verificando in tutta l’Europa occidentale e in Canada, e in misura minore negli Stati Uniti.

Tra il 1965 e il 1975, il numero di cattolici che partecipano all’Eucaristia domenicale si è dimezzato nei Paesi Bassi. In seguito, il declino della presenza in chiesa è continuato più lentamente ma costantemente. Prima dell’inizio dell’epidemia di corona, nel marzo 2021, un totale di 150.000 cattolici nei Paesi Bassi frequentavano ancora la chiesa la domenica. Dopo l’epidemia di corona, il numero è salito a 90.000. E questo mentre nei primi anni ‘60 ogni chiesa parrocchiale aveva diverse Messe la domenica. Ora, si tratta al massimo ancora di una Messa, che è moderatamente o scarsamente frequentata.

Il numero di cattolici è sceso da oltre 5 milioni a oltre 3,7 milioni entro il 2020, con un calo del 26%. La causa è la morte dei cattolici più anziani, mentre molti genitori cattolici non fanno più battezzare i loro figli. Molte centinaia di chiese sono già state chiuse per mancanza di cattolici attivi e di risorse finanziarie o sono sul punto di essere chiuse presto. L’anno 2022 entrerà nei libri di storia olandesi come un anno speciale. Nei Paesi Bassi, un tempo cristiani, quest’anno agnostici e atei sono per la prima volta in maggioranza.

Ci sono alcune eccezioni. Nella città di Utrecht, ad esempio, ho affidato una chiesa ai fratelli di San-Giovanni. Hanno ancora due messe la domenica mattina. Molti giovani vi partecipano. Questo è dovuto anche ai numerosi e solidi programmi di catechesi, corsi e conferenze offerti dai frati. I frati tengono l’adorazione del Santissimo Sacramento ogni giorno.

Anche nella città di Apeldoorn, in cui tutte le parrocchie sono state fuse in una sola, la chiesa è abbastanza piena la domenica; questa è una conseguenza favorevole del fatto, di per sé amaro, che intorno al 2010, delle sette chiese della parrocchia, sei hanno dovuto essere chiuse in un anno per evitare che la parrocchia fallisse. La parrocchia non poteva più permettersi il mantenimento di sette chiese. Fortunatamente, i parrocchiani sono riusciti a trovare la strada dalle chiese chiuse a quella rimasta.

La fusione di parrocchie e la chiusura di chiese ha l’effetto benefico di unire le forze. È, però, necessario lavorare su questo aspetto. Si deve, per esempio, invitare i chierichetti, gli accoliti, i lettori e i cori di essere attivi nella chiese che è rimasta. Questi gruppi portano con sé anche familiari e amici alla chiesa rimasta.

1. Cause della rapida secolarizzazione

I primi segni del declino della Chiesa cattolica nei Paesi Bassi erano già visibili negli anni Quaranta. Nel 1947 si è svolta una riunione di nove persone, sacerdoti e laici, nove in tutto, presso il seminario minore dell’arcidiocesi di Utrecht. Hanno riflettuto su quella che hanno definito una “stanchezza nella cura pastorale”. Hanno registrato i loro risultati in un opuscolo dal titolo eloquente: Fermento nella cura delle anime.

Hanno notato che il legame dei cattolici con la Chiesa non si basava più sul contenuto della fede, ma sui legami sociali. I cattolici frequentavano una scuola elementare cattolica, gestita dalla parrocchia, una scuola media cattolica, gli scout cattolici e altri club giovanili cattolici, erano membri della squadra di calcio cattolica e anche, una volta adulti, rimanevano parte di vari club e gruppi cattolici.

La fede, che tra l’altro all’epoca i cattolici ancora non negavano, era diventata per loro un insieme di verità astratte. Non sapevano più come rapportarle alla vita concreta di tutti i giorni. La fede non toccava più le loro vite. E questo è l’inizio della secolarizzazione. Di conseguenza, la fede perde il suo significato e alla fine viene abbandonata.

Giovanni Paolo II ha visitato il nostro Paese come turista nel 1947, quando stava scrivendo la sua tesi di laurea all’Università Cattolica di Lovanio. Ha scritto lettere agli amici polacchi sulla sua visita nel nostro Paese. In esse rivelò di ammirare molto la forte organizzazione e disciplina della Chiesa cattolica nei Paesi Bassi.

Ma ciò che mancava ai cattolici olandesi, ha osservato, era la mancanza di spiritualità, di una vita di relazione personale con Cristo e di una vita di preghiera personale.

Il gruppo che si riunì nel 1947 per riflettere sul futuro del ministero pastorale prevedeva già l’allontanamento dei cattolici dalla Chiesa. Questi «formano gli eserciti potenti che stanno preparando l’apostasia enorme del prossimo futuro, un processo di germinazione lento e inosservato».

La mancanza di una fede vissuta personalmente e di una vita di preghiera si è vendicata negli anni Sessanta. Nella prima metà degli anni Sessanta, i salari sono aumentati a un ritmo impressionante. Chi disponeva di risorse finanziarie sufficienti aveva anche la possibilità di vivere in modo indipendente dagli altri. La crescente prosperità ha portato a un forte individualismo, che si è rafforzato nei decenni successivi. Il legame religioso con la Chiesa, come già detto, era già diminuito nei decenni precedenti. Ora, a causa dell’individualizzazione, anche il legame sociale con la Chiesa stava svanendo. Di conseguenza, il legame con la Chiesa si è allentato o si è interrotto del tutto.

L’individuo contemporaneo insiste sulla propria dipendenza e autonomia. L’enfasi sull’autonomia è così forte che l’individuo ritiene di avere non solo il diritto, ma addirittura il dovere di fare le proprie scelte in tutti gli ambiti della vita. Questo include il campo della religione e dell’etica. L’individuo ha il dovere di definire le proprie opinioni religiose o le proprie filosofie di vita e di stabilire i propri valori etici.

A questo proposito, nella società spicca una curiosa contraddizione.

Mentre l’individuo rivendica per sé il diritto di determinare le proprie opinioni religiose e filosofiche e di stabilire i propri valori etici, nella società odierna colpisce un forte conformismo. Prima di oltre mezzo secolo fa, la società era divisa in gruppi filosofici e religiosi chiaramente distinti: cattolici, protestanti, liberali, socialisti e comunisti. Ora, però, quasi tutti hanno iniziato a pensarla allo stesso modo, perché gli individui non sono così autonomi come pensano. Ciò che conta è la sensazione di essere autonomi. Ma in realtà la stragrande maggioranza delle persone non è in grado di fare le proprie scelte a livello filosofico. Pertanto, la maggioranza si allinea all’opinione pubblica. E guai a chi ha il coraggio di discostarsene.

In ogni caso, l’individuo autonomo, anche se segue quasi pedissequamente l’opinione pubblica, non ha bisogno di niente e di nessuno che lo trascenda: la società, la Chiesa e tanto meno Dio. Inoltre, l’opinione pubblica da cui è guidato è spesso contraria alla Chiesa. Questo vale anche per la società nel suo complesso.

Ad esempio, un giovane adulto cattolico che ha fatto domanda di lavoro è stato respinto perché il datore di lavoro, facendo una ricerca su Google, ha scoperto che aveva partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù: “Non voglio una persona del genere nella mia azienda”, è stata la sua opinione.

Quando ho cominciato a studiare al liceo nel 1965, praticamente tutti gli studenti e i loro genitori andavano in chiesa la domenica. Nell’anno di laurea 1970-1971, un insegnante di matematica chiese durante la lezione chi degli studenti andasse ancora alla Messa la domenica. Eravamo rimasti solo in due. Un’intera generazione di giovani decise allora di lasciare la Chiesa. Al massimo, andavano ancora in chiesa nei giorni di festa.

Tutto questo avvenne nella seconda metà degli anni Sessanta. Questi studenti sono attualmente la generazione dei nonni. Non hanno trasmesso la fede cattolica ai loro figli, tanto meno ai loro nipoti. Le nostre attuali chiese vuote o chiuse sono il frutto amaro di scelte fatte oltre mezzo secolo fa.

È così che siamo finiti nell’attuale era postmoderna. Per il postmodernismo filosofico, che caratterizza l’attuale cultura nell’Occidente, e per il quale, tra l’altro, le fondamenta erano già state gradualmente gettate nel secolo precedente. Il filosofo francese Jean-François Lyotard, che ha introdotto il termine postmodernismo nella filosofia, lo riassume brevemente quanto segue: «Semplificando all’estremo, si tiene che “postmoderno” sia la incredulità riguardante i grandi racconti».

Con i “grandi racconti” o “grandi narrazioni” (chiamati anche metanarrazioni, in francese metarécits) Lyotard intende le diverse correnti dell’Illuminismo per legittimare la conoscenza della verità, soprattutto la filosofia di Hegel. Ma un grande racconto è puramente la fede cristiana. Nell’attuale epoca dell’iper-individualismo non si crede più in un “grande racconto”, che legittima le convinzioni condivise da un grande numero di persone. Siccome vi sarebbe un fondamento manchevole del sapere e non vi sarebbe un metodo che spicca per avere accesso alla realtà, spetta all’individuo di scegliere le sue convinzioni a proprio piacere.

Le famose parole di Ponzio Pilato che questo dice a Gesù durante il processo contro di lui «Che cos’è la verità?» (Giov. 18,38) esprimono lo scetticismo di legittimare la conoscenza della verità, che caratterizza il pensiero assai diffuso nella società odierna.

Questo è il contesto in cui la Chiesa deve oggi trasmettere il Vangelo:

1. Il Vangelo, nelle parole di Lyotard anche un “grande racconto”, che annuncia Cristo come la verità in Persona, non è reputato dalla maggior parte della gente di essere in grado di legittimare la verità;

2. Vista la mancanza di un “grande racconto” che legittima la verità, manca una visione di Dio, del mondo e dell’uomo che può essere divisa da tutti;

3. L’iper-individualista ha da una parte una sfiducia generale verso le autorità, soprattutto quelle ecclesiastiche e verso gli istituti, anche la Chiesa. D’altra parte, è molto attaccato alla propria libertà di comporre la propria filosofia di vita, una libertà che lui, imprigionato dalla pubblica opinione per lui inafferrabile, di fatti non ha, come abbiamo segnalato sopra.

I teologi e i filosofi cristiani potevano discutere ancora con le correnti filosofiche dell’Illuminismo, cioè della Modernità, perché queste presumevano che una conoscenza universalmente valida della verità fosse possibile. Tuttavia, il postmodernismo esclude a priori una tale possibilità. Sulla verità, anche quelle rivelate da Cristo, non si può discutere con i postmoderni per la loro incredulità nei cosiddetti “grandi racconti”. Le numerose discussioni con parrocchiani, anche loro influenzati dal postmodernismo, sulla possibilità di legittimare la conoscenza della verità su Dio, sull’uomo e sul mondo, ostacolando oggi in gran parte la trasmissione della fede cristiana, scoraggia ed esaurisce non pochi preti. «Per questo, il nostro parroco, stufo di tutte quelle discussioni, non osa quasi lasciare più la sua canonica», mi disse una volta un mio amico.

Nel campo religioso si vede spesso una pura negazione di ogni trascendenza, ma ancora di più una forte indifferenza, causata dall’idea che la conoscenza della verità non sia comunque raggiungibile. Inoltre c’è spesso un grande influsso delle religioni orientali, soprattutto quella buddista. La gente spesso prende una combinazione di varie religioni diverse, senza fare una scelta esplicita per l’una o l’altra religione. C’è un tipo di consumismo religioso: si prendono dal supermercato delle religioni quelle idee, tipi di spiritualità o usi che piacciono. Si sente spesso dire “una religione vale l’altra”. In molte case il crocefisso è stato sostituito da una statua di Budda. Questa statua di un uomo bene in carne con una faccia contenta che medita sulla propria coscienza rappresenta meglio il benessere individuale che si cerca, che il crocefisso che ha fondato la Chiesa, la comunità di fedeli. La spiritualità, spesso vista come un riflettere sulla propria coscienza, è abbastanza popolare, però senza che ci si leghi a una religione. In ogni caso, si osserva in genere un’avversione profonda verso dogmi e dottrine. Inoltre, la presenza di diversi messianismi, sette e l’introduzione di altre religioni, effetto dell’immigrazione considerevole negli ultimi decenni, aumenta ancora la confusione, anche fra i battezzati.

2. L’impatto della secolarizzazione sull’etica medica

La secolarizzazione ha avuto conseguenze non solo in termini di fede, ma anche di etica. In definitiva, le nostre azioni morali devono basarsi sulla legge morale della natura, che può essere conosciuta da ogni essere umano con la sua ragione. I dieci comandamenti, tranne il terzo che riguarda l’osservanza del giorno del Signore, sono legge naturale morale rivelata. Dio ha ancora rivelato esplicitamente la legge naturale morale perché la nostra conoscenza è stata oscurata a causa del peccato originale. La legge naturale morale scaturisce dalla natura creaturale dell’uomo e quindi dall’ordine della creazione di Dio. Di conseguenza, la legge naturale morale si applica non solo ai credenti, ma a tutti gli esseri umani senza eccezioni.

Attraverso la sua proclamazione, compresa quella della legge morale della natura, la Chiesa plasma le coscienze dei credenti. Tuttavia, sono più consapevoli della legge morale naturale. Così come la Chiesa proclama il Creatore, proclama anche l’ordine che Egli ha posto nella sua creazione.

Tuttavia, l’individuo che insiste sulla propria autonomia si appropria del diritto di determinare i propri valori e standard morali. In questo modo, come già detto, la maggioranza è di fatto guidata dall’opinione pubblica. L’individuo sente che è la propria comprensione. Questo spiega il potere dell’opinione pubblica che difficilmente si apre alla voce della Chiesa. L’opinione pubblica implica che non esiste una verità che tutte le persone dovrebbero adottare, compresi i valori e le norme etiche. L’opinione pubblica proclama un relativismo etico. Il potere dell’opinione pubblica è così grande che non tollera contraddizioni. Ad esempio, chiunque abbia un’opinione sui Diritti LGBT che si discosti dall’opinione pubblica può contare su una dose di critiche feroci da parte dei media, e sui social media anche con minacce. Il relativismo etico dell’opinione pubblica ha quindi qualcosa di dittatoriale. Benedetto XVI lo ha già sottolineato più volte, ad esempio nell’omelia della “Missa Pro Eligendo Romano Pontifice” del 18 aprile 2005, all’inizio del conclave in cui è stato eletto Papa: «Sta emergendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e permette solo al proprio ego e ai suoi appetiti di essere la misura ultima».

Questa è una grande difficoltà con cui la Chiesa deve confrontarsi oggi. Il suo insegnamento è rifiutato e quasi proibito dalla dittatura del relativismo. Si sta tentando di mettere a tacere la Chiesa. Molti sono convinti che la religione cristiana possa essere proclamata solo “dietro la porta di casa” e non nel pubblico dominio. Ci sono anche tentativi di eliminare la religione cristiana, la sua terminologia e i suoi segni dal dominio pubblico. Tuttavia, la Chiesa non può e non deve accettare di poter proclamare la fede in Cristo solo “dietro la porta di casa”. Una separazione così radicale tra Chiesa e società, secondo cui la Chiesa deve rimanere in silenzio in pubblico, contraddice il compito affidato alla Chiesa dal suo fondatore Gesù Cristo di proclamare il Vangelo a tutti gli uomini del mondo (Mt 28,19-20; Mc 16,15).

Ciò include anche il compito di spiegare e presentare l’ordine dato da Dio nella sua creazione, su cui si basano i principi delle nostre azioni, come abbiamo detto sopra. L’ordine della creazione e il Vangelo sono i fondamenti dell’insegnamento sociale della Chiesa. Non può tenere questo insegnamento solo per sé, ma deve presentarlo alla società e soprattutto ai politici. La Chiesa cattolica romana è l’unica istituzione di livello mondiale che difende ancora il valore intrinseco della vita umana e la verità fondamentale sul matrimonio e sulla famiglia. Lo Stato, secondo l’insegnamento sociale della Chiesa, ha il dovere di proteggere questi valori. Non può quindi essere altrimenti che la Chiesa debba avere accesso alla sfera pubblica per presentare il suo messaggio alla società.

La Chiesa non lo costringe, contrariamente a quanto alcuni asseriscono. Nelle circostanze attuali, ciò non sarebbe affatto possibile. Anche altre correnti, come i partiti politici e altre organizzazioni, presentano pubblicamente le loro opinioni. Sono a favore o contro l’intervento dello Stato nell’economia, a favore o contro il libero mercato, a favore o contro l’aborto. È quindi inevitabile che la Chiesa, sulla base del suo insegnamento morale, cerchi di ispirare anche i politici e la società. La tesi che lo Stato possa essere guidato solo da valori neutrali è insostenibile. Lo Stato non è neutrale ed è guidato anche dalle opinioni prevalenti, che possono essere contrastate da altre opinioni. Inoltre, lo Stato democratico non può prendere decisioni a maggioranza se vengono violati i valori umani intrinseci e i diritti su di essi basati. La verità non si stabilisce con la ricerca statistica. E la storia insegna che la maggioranza può sbagliare.

Sulla base del relativismo etico, l’individuo autonomo pensa che spetti a lui determinare il valore della propria vita. E che può farla terminare se è arrivato a ritenere che la sua vita abbia perso ogni valore. Nella nostra società si dà generalmente per scontato, consciamente o inconsciamente, che la persona umana sia in realtà solo la coscienza umana. Si tratta della mente umana, in inglese indicata con la parola “mind”, in italiano “la mente”. La coscienza umana contiene la capacità di pensare, la capacità di fare scelte autonome e la capacità di stabilire relazioni specificamente umane con i propri simili. Per inciso, questa mente è spiegata in modo del tutto materialistico. La mente è vista come funzioni neurofisiologiche e biochimiche altamente sviluppate nei nuclei superiori del cervello e nella corteccia cerebrale, che si trova all’esterno del cervello. La coscienza umana o la mente è la persona umana vera e propria, che ha una dignità essenziale e quindi deve essere sempre considerata un fine in sé e non deve mai essere usata come un semplice mezzo. La dignità essenziale della persona umana verrebbe rispettata rispettando la sua autonomia, a meno che le sue azioni non siano dannose per gli altri.

In questa visione dell’uomo, il corpo umano è visto come un mezzo per esprimere se stesso. Il corpo, che in realtà non apparterebbe alla persona umana in quanto tale, è visto come un puro mezzo per raggiungere un fine. Quando il corpo come mezzo di espressione ha perso ogni valore per la persona, questa ha il diritto di rinunciarvi attraverso la terminazione attiva della vita.

Secondo la visione cattolica dell’uomo, l’uomo non è solo anima o solo corpo, ma anima e corpo. Il Concilio Vaticano II dice dell’uomo: «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell’uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno» (Gaudium et spes, n. 14).

Il corpo appartiene essenzialmente alla persona umana e quindi partecipa alla sua dignità essenziale come fine in sé. Il corpo non è mai un puro mezzo da utilizzare per raggiungere un fine. Pertanto, gli esseri umani non possono impegnarsi nella terminazione attiva della vita, nemmeno in se stessi, allo scopo di porre fine alla propria vita. Al massimo, abbiamo un diritto limitato di disporre del corpo, ad esempio per preservare la vita e la salute attraverso interventi medici o chirurgici.

Per quanto riguarda il valore della vita e altri valori, il cardinale Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana dal 1986 al 2006 e vicario generale della diocesi di Roma dal 1991 al 2006, ha introdotto il concetto di valori non-negoziabili in seguito a dibattiti nel Parlamento italiano.

Negli anni ‘70 e ‘80, l’eutanasia era già ampiamente praticata dai medici nei Paesi Bassi. Ho avuto a che fare con questo problema anche quando ero un assistente medico in formazione per diventare internista in uno degli ospedali accademici dell’Università di Amsterdam nel 1978 e 1979. Quando ricevevo una richiesta di eutanasia da parte di un paziente, indicavo in termini tattici ma chiari che, in base alle mie convinzioni cattoliche, non praticavo l’eutanasia. Un paziente occasionale si è poi astenuto. È accaduto anche che il capo clinica abbia poi eseguito l’eutanasia. Per inciso, il professore era contrario all’eutanasia, non per motivi etici, ma perché temeva le possibili conseguenze legali.

Diversi medici sono stati portati in tribunale nei Paesi Bassi per aver praticato l’eutanasia, ma sono stati praticamente sempre assolti dai tribunali. Il giudice ha quindi considerato l’eutanasia come un atto di forza maggiore. In questo caso, la forza maggiore significa che il medico si è trovato di fronte a un conflitto di doveri: da un lato, il dovere di preservare e proteggere la vita; dall’altro, il dovere di eliminare il più possibile il dolore e la sofferenza del paziente. Questi doveri possono entrare in conflitto l’uno con l’altro se il medico non vede altro modo per eliminare la sofferenza che porre fine alla vita. Si ritiene quindi che il medico sia andato formalmente contro la legge, ma non materialmente. I medici in questione perciò sono stati assolti nella maggior parte dei casi.

Nel 1993 fu adottato dal parlamento un regolamento provvisorio sull’eutanasia, anch’esso basato solo sul principio di forza maggiore, e lo stesso vale per la legge sull’eutanasia del 2002. Questa legge stabilisce che un medico che ha praticato l’eutanasia o il suicidio assistito non sarà perseguito se ha osservato una serie di misure di accuratezza. Per esempio, deve aver accertato con il paziente che non c’è altra opzione per la rimozione della sofferenza che la terminazione attiva della vita. Deve anche aver chiesto il parere di un altro medico indipendente, che deve aver visto il paziente. Il medico che ha praticato l’eutanasia o il suicidio assistito deve segnalarlo a uno dei comitati regionali di revisione dell’eutanasia. Se la commissione competente ritiene che il medico abbia agito con prudenza, non sarà perseguito. Se la commissione conclude che non l’ha fatto, presenta il rapporto al pubblico ministero, che valuta se perseguire il medico in questione.

L’invocazione della forza maggiore, cioè di una situazione di conflitto tra il dovere di preservare la vita e quello di porre fine alle sofferenze, implica la trasformazione di un valore fondamentalmente non-negoziabile come la vita in un valore negoziabile.

Nel corso degli anni, a seguito della legge sull’eutanasia, il numero di casi di eutanasia e di suicidio assistito è aumentato notevolmente. Questo dimostra che la consapevolezza della non-negoziabilità del valore della vita umana viene minata. Ad esempio, il numero di casi registrati di eutanasia e suicidio assistito è passato da 2.700 nel 1990 a 7.875 lo scorso anno. La graduale erosione della consapevolezza del valore essenziale e non-negoziabile della vita umana si riflette anche nel fatto che le indicazioni per l’eutanasia e il suicidio assistito sono state sempre più estese. La discussione in Olanda cominciò negli anni Settanta sul permettere l’eutanasia soltanto a richiesta del paziente che si trovava nella fase terminale di una malattia somatica. Più tardi si cominciava a discutere le possibilità della terminazione di vita a richiesta anche prima della fase terminale. Negli anni Novanta le possibilità erano estese a della malattie psichiatriche, quindi non somatiche. In seguito, l’eutanasia è stata applicata anche a causa della demenza.

La terminazione di vita è stata successivamente resa possibile anche per le persone che non possono esprimere la propria volontà, come i neonati disabili. Nel 2004 uno scandalo è sorto per un accordo fra il riparto di neonatologia dell’ospedale dell’Università di Groninga e il magistrato su un protocollo, il famoso protocollo di Groninga, che implicava una serie di richieste di accuratezza per la soppressione della vita di neonati handicappati (un neonato è un bambino che ha meno di un anno). I neonatologi, avendo rispettato dette richieste nella terminazione della vita di neonati handicappati, non sarebbero stati perseguitati. In quegli anni, quando mi presentavo all’estero come vescovo di Groninga, i miei interlocutori iniziavano subito a parlare del protocollo di Groninga. Mi sono poi affrettato a dire che non ho avuto alcun ruolo in questo. In seguito, questo protocollo ha dato origine a una normativa nazionale per l’aborto tardivo, a 24 settimane, perché da quel momento il bambino è vitale fuori dall’utero, e l’interruzione attiva della vita per i neonati disabili fino all’età di un anno.

Il 12 ottobre 2016 l’allora Ministro della Sicurezza e della Giustizia e quello della Salute del governo hanno scritto una lettera al Parlamento in cui hanno annunciato di sviluppare una nuova legge per regolare l’assistenza al suicidio per gente che non soffre di una malattia somatica o psichiatrica, ma di solitudine, la perdita di persone care, della vecchiaia o della mobilita limitata e concludono perciò che la loro vita ha perso il suo valore, che continuarla non fa senso e che la vita è perciò “compiuta”.

Una membra del parlamento di un partito liberale progressista, che ha argomentato molto in favore della legislazione del cosiddetto matrimonio omosessuale nel 2001 e della Legge sull’eutanasia nel 2002, ha presentato una proposta di legge per l’assistenza al suicidio per gente che è dell’opinione che la loro vita sia compiuta. Essa pone nella sua proposta un limite di età: solo dopo aver raggiunto l’età di 75 anni si potrebbe avere la possibilità di chiedere assistenza in caso di suicidio. Il rischio ovvio di questo limite d’età è di suggerire che la vita umana perde ad ogni modo il suo valore quando abbiamo 75 anni.

Lo stesso accade alla vita non ancora nata. L’aborto procurato è stato autorizzato per legge nel 1981, a condizione che fosse eseguito da un medico e che la donna si trovasse in una situazione di emergenza. L’esistenza di una situazione di emergenza è stata determinata dalla donna che ha richiesto l’aborto. Si tratta quindi di uno standard molto soggettivo. In linea di principio, la legge originaria sull’aborto prevedeva che una donna che chiedeva di abortire avesse un periodo di riflessione di cinque giorni, durante il quale doveva considerare la sua richiesta ed eventualmente ancora rinunciarvi. Quest’ultimo non è praticamente mai avvenuto. Il periodo di riflessione è stato abolito quest’anno. Si sta valutando la possibilità di consentire ai medici di base per legge di prescrivere la pillola abortiva. Tuttavia, la vita è un valore non-negoziabile dal concepimento fino alla fine naturale della vita. Anche la vita non-nata ha quindi una valore non-negoziabile.

Il numero di aborti nei Paesi Bassi sta diminuendo molto lentamente ed è piuttosto basso rispetto ad altri Paesi. Nel 2021 erano in totale 31.049. Tuttavia, questo basso numero è in gran parte dovuto al fatto che i genitori fanno prescrivere la contraccezione ormonale alle figlie dall’età di 13-14 anni. I giovani iniziano a sperimentare il sesso in età sempre più giovane. I genitori temono che le loro figlie possano rimanere incinte. Tuttavia, secondo la legge naturale morale, l’uso della contraccezione è un male morale in qualsiasi circostanza e per qualsiasi intenzione. A parte questo, poiché la contraccezione protegge la ragazza da una gravidanza indesiderata, la tentazione di procedere ad atti sessuali in età molto giovane è estremamente allettante. È quindi disastroso per l’educazione alla virtù della castità. E questo non è qualcosa di pruderie, come molti pensano. La castità è una virtù attraverso la quale gli istinti e gli impulsi sessuali sono integrati nella totalità della persona umana. Il matrimonio è una reciproca donazione totale dell’uomo e della donna. Una persona che non ha sviluppato nulla della virtù della castità non ha la padronanza delle proprie capacità sessuali e quindi avrà difficoltà a raggiungere la totale donazione reciproca, che è l’essenza del matrimonio.

Il valore essenziale della vita è violato anche dagli esperimenti sugli embrioni. La legge sugli esperimenti con gli embrioni del 2002 consente di effettuare esperimenti su embrioni superflui, ovvero embrioni lasciati in laboratorio nell’ambito di una procedura FIVET. Questi possono essere utilizzati per condurre esperimenti con il consenso dei genitori. Tuttavia, il Parlamento sta anche considerando di autorizzare la creazione di embrioni al solo scopo di utilizzarli per esperimenti. Questo è ancora più grave che permettere la sperimentazione sugli embrioni superflui, perché gli embrioni creati appositamente per la ricerca biomedica saranno radicalmente declassati come strumento per la ricerca scientifica e per lo sviluppo di future terapie contro malattie che oggi non possono essere curate. A chi sostiene che sperimentare su embrioni superflui e, in generale, realizzare deliberatamente embrioni solo per la ricerca scientifica è una flagrante violazione del valore non-negoziabile della vita umana non-nata, si risponde con la contro-argomentazione che rendere impossibile lo sviluppo di nuove terapie è impietoso per i pazienti affetti da malattie attualmente non curabili. Mediante questo accusa si cerca di mettere a tacere i difensori del valore essenziale della vita. Tuttavia, violare un valore essenziale come la vita non può mai essere considerato misericordioso.

Ci si potrebbe chiedere: ma che ne è dell’autonomia del nascituro? In genere si presume che il nascituro non sia ancora un essere umano. Oggi non si parla più di un momento particolare in cui il nascituro diventa umano, ma di un’umanità graduale e di una dignità progressivamente crescente del nascituro.

3. L’impatto della secolarizzazione sul matrimonio e sulla famiglia

La negazione di valori essenziali e non-negoziabili ha avuto ripercussioni anche sul matrimonio e sulla famiglia. L’inestricabile legame tra matrimonio, rapporti sessuali e procreazione era già sotto pressione tra le élite a partire dalla seconda metà del 19esimo secolo e soprattutto dopo la prima guerra mondiale negli anni Venti. Dopo la diffusione della pillola contraccettiva ormonale negli anni Sessanta, il disaccoppiamento tra matrimonio, rapporti sessuali e procreazione è diventato un fenomeno di massa.

Il tasso di divorzio è salito alle stelle a partire dagli anni Sessanta. La percentuale di matrimoni che si concludono con un divorzio è aumentata nei Paesi Bassi dal 19,3% nel 1975 al 40,1% nel 2014; in seguito si è registrata una leggera diminuzione del tasso di divorzio nel 2017, pari al 39,9%. Questo potrebbe essere legato agli alti costi associati al divorzio, all’insicurezza del reddito e al debito ipotecario.

Come in Italia, ma in misura minore perché la situazione economica è migliore, l’uso massiccio della contraccezione ormonale ha portato a un rapido calo del numero di figli, con conseguente forte invecchiamento della popolazione. Ciò significa che tra qualche decennio i Paesi Bassi, così come l’intera Europa occidentale, si troveranno ad affrontare i problemi economici che il Giappone sta già vivendo, perché lì il processo di invecchiamento è iniziato prima.

Inoltre, il matrimonio e la famiglia sono minacciati dalla teoria del gender, che nell’ultimo decennio è stata abbracciata in modo massiccio nei Paesi Bassi. L’idea alla base della teoria del genere è che il genere, cioè il ruolo sociale delle persone, possa essere completamente separato dalla sessualità biologica. Le persone potrebbero scegliere la propria identità di genere. Nei programmi educativi promossi da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini nelle scuole sono incoraggiati fin da piccoli a pensare all’identità di genere che gli si addice o che vuole scegliere. La teoria del genere è in rapida attuazione anche in ambito governativo e aziendale. Il disaccoppiamento totale del genere dalla sessualità biologica permette all’individuo autonomo di considerare quale identità di genere vuole scegliere: vuole essere gay, lesbica, transgender, transessuale o non-binario? Un transessuale è un uomo che pensa di essere in realtà una donna o viceversa. Una persona transgender è un transessuale che, attraverso un trattamento medico ed eventualmente chirurgico, ha adattato il proprio sesso fisico, per quanto possibile, a quella che considera la propria identità di genere o intende farlo. Nei Paesi Bassi, questi trattamenti e interventi chirurgici sono stati eseguiti già negli anni ‘90 presso l’ospedale della Vrije Universiteit di Amsterdam. Molti di questi trattamenti sono coperti dall’assicurazione sanitaria di base.

Nei Paesi Bassi dal 1° luglio 2014 è in vigore la legge sui transgender, che prevede che una persona possa cambiare il proprio sesso di nascita nel passaporto e nella registrazione di base a partire dall’età di 16 anni senza il consenso dei genitori presso l’anagrafe del Comune, a condizione che possa fornire una dichiarazione di un esperto (psichiatra o psicologo). Il passaporto neutro dal punto di vista del genere può essere richiesto solo attraverso i tribunali.

Attualmente il governo intende apportare importanti modifiche alla legge sui transgender del 2014. Le modifiche sono le seguenti:

1. il requisito della dichiarazione dell’esperto deve essere eliminato, in quanto considerato una violazione dell’autonomia dell’individuo: “sei tu a determinare il tuo genere” è un’affermazione che si sente spesso;

2. diventa possibile cambiare ripetutamente il proprio sesso;

3. viene eliminato il limite di età, in modo che i giovani al di sotto dei 16 anni possano cambiare il proprio sesso tramite una richiesta al tribunale. Quest’ultimo è uno sviluppo molto rischioso. Ad esempio, il tribunale potrebbe consentire la somministrazione di inibitori della pubertà a un bambino o a un adolescente. Si tratta di ormoni che possono avere gravi effetti collaterali. Il ritardo della pubertà ha lo scopo di dare al bambino o all’adolescente il tempo di riflettere sull’identità di genere desiderata e di prendere la decisione ponderata di cambiare sesso ed eventualmente di sottoporsi a trattamenti e/o interventi chirurgici di riassegnazione del sesso. Gli adolescenti possono avere spesso dubbi sul loro orientamento. Tuttavia, nell’80% dei casi la disforia di genere passa spontaneamente.

Un rischio importante di spingere un bambino a sottoporsi a trattamenti e interventi chirurgici drastici e irreversibili in tenera età per adattare il corpo all’identità di genere scelta è che il bambino commetta un errore e diventi in seguito un adottante pentito. Ma poi la persona interessata non può tornare indietro. Come già detto, il corpo è una dimensione essenziale della persona umana, sulla quale la persona ha solo un diritto limitato di disporre. Questo vale anche per gli organi riproduttivi. Negli adolescenti e nelle adolescenti è comune avere dubbi sul proprio sesso, ma di norma questo passa spontaneamente.

4. C’è un futuro per la Chiesa nei Paesi Bassi (e altrove)?

Finora vi ho riversato addosso molti dispiaceri: il numero dei cattolici sta diminuendo rapidamente, solo una minima parte dei cattolici partecipa ancora all’Eucaristia domenicale, il numero dei battesimi, dei primi comunicanti, dei cresimandi e dei matrimoni è diventato minimo. Nell’etica medica, il valore essenziale e quindi non-negoziabile della vita umana non viene quasi più rispettato. E ci si potrebbe chiedere se nel futuro ci saranno ancora persone che si sposeranno davanti alla Chiesa.

Forse starete pensando: davanti a noi c’è un vecchio cardinale sconsolato e stanco che ha abbandonato ogni speranza di proclamare la fede cattolica in modo un po’ fruttuoso.

Tuttavia, posso assicurarvi che non è affatto così. In primo luogo, il sacerdozio mi dà una profonda gioia spirituale interiore. È così fortemente radicata nella mia anima che niente e nessuno può portarmela via, nemmeno il declino della Chiesa cattolica nei Paesi Bassi a partire dagli anni Sessanta. In primavera, in occasione della Domenica delle Vocazioni, è stato pubblicato un giornalino in cui sacerdoti e seminaristi raccontavano le loro storie vocazionali. Nel mio intervento ho detto che, come sacerdote e vescovo, ho dovuto sopportare molte delusioni, umiliazioni e attacchi da parte dei media nei miei sforzi di proclamare la fede in fedeltà agli insegnamenti della Chiesa. Una volta diventato vescovo, sono diventato il bersaglio dei media. Nella mia vita episcopale ci sono state molte tempeste mediatiche.

Capitò subito tre settimane dopo la pubblicazione della mia nomina a vescovo di Groninga. Un giornalista era riuscito a impossessarsi dei testi dei miei corsi di teologia morale che avevo tenuto come professore in seminario. Così facendo, avevo commesso un peccato mortale: avevo osato farlo in accordo con l’insegnamento della Chiesa, il che è un peccato mortale per l’opinione pubblica. Per quattro mesi si è scatenata una tempesta mediatica che si è ripetuta regolarmente in seguito nella mia vita di vescovo. Eppure, in quel documento vocazionale ho detto con convinzione che se potessi tornare indietro nel tempo e Cristo mi chiamasse di nuovo al sacerdozio, sapendo in anticipo tutto ciò che mi aspettava, direi di nuovo di sì, forse con ancora più fervore che all’ordinazione sacerdotale nel 1985. Il motivo è che nel corso degli anni sono diventato sempre più consapevole e apprezzabile di quella profonda gioia spirituale interiore che dà il sacerdozio. Non mi mancherebbe per nulla al mondo.

Ma c’è anche qualcos’altro. Il numero di cattolici che partecipano alla vita ecclesiale è forse molto ridotto, ma ci sono anche sviluppi positivi. I cattolici che ancora vanno in chiesa la domenica lo fanno ormai molto più per convinzione e non per abitudine. Quando ero vice-parroco negli anni ‘80, avevo ancora la chiesa piena nella Santa Messa del sabato sera alle ore 19.00 e in quella della domenica mattina alle ore 11.00. Ma molti, se non la maggior parte, non erano d’accordo con gli insegnamenti della Chiesa. Molto spesso c’erano lotte e disaccordi sulla liturgia, poiché la maggior parte preferiva propri testi fatti in casa alla liturgia ufficiale della Chiesa, spesso preferendo letture non tratte dalle Sacre Scritture. La situazione è totalmente cambiata. I cattolici che ora frequentano la chiesa la domenica e sono giovani spesso adottano pienamente gli insegnamenti della Chiesa. Tra i cattolici più anziani, che costituiscono il gruppo più numeroso, questo può non essere così forte, ma posso predicare anche su peccati, paradiso, inferno e purgatorio senza essere linciato. E la maggior parte dei cattolici che ancora frequentano la chiesa ha un rapporto personale con Cristo e una vita di preghiera personale. Abbiamo visto sopra che negli anni ‘40 questo fu il seme della crisi che sarebbe esplosa nella Chiesa negli anni ‘60.

Una donna che si occupa della catechesi della cresima in una delle parrocchie dell’arcidiocesi una volta mi ha detto: «Avevo nel passato 25 cresimandi, ma quando ho tenuto una serata per i genitori sono venuti solo cinque genitori. Ora ho solo cinque cresimandi, ma quando tengo una serata per i genitori, vengono le cinque coppie i genitori. E se non possono venire una volta, si prendono la briga di informarmi telefonicamente in anticipo». Ciò significa che i genitori scelgono consapevolmente di fare la prima comunione dei loro figli. E non lo fanno sotto pressione sociale, perché questo ha un effetto negativo: farete ancora battezzare il vostro bambino o farete la prima comunione?

I pastori mi dicono anche che i giovani che optano per un matrimonio in chiesa lo fanno spesso in modo consapevole e con abbandono. Tra l’altro, il numero di matrimoni è molto basso. Nell’Arcidiocesi di Utrecht, che conta poco meno di 690.000 cattolici registrati, il numero totale di matrimoni in chiesa è di 65. Può essere un numero molto basso, ma si tratta di matrimoni celebrati con convinzione. I pastori notano che i pretendenti, come praticamente tutti i cattolici olandesi, sanno molto poco della loro fede, ma sono aperti e desiderosi di saperne di più. Non si discute più della liturgia della celebrazione del matrimonio, della celebrazione del battesimo o della cresima. Al massimo, questo è ancora occasionalmente il caso delle persone anziane quando si tratta della liturgia dei funerali.

Un altro fatto anche molto incoraggiante: quando sono stato ordinato sacerdote nel 1985, la maggior parte dei sacerdoti non usava il messale d’altare ufficiale, ma testi fatti in casa. A volte la preghiera eucaristica mancava persino delle parole di istituzione, rendendo la Messa invalida. Dopo il mio insediamento come arcivescovo di Utrecht nel 2008, nell’arcidiocesi erano attivi anche sacerdoti più anziani. All’inizio ho dovuto vietare più volte le inter-celebrazioni, celebrazioni eucaristiche in cui “concelebrava” anche un pastore protestante. L’attuale generazione di sacerdoti, invece, si attiene alla messale romana ufficiale e proclama la fede secondo gli insegnamenti della Chiesa.

A volte dico: la quantità di cattolici nei Paesi Bassi è diminuita drasticamente, ma la loro qualità è aumentata notevolmente. Quel piccolo gruppo di cattolici veramente fedeli che rimane può essere in futuro un piccolo nucleo di grande importanza per l’evangelizzazione o la rievangelizzazione, sia nel campo della fede sia in quello della morale e del rispetto per i valori non-negoziabili.

Papa Benedetto XVI ha offerto in diverse occasioni prospettive di speranza a questo proposito. Durante il suo viaggio nella Repubblica Ceca nel 2009, un giornalista gli chiese come la Chiesa potesse contribuire al bene comune della società in uno Stato fortemente secolarizzato. Dopo tutto, la Chiesa è una minoranza nella Repubblica Ceca. Il Papa ha risposto che piccole minoranze possono cambiare una cultura se sono creative, come dimostra la storia: «Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale».

In quanto minoranza creativa, può contribuire al bene comune a diversi livelli: quello del dialogo intellettuale, etico e umano, quello dell’insegnamento e quello della carità. Le istituzioni sanitarie cattoliche, le associazioni degli operatori sanitari, le università cattoliche, specialmente quelle con una scuola di medicina, per quanto piccole, possono avere un impatto sulla cultura come minoranze creative, mantenendo il dialogo con i non cattolici, pubblicando su questioni etiche mediche e offrendo un’eccellente cura amorevole a coloro che soffrono.

L’idea di minoranze creative è presa in prestito dallo storico e filosofo britannico Arnold Toynbee (1889-1975). Toynbee ha studiato l’ascesa e il declino di ventotto culture. Scoprì che diciotto di loro erano morti e nove erano già crollati. All’inizio degli anni Sessanta pensava che la cultura europea fosse sopravvissuta e che avrebbe continuato a esistere. Purtroppo, questa aspettativa non si è realizzata a causa della rapida insorgenza della secolarizzazione in Europa occidentale, come abbiamo detto sopra. Tuttavia, la sua conclusione rimane molto interessante per noi, ovvero che l’emergere di una cultura è dovuto al modo in cui le minoranze creative, composte da leader con idee e convinzioni chiare, rispondono alle sfide specifiche del loro tempo.

Mutatis mutandis, Papa Benedetto XVI applica questa idea anche alle minoranze cristiane, che possono avere un impatto significativo sulla cultura se vivono la loro fede, compreso il suo contenuto morale, in modo convincente e attivo. Nel suo libretto Fede e futuro del 1969, Joseph Ratzinger si chiede se la Chiesa avrà ancora un futuro. Pur ritenendo che la Chiesa sarà molto piccola in futuro, la sua risposta è un chiaro sì: la Chiesa ha un futuro – e così il suo intervento nel mondo politico e nella società. Ma «sarà rimodellata anche questa volta, come sempre dai santi».

Le minoranze creative cristiane, per esercitare un’influenza credibile ed efficace sulla politica e sulla società a partire dal patrimonio etico cristiano, devono quindi essere composte anche da santi. Come rappresentanti di una tale minoranza creativa possono essere considerati i capi di governo che dopo la Seconda guerra mondiale, invece di vendicarsi del nemico sconfitto, hanno cercato la riconciliazione tra loro sulla base delle loro convinzioni cristiane e in questo contesto hanno gettato le basi per la successiva comunità europea: Adenauer, Schumann, De Gasperi e De Gaulle. Purtroppo, a causa della rapida auto-secolarizzazione a partire dagli anni ‘60, la loro influenza cristiana non è stata emulata nemmeno tra i cattolici. Ma sono e restano esempi stimolanti di giovani cattolici convinti che formano una minoranza creativa con un’influenza feconda sulla cultura, sul mondo politico e sulla società.

Cosa può fare una minoranza creativa di cattolici per evangelizzare o rievangelizzare? Innanzitutto, cito alcune premesse:

1. La prima premessa è che mettiamo ordine nella nostra casa all’interno della Chiesa. La credibilità della Chiesa è stata danneggiata a causa di scandali, ad esempio quelli relativi agli abusi sessuali e agli scandali finanziari all’interno della Chiesa che non sono stati affrontati in modo adeguato. I leader della Chiesa dovranno agire in modo appropriato per evitare che simili scandali si verifichino in futuro nella Chiesa.

2. L’idea di una “nuova evangelizzazione” fu avanzata già da Paolo VI nel 1975 nella sua Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, in cui si parla di «uno slancio nuovo capace di creare, in una Chiesa ancor più radicata nella forza e nella potenza perenne della Pentecoste, nuovi tempi d’evangelizzazione» (n. 2).

Paolo VI osserva l’urgenza di questo nuovo slancio per la rottura fra la fede cristiana e l’attuale cultura e indica anche una condizione assoluta per l’evangelizzazione: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata» (Ibid., n. 20).

La condizione assoluta è quindi che si proclama davvero Cristo e il suo Vangelo.

Papa Giovanni Paolo II l’ha ripetutamente sottolineato. Nel suo discorso al CELAM nel 1992 Giovanni Paolo II chiarisce che la nuova evangelizzazione non implica la trasmissione di un nuovo Evangelo: «La nuova evangelizzazione non consiste in un “nuovo vangelo”, che deriverebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura, dalla nostra analisi delle necessità dell’uomo. Perché questo non sarebbe “vangelo”, ma pura invenzione umana e non vi sarebbe in esso salvezza. Non si tratta di tagliare fuori dal Vangelo tutto ciò che sembra difficilmente assimilabile alla mentalità odierna. Non è la cultura la misura del Vangelo, ma è Gesù Cristo la misura di ogni cultura e di ogni azione umana».

Chi trasmette il Vangelo, fa la gente conoscere e nello stesso tempo incontrare il Cristo, che rimane sempre lo stesso (cfr. Ebr. 13,8; Tertio millennio ineunte cap. V). Più fortemente ancora, Giovanni Paolo II afferma: «Essendo la “buona novella”, in Cristo c’è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l’agire e l’essere. La sua forza, il segreto dell’efficacia della sua azione sta nella totale identificazione col messaggio che annuncia: egli proclama la “buona novella” non solo con quello che dice o fa, ma con quello che è» (Redemptoris missio n. 13).

Chi cambia il contenuto del Vangelo, non propone alla gente Gesù Cristo, ma una propria invenzione umana. E le prive della verità. Cristo è, infatti, secondo le sue stesse parole “la via, la verità e la vita” (Giov. 14,6). Chi priva la gente dell’autentica verità in Cristo, le blocca pure l’accesso all’Eterno Padre, perché Cristo è l’unico mediatore fra noi e Dio (Redemptoris missio cap. I): «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giov. 14,6).

Per questo, la nuova Evangelizzazione non può implicare un adattamento del Vangelo alla cultura, nemmeno a quale post-moderna, cui non piacciono certamente molti elementi della fede cristiana. L’opposto deve succedere: la cultura deve essere cristianizzata. La novità della Nuova Evangelizzazione non concerne un cambiamento del contenuto del Vangelo, ma se necessario un adattamento alla cultura dello stile, dello sforzo e della programmazione, dei metodi e dell’espressione e un approfondimento dell’ardore dell’evangelizzazione (cfr. n. 10). Un adattamento del modo dell’evangelizzazione alla cultura è possibile e questo non è soltanto un adattamento esteriore secondo Giovanni Paolo II: «poiché l’inculturazione “significa l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture» (Redemptoris missio n. 52).

Tuttavia, nell’inculturazione del messaggio evangelico in una determinata cultura si devono rispettare due principi: «La compatibilità col Vangelo e la comunione con la chiesa universale» (Ibid. n. 54).
Una cosa è chiara: nella nostra catechesi e nella nostra predicazione non dobbiamo parlare solo di questioni etiche, e tanto meno politiche, ma prima di tutto di Cristo e del suo Vangelo.

3. Per l’evangelizzazione c’è ancora un’altra condizione molto importante. Chi evangelizza deve rendersi conto della cultura dominante, ascoltarla e cercare in essa delle possibilità per un accesso al Vangelo. Anche Giovanni Paolo II cerca nell’attuale cultura postmoderna delle aperture possibili, come ha fatto l’apostolo Paolo. Una volta ad Atena, Paolo «si reca all’Areopago, dove annuncia il Vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell’ambiente (Atti 17,22)» (Ibid., n. 37,c). Chi annuncia il Vangelo, deve cercare i nuovi areopaghi del nostro tempo (cfr. Tertio millennio ineunte n. 57). L’areopago del nostro tempo sono i mass media e i media sociali, mediante i quali possiamo raggiungere tutto il mondo. Giovanni Paolo II osserva nel 1990 che forse li usiamo ancora troppo poco (Redemptoris missio n. 37,c). Mentre mancano in genere oggi dei mass media cattolici, la Santa Sede, le diocesi e le parrocchie usano, però, i media sociali e le vie digitali oggi ampiamente.

L’evangelizzazione e la rievangelizzazione sembrano compiti quasi impossibili nella nostra epoca postmoderna. Tuttavia, non dobbiamo arrenderci troppo presto. Perché anche tra le persone secolarizzate ci sono aperture per il Vangelo. Con ciò, dobbiamo essere ben consapevoli che non dobbiamo presentare la fede come un insieme di dogmi o una dottrina. L’uomo secolarizzato non è aperto alle verità astratte. Inoltre, la Chiesa non proclama una verità astratta, ma una persona: Gesù Cristo. La catechesi mira a far incontrare le persone con Cristo. Così dice Giovanni Paolo II: «Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo» (Redemptoris missio n. 4).

Inoltre, le persone dalla mentalità individualista sono fortemente interessate alle biografie delle persone. Utilizzando le storie di vita dei santi, possiamo anche fare una catechesi significativa e fruttuosa. La biografia di San Francesco d’assisi si presta perfettamente a tale scopo.

L’individualista contemporaneo insiste inoltre sul diritto di fare le proprie scelte. A questo proposito, è bene chiarire che la fede cristiana è in linea con questo. Negli evangelici vediamo come Gesù non impone mai la fede a nessuno, ma si rivolge alla sua libertà personale. Vuole che decidiamo liberamente di seguirlo

Quali sono le opportunità concrete a disposizione delle minoranze creative cristiane convinte per annunciare autenticamente Cristo e il suo Vangelo tenendo conto della cultura odierna: nell’arcidiocesi di Utrecht, promuoviamo innanzitutto il cosiddetto corso Alpha. Questo corso è stato sviluppato da un sacerdote anglicano, Nicky Grumble, che aveva una parrocchia scaduta nel cuore di Londra. Si chiedeva come avrebbe potuto rivitalizzare la sua parrocchia. A tal fine, ha sviluppato il Corso Alpha. Si tratta di un libro con una serie di capitoli che spiegano in modo molto semplice chi è Gesù, che lo conosciamo attraverso le Sacre Scritture, cosa sono le Sacre Scritture e una serie di altri elementi fondamentali della fede cristiana, come la trinità divina. L’intenzione è quella di trattare un capitolo per ogni incontro. Il tutto è preceduto da un pasto condiviso, che serve anche a costruire la comunità cristiana. Tenendo questi corsi, riuscì a far rivivere la sua parrocchia. Presto fu sviluppata una versione cattolica del Corso Alpha. Il Corso Alpha è attualmente utilizzato in diversi Paesi. E in modo fecondo. C’è sempre un certo numero di partecipanti che si battezzano o si formano, o se già battezzati e/o cresimati decidono di partecipare nuovamente alle celebrazioni eucaristiche domenicali. Non di rado, diventano ardenti e attivi seguaci di Cristo.

Diversi sacerdoti olandesi, per lo più giovani, si ispirano al sacerdote canadese James Mallon, che ha tenuto conferenze anche nel nostro Paese sui modi per rivitalizzare le parrocchie. Ha anche descritto i suoi suggerimenti in un libro: Rinnovamento divino oltre la parrocchia. Poiché nei Paesi Bassi la secolarizzazione è molto più avanzata che in Canada, non tutte le sue idee sono applicabili nel nostro Paese. Tuttavia, uno dei suoi suggerimenti si rivela particolarmente prezioso anche per noi, quello relativo alle domeniche della famiglia. In queste domeniche sono invitati i primi comunicandi, i cresimandi e i loro genitori. I primi comunicandi e i cresimandi ricevono la catechesi in diverse categorie di età. La catechesi viene fatta anche ai genitori, perché spesso anche loro sanno poco della loro fede e quindi hanno una discussione comune con i loro figli su ciò che viene discusso nella catechesi. Tra l’altro, questo impedisce anche ai genitori dei primi comunicandi e dei cresimandi di spezzare a casa ciò che hanno imparato nella catechesi. L’Eucaristia viene poi celebrata insieme. L’incontro si conclude con un pasto condiviso. Le domeniche in famiglia sono molto apprezzate da genitori, bambini e ragazzi. Le domeniche delle famiglie si rivelano una buona opportunità per l’evangelizzazione e la rivitalizzazione della parrocchia, raggiungendo anche i genitori.

Infine, è importante notare che la catechesi si svolge meglio in parrocchia. Le scuole cattoliche – certamente nei Paesi Bassi – sono altamente secolarizzate. La maggior parte degli insegnanti non va più in chiesa. Ciò che l’uomo non ha non può darlo, e lo stesso vale per la fede. Comunque sia, il ritorno della catechesi nelle parrocchie significa un ritorno alla catechesi come indica il termine greco originale dal quale deriva cioè “katèchein” [κατηχεǐν]. Questo termine è usato anche nel Nuovo Testamento; cfr. Gal 6,6; Lc 1,4; At 18,25). Si tratta di un insegnamento orale, a contatto personale. Un insegnamento che non si limita a trasmettere conoscenze, ma una fede viva, una vita di preghiera personale, un rapporto vivo con Cristo. Si tratta di una catechesi spirituale tenuta da persone che sono esse stesse guidate dallo Spirito Santo per condurre altri (giovani) a una vita guidata dallo Spirito Santo. La catechesi si svolge in parrocchia in stretta connessione con le celebrazioni liturgiche. Per i bambini piccoli, la catechesi viene spesso impartita durante la Liturgia della Parola dell’Eucaristia. La preparazione ai sacramenti avviene spesso dopo la celebrazione eucaristica della domenica. Il grande vantaggio è che i bambini o i ragazzi (e anche i loro genitori) così partecipano alla celebrazione eucaristica.

Quando da vice-parroco insegnavo religione nella scuola parrocchiale, a metà degli anni Ottanta, parlavo dei sacramenti a bambini che non venivano mai in chiesa e che quindi non avevano la minima idea di ciò che stavo cercando di insegnare loro. Per essere molto chiari, non voglio dire che l’educazione religiosa a scuola non abbia valore. Io stesso sono diventato un cattolico convinto attraverso la catechesi nella prima classe della scuola elementare. Ma è stato dato da una donna che era lei stessa una cattolica convinta e zelante. Non tutti gli insegnanti erano così. I bambini lo notano molto rapidamente. Ciò non toglie che l’educazione religiosa a scuola, se impartita secondo l’insegnamento della Chiesa, possa avere un grande valore complementare rispetto alla catechesi in parrocchia. Per consentire una buona catechesi parrocchiale, nel 2016 l’arcidiocesi di Utrecht ha lanciato un programma di formazione triennale per formare i catechisti e garantire una buona catechesi parrocchiale. Sono un grande supporto per i sacerdoti nella catechesi per i primi comunicandi e i cresimandi, nella preparazione al battesimo dei genitori e nella catechesi degli adulti.

Inoltre, l’arcidiocesi di Utrecht organizza la preparazione al matrimonio. Si tratta di una serie di serate in cui viene spiegato il significato del matrimonio e del sacramento del matrimonio sulla base della Teologia del Corpo di Papa Giovanni Paolo II. Ci sono anche alcune serate in cui coppie esperte preparano i candidati al matrimonio alle difficoltà che potrebbero incontrare nella loro vita matrimoniale e a come affrontarle. In questi corsi insegniamo le coppie anche a pregare, affinché loro nel futuro facciano questo nella loro famiglie e insegnino questo anche ai loro figli. Non dobbiamo dimenticare che i primi catechisti sono i genitori. Detti corsi si tengono a livello regionale in vari luoghi dell’arcidiocesi, poiché le singole parrocchie hanno un numero di matrimoni troppo basso per realizzare un corso di matrimonio.

Conclusione

La Chiesa può diventare molto piccola, ma questo non è assolutamente un motivo per arrendersi. Rimangono i cattolici veramente convinti. Ma possono fare la differenza, se sono una minoranza creativa, nel senso inteso da Papa Benedetto XVI. In tutte le parrocchie si presentano regolarmente persone che hanno incontrato Cristo in un modo o nell’altro e decidono di seguirlo.

Se la parrocchia è davvero una minoranza creativa, può aiutare queste persone a conoscere meglio ciò che la Chiesa sostiene su Cristo e a entrare in una relazione personale con lui. Anche l’attuale cultura individualista e secolare un giorno tramonterà e sarà sostituita da un’altra cultura. Per questo, le parrocchie possono avere una grande influenza positiva se sono minoranze veramente creative. Quando ciò avverrà lo sa solo Dio. Nonostante la Chiesa sia attualmente in uno stato deplorevole, come cristiani possiamo guardare al futuro con ottimismo, sapendo che Dio ha l’ultima parola.

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