Centralità della questione palestinese

Di Gianni Baget Bozzo
03 Aprile 2003
La decisione americana dell’intervento in Irak ha posto l’Europa innanzi alla questione islamica

La decisione americana dell’intervento in Irak ha posto l’Europa innanzi al problema islamico, un problema che ha dominato la storia europea per un millennio: la questione islamica. Il terrorismo islamico ha ripreso a colpire in Irak anche in riferimento a un regime politico che aveva tentato di sostituire il nazionalismo arabo all’integrismo musulmano. E proprio il ripetersi di questi atti in questa guerra indica che la percezione religiosa del mondo musulmano dell’Occidente come area nemica è un fenomeno non marginale, che potrebbe divenire pericoloso. Il fondamento della rinascita del terrorismo islamico è certamente il conflitto israeliano-palestinese che ha cercato di esprimere con l’Intifada la sfida del più debole al più forte sino al sacrificio della vita nell’omicidio del nemico. La risoluzione del conflitto israeliano-palestinese è perciò la chiave della lotta contro il sentimento del mondo musulmano di una violazione della sua terra religiosa: e questo sentimento si è ormai esacerbato sino a diventare un motivo di martirio omicida. Per questo è stato molto importante che al primo incontro durante la guerra, il presidente americano e il premier inglese abbiano affermato il loro impegno per uno Stato palestinese. Questa è stata a lungo una politica dell’Unione Europea, ma una politica che non ha mai avuto effetto proprio perché gli Stati e il nazionalismo ideologico arabo, la Siria e l’Irak, legavano le mani ad ogni tentativo di una soluzione moderata del problema palestinese. Gli Stati del nazionalismo arabo, la Siria e l’Irak, sono dominati da un’ideologia fascista in cui lo Stato diviene lo strumento del partito, ed in cui la conseguenza è la ricerca e la resistenza ad Israele come motivo di connessione tra il nazionalismo arabo e la religione musulmana. Senza la guerra con Israele, i partiti del fascismo ideologico arabo non potrebbero esistere perché essi rappresentano la più falsa modernizzazione del mondo musulmano: quello che vede tale modernizzazione nella chiave del partito occidentale rivoluzionario, sia esso fascista o comunista. Perciò l’Europa non può essere indifferente all’esito della guerra: ed è chiamata a scegliere tra Bush e Blair da un lato e Saddam Hussein dall’altro: il vero dilemma che si è nascosto fino ad ora dietro l’alternativa semplicistica di pace o guerra. Di fatti il fronte del dissenso franco-tedesco si è molto attenuato: il governo di Berlino ha mandato persino propri incrociatori a proteggere le navi americane in viaggio nel Mediterraneo, come si era ben guardato dal richiamare gli Awacs dalla Turchia. L’Unione Europea non ha alcun interesse nell’affermarsi di una linea di identità islamica alternativa all’Occidente. Il fatto che i militari e il governo turco siano stati concordi nel non concedere il passaggio delle truppe americane in Irak, rompendo così un’alleanza che sembrava il fondamento politico del sistema turco, ha fatto misurare come l’identità islamica possa essere più forte degli interessi di stabilità politica e di sviluppo economico. Per questo l’eliminazione del nazionalismo ideologico arabo del regime di Baghdad è la condizione della separazione del sentimento arabo dalla lotta all’Occidente, attraverso la soluzione della questione palestinese, su cui il nazionalismo arabo ha costituito il proprio supporto politico. La vittoria anglo-americana e la sconfitta del regime irakeno sono dunque interessi europei, perché l’Europa ha bisogno di fondare quei rapporti con il mondo arabo musulmano che il conflitto palestinese impedisce e su cui Saddam trova un sostegno politico nel mondo musulmano sino alla pratica del suicidio terrorista.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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