
L’insensata idea di colpire il Chelsea e Medvedev per fermare Putin

Ieri Paolo Nori, scrittore censurato e poi goffamente riabilitato dall’Università Bicocca che aveva sospeso un suo corso su Dostoevskij, ha rilanciato il tweet di un tifoso russo del Parma che notava con disappunto come la Russia sia scomparsa anche dalle comunicazioni che la squadra di calcio di Gigi Buffon fa per mettere al corrente degli orari delle prossime partite i proprio supporter in giro per il mondo. C’erano tutte le città e i relativi fusi orari, tranne Mosca. «Magari non ci fate caso», scriveva @parma_rus, «ma noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo. Io non ho mai sparato a nessuno né iniziato una guerra. Sono orgoglioso di essere russo e sono orgoglioso di essere parmigiano».
Le sanzioni agli atleti servono?
È una sciocchezza, un particolare trascurabile nel caos mondiale in cui la guerra di Putin all’Ucraina ha gettato il mondo, ma è indicativa della corsa alla cancellazione di tutto ciò che è russo in cui lo sport sta giocando un ruolo significativo ancorché in certi casi grottesco. Se è vero che le sanzioni imposte alla Russia hanno lo scopo di isolare Mosca dal resto del mondo, fare pressione sulla popolazione, di fatto colpendola, tramite lo sport, ha effetti collaterali discutibili.
Come ha ben riassunto Angelo Carotenuto su Slalom, «non c’è una linea univoca Russi e bielorussi sono stati prima ammessi alle Paralimpiadi e 24 ore dopo esclusi, per motivi di sicurezza all’interno del Villaggio. Le pattinatrici russe non saranno ai Mondiali. I russi sono fuori anche dai Mondiali di atletica leggera, sia indoor (da venerdì a Belgrado), sia all’aperto in estate a Eugene: significa che non vedremo la campionessa olimpica di salto in alto Mariya Lasitskene né la campionessa mondiale di salto con l’asta, medaglia d’argento olimpica, Anzehilka Sidorova. […] La F1 ha lasciato ai russi la chance di correre senza bandiera, ma la Gran Bretagna ha imposto il bando sul suo territorio. La Haas ha rimosso Mazepin e dato la sua macchina a Magnussen. Ciclismo e nuoto non hanno aderito all’ultimo grado di sanzione sollecitato dal CIO e si sono fermati al primo scalino, quello già adottato alle Olimpiadi per il doping di Stato: venite, ma senza inno e bandiera».
O ti schieri o non giochi
In nome della nuova certezza morale dell’Occidente, scopertosi migliore e superiore al despota russo Putin, lo sport sta subendo un trattamento analogo a quello della cultura – con corsi di letteratura sospesi, artisti russi che non possono più esibirsi, mostre cancellate in tutto il mondo e in generale un sentimento antirusso diffuso. Colpire gli sportivi russi ha eco immediata, è facile, e date le circostanze non attira critiche, semmai applausi. Su proposta del ministro dello Sport Nigel Huddleston, in Inghilterra si sta discutendo di non permettere ai tennisti russi di partecipare al torneo di Wimbledon a meno che non prendano pubblicamente posizione contro Vladimir Putin.
Huddleston ha colto perfettamente l’atmosfera del momento, capisce che lo sport deve prendere posizione contro l’invasione dell’Ucraina, e sa che qualunque persona sensata è d’accordo. Il problema è che sembra essersi innescata una gara a chi trova la punizione peggiore per gli atleti russi per il solo fatto che sono russi. A quanto pare cacciare la Russia dalle principali competizioni e reprimere gli oligarchi proprietari di squadre di calcio non è sufficiente.
Per questo Huddleston sostiene che non basta più per i tennisti russi e bielorussi essere “neutrali”, non se vogliono giocare a Wimbledon quest’estate. Non basta gareggiare senza bandiera o esprimersi per la pace, come ha fatto il numero 2 al mondo Daniil Medvedev. «Penso che si debba andare oltre» ha detto il ministro, «dobbiamo avere la certezza che non sono sostenitori di Vladimir Putin, e stiamo valutando quali requisiti potremmo aver bisogno per ottenere assicurazioni in tal senso». Una richiesta di schieramento più tipica di un regime come quello russo che di un paese liberale.
“Sportivizzare” il mondo e moralizzare lo sport
È giusto obbligare qualcuno a prendere posizione politica in un momento come questo, in particolare contro un governo come quello russo, pena l’esclusione dal proprio lavoro di sportivo? Soprattutto, serve a costruire la pace in Ucraina? Anche se c’è chi arruola tra le file dei putiniani chi usa la parola “complessità”, la risposta a queste domande non è semplice – a dirla tutta è “no” – e applicare questo manicheismo neomaccartista allo sport non promette bene: “sportivizzare” il mondo, dividendoci in tifoserie, e moralizzare lo sport non può essere la strada.
Il caso forse più eclatante e surreale è quello del Chelsea. Il club inglese di calcio è di proprietà di Roman Abramovich da quasi vent’anni, durante i quali, grazie ai soldi dell’oligarca russo, ha vinto tutti i trofei possibili. Pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina Abramovich ha messo in vendita il club, ma la di poco successiva approvazione di una legge del Regno Unito contro gli oligarchi ha congelato tutti i suoi beni, Chelsea compreso.
Il club, vittorioso ieri sera in Champions League contro il Lille, ha ottenuto una deroga per continuare a partecipare al campionato, ma con forti limitazioni: non può più vendere biglietti e merchandising, comprare e vendere giocatori né spendere più di ventimila sterline per viaggiare in occasione delle partite in trasferta.
Colpire il Chelsea per colpire Putin?
Diversi sponsor hanno chiesto di non essere più associati al club londinese e gli avversari ne approfittano: l’allenatore del Liverpool Jurgen Klopp ha moraleggiato sui soldi grazie ai quali il Chelsea ha vinto nelle ultime stagioni, e il Middlesbrough, prossima avversaria in FA Cup della squadra campione d’Europa in carica, ha rifiutato di giocare a porte chiuse data l’impossibilità dei Blues di vendere i biglietti per la sfida: «Chelsea e integrità sportiva non possono stare nella stessa frase», ha provocato il presidente del Middlesbrough.
Ora, la domanda legittima è: chi è colpito di più da questo tipo di sanzione, che ha trasformato uno storico club inglese in una sorta di battaglione ceceno al soldo dell’esercito russo? Abramovich, che aveva già deciso di cedere il club, Putin, che continua la sua guerra in Ucraina, o i tifosi inglesi? Non è così che deve essere usato lo sport per combattere la guerra ibrida contro Mosca.
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2 commenti
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nel 1976 ci giocammo la Coppa Davis a Santiago del Cile, dopo il colpo di stato (propiziato dagli americani…) di quel sant’uomo di Pinochet. Ma siamo sicuri che Putin sia peggio di noi….?
Quello che penso sarà irrilevante, ma voglio dissociarmi da questa deriva fondamentalista (razzista?) e antisportiva. Se lo Sport non si tiene fuori dalla politica e da tutto ciò che interferisce e stravolge il suo fine ultimo è destinato a fare una brutta fine; già è sulla buona strada per via degli interessi economici e commerciali.
Seguendo il criterio di questo puritanesimo moralista si dovrebbe escludere da tutte le competizioni anche la Cina, il Qatar, Turchia, molti paesi arabi, africani, centro-sudamericani. Ma dove si finirebbe?