Chi ha riempito le casse d’Italia

Il 2006 si è chiuso con un fabbisogno statale di cassa inchiodato al 2 per cento del Pil, a quota 35 miliardi di euro invece che a 60 come nel 2005. Nelle prime settimane di vita di questo governo, però, il neoministro Tommaso Padoa-Schioppa aveva portato la stima del fabbisogno a 70 miliardi di euro. Un mese e mezzo dopo, quando venne consegnato alle Camere il Dpef, resisi conto che le entrate fiscali erano in fortissimo aumento dall’inizio dell’anno, Padoa-Schioppa, Prodi e Visco abbassarono le stime del fabbisogno a 59 miliardi. Qualche settimana dopo ancora, nell’ultima revisione prima della Finanziaria, la stima scese a 47,7 miliardi. Luigi Spaventa, un analista non certo sospettabile di nutrire simpatia per il centrodestra, si è chiesto come sia possibile che Padoa-Schioppa abbia commesso errori di valutazione di questa grandezza. La domanda è retorica, e la risposta è che dietro la manovra del governo Prodi, come si vede, si nasconde una colossale menzogna. Quella di una finanza pubblica a pezzi, in condizioni simili a quella del 1992, come Padoa-Schioppa ha ripetuto sino alla nausea. E tale da poter essere fronteggiata solo con una maxi batteria di aggravi fiscali per oltre 20 miliardi di euro. In realtà non c’era nessuna emergenza, e la messe fiscale che Padoa-Schioppa e Visco garantiscono al governo Prodi è il combustibile politico da spendere per iniziative stataliste, nei prossimi anni.
E se era menzogna l’analisi contabile che della Finanziaria ha costituito il fondamento, lo è anche la polemica animata dal governo sulla paternità della riduzione record del fabbisogno nel 2005. Con i dati resi noti ad oggi, infatti, c’è una sola certezza: sui dati dei primi 10 mesi, la paternità del governo precedente è indiscussa. Non solo perché l’entità della microcorrezione varata nel luglio scorso dal governo era stimata dal governo stesso in appena un -0,1 per cento di deficit sul Pil. Ma soprattutto perché ben 15 dei 25 miliardi di euro di minor fabbisogno netto 2006 sul 2005 si sono verificati nel primo semestre. La riduzione, cioè, si è avviata in maniera decisa e sistematica da inizio anno, per effetto dell’ultima Finanziaria Tremonti. È stato l’effetto combinato delle energiche compressioni della spesa disposte dal centrodestra, che prima del voto politico si trovava a dover mettere riparo di corsa a un deficit tendenziale superiore al 5 per cento del Pil alimentato dalla mancata disciplina contabile esercitata sotto il ministro Siniscalco, e di una Finanziaria 2006 che sul versante fiscale ha azzeccato tre mosse una più giusta dell’altra. Ha accompagnato la ripresa della crescita del Pil senza strangolarla, cioè non alzando le aliquote di prelievo dopo averle abbassate negli anni precedenti: questo spiega i dati Irpef e soprattutto Iva, entrambi superiori di tre volte alla crescita del prodotto 2006. Ha esteso la base imponibile per le società e le persone giuridiche, ma anche qui senza alzare le aliquote bensì mutando un regime che in precedenza favoriva il credito d’imposta realizzabile con operazioni infragruppo o triangolando sull’estero: ciò spiega l’ottima raccolta dell’Ires, che cresce a doppia cifra nei primi 10 mesi del 2006. Infine, lasciando ferma l’aliquota sulle attività finanziarie che invece Prodi alzerà nel 2007, Tremonti ha messo il bilancio pubblico in condizioni di “raccogliere” bene anche sul mercato finanziario, cresciuto del 19 per cento nel 2006. Ebbene, il governo Prodi, nel 2007, ribalterà ciascuna di queste tre premesse. Col bel risultato che il fabbisogno dello Stato ha ottime probabilità di crescere, rispetto ai 35 miliardi ai quali lo ha lasciato il governo Berlusconi.

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