
Chi tifa per lo sbarco selvaggio

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nel 2015 sono sbarcati in Italia 153 mila migranti dopo aver attraversato il Mediterraneo. Nel 2016 il numero è salito a 181 mila. Per far fronte all’emergenza il governo ha moltiplicato i posti in strutture temporanee, hot spot, centri di accoglienza, Sprar: se questi ospitavano 22.218 persone nel 2013, a fine 2016 il dato è salito a 176.554. Per gestire la crisi degli sbarchi Roma, che nel 2011 spendeva 840 milioni di euro, ha dovuto stanziare 3,7 miliardi nel 2016, mentre quest’anno arriverà a sborsare circa 4 miliardi. Ogni richiesta di aiuto all’Unione Europea è rimasta pressoché inascoltata: l’accordo per ricollocare i profughi stipulato nel 2015 doveva alleggerire l’Italia di almeno 40 mila migranti entro settembre 2017, ma finora poco più di 8 mila hanno lasciato il nostro paese per altri lidi europei. Dopo le elezioni in Francia, per qualche settimana il premier Paolo Gentiloni ha sperato che il nuovo inquilino dell’Eliseo, l’europeista Emmanuel Macron, avrebbe spinto Bruxelles a cambiare atteggiamento. Invece a fine giugno è arrivata la doccia fredda: «Noi sosteniamo Roma – ha detto il presidente della République – ma l’80 per cento dei profughi che arrivano in Italia sono migranti economici, non rifugiati». Tradotto: arrangiatevi. Ed è esattamente quello che ha fatto l’Italia. Se tra luglio e agosto gli arrivi sono crollati (14.800 contro i 44 mila del 2016) il merito è tutto della politica adottata dal ministro dell’Interno Marco Minniti.
Nel giro di sei mesi il ministro ha migliorato la situazione in quattro mosse in accordo con l’Unione Europea:
1) ha trovato a febbraio un accordo con Fayez al-Serraj, premier del governo di accordo nazionale riconosciuto dall’Onu con sede a Tripoli, per la gestione dei flussi migratori, il controllo delle coste e delle frontiere meridionali libiche. L’Italia ha consegnato alla Guardia costiera libica 10 motovedette (e altre saranno consegnate nei prossimi mesi), fornendo assistenza per la manutenzione e formazione degli equipaggi;
2) Minniti ha firmato ad aprile a Roma un accordo di pace con 60 tribù del sud della Libia – tra cui i “guardiani del deserto” Tuareg, Tebu e Suleiman – per ristabilire il controllo dei confini meridionali del paese attraverso il quale passa il traffico dei migranti. Inoltre, il 16 luglio ha riunito nella capitale i vertici di 14 municipalità libiche, che si arricchiscono con il traffico illegale, per sostituirlo con un modello economico alternativo e sostenibile. Per controllare il fenomeno migratorio ha poi avviato il coordinamento dei ministri degli Interni di Italia, Niger, Ciad e Mali;
3) a fine luglio è entrato in vigore il codice di condotta per le Ong impegnate nel salvataggio dei migranti, allo scopo di ribadire il divieto di portare soccorso in acque libiche e l’obbligo di recuperare i barconi usati dai trafficanti;
4) infine, il governo ha finanziato con una trentina di milioni le missioni in Libia di Unhcr e Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) per migliorare la gestione dei campi profughi in Libia, dove spesso i migranti vengono rinchiusi in condizioni disumane, e per finanziare i rimpatri volontari dei migranti con l’aggiunta di un contributo in denaro per aprire attività nel paese di provenienza.
Una fonte di introiti perduta
I risultati non si sono fatti attendere e ad agosto gli sbarchi in Italia sono diminuiti dell’87 per cento. Tutto bene quel che finisce bene, dunque, ovazioni in patria e complimenti dai partner europei? Niente affatto. A fine agosto due reportage di Associated Press e Reuters accusano l’Italia di «trattare con i trafficanti di esseri umani», in particolare con due milizie che a Sabrata bloccano i migranti impedendo che lascino il paese. Subito l’alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, alza la voce, si dice «scioccato» e condanna l’Unione Europea che «deve garantire il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti». Pochi giorni dopo, il vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito, si allarma riprendendo alcune indiscrezioni diffuse dalla Arab Thought Foundation: «Sarebbe gravissimo se fosse confermato che rappresentanti diplomatici di Francia e Regno Unito si sono incontrati con i capi dell’esercito libico per criticare la gestione italiana finalizzata a fermare gli sbarchi».
Un vero fuoco di fila che non stupisce affatto un osservatore navigato e informato come Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it: «Intanto l’Italia ha smentito qualsiasi rapporto con i trafficanti», precisa a Tempi. «Noi abbiamo dialogato con un premier riconosciuto dall’Onu, il quale però non dispone né di esercito né di polizia, quindi è normale che si affidi alle milizie per far rispettare la legge. Del resto, non ci sono alternative: o inviamo l’esercito sulle coste libiche o trattiamo con chi comanda sul terreno». Per quanto riguarda il dilagare improvviso di indiscrezioni e accuse, Gaiani è dell’idea che «nulla è casuale. Non si può ignorare che interrompendo i flussi di migranti si dà fastidio a molte persone dentro e fuori dall’Italia. Prima di tutto si rovina la lobby del soccorso e sappiamo quante Ong si sono arricchite andando a salvare i migranti; poi si distrugge il business dell’accoglienza, che in patria è diventata una gallinella dalle uova d’oro per associazioni e cooperative; infine i trafficanti di uomini perdono la fonte dei loro introiti. Per tutti questi attori la fine degli sbarchi, che nel 2016 hanno portato a un numero record di oltre 5 mila vittime, è un disastro».
Anche il presunto intervento di uomini dei servizi di intelligence francesi e inglesi non deve sorprendere nessuno. «Londra e Parigi hanno scatenato una guerra per scalzare l’Italia dalla Libia. Non è un mistero che non vedano di buon occhio la nostra influenza in Tripolitania, dove opera l’Eni», continua Gaiani. «L’Italia ha sempre lavorato in accordo con l’Europa, ma è in atto una lotta tra potenze europee per spazi di egemonia. Francia e Inghilterra sono felici di vederci in difficoltà sommersi dai flussi di immigrati illegali. Noi però abbiamo dimostrato che in Libia, nel nostro giardino di casa, siamo ancora in grado di muoverci molto bene».
È sulla stessa linea d’onda il generale Mario Mori, che da ex direttore del Sisde di servizi segreti qualcosa ne sa. «La politica di Francia e Londra, soprattutto dei loro servizi, è sempre stata divergente rispetto a quella europea e italiana. In particolare in Libia, che è un pozzo di petrolio e fa gola a tutti», spiega a Tempi l’ex comandante dei Ros, che oggi si è calato nell’arena politica per curare i temi della sicurezza nel programma di Energie per l’Italia di Stefano Parisi. «Questo è un campo dove il confine tra amici e nemici è sottile. E le nazioni con interessi contrastanti rispetto ai nostri sono molte».
Il cattivissimo Minniti
Che l’Italia sia per ora riuscita a bloccare i flussi, resistendo alle spallate di Francia e Inghilterra, è un risultato di cui va dato pieno merito al ministro Minniti. «Non posso che fargli i complimenti», si sbilancia Gaiani, sottolineando la capacità di dialogare con entrambi i governi che attualmente si contendono il controllo della Libia: quello di Serraj a ovest e quello di Khalifa Haftar a est. «Va a trattare in Cirenaica con il generale Haftar come se fosse il ministro degli Esteri, si occupa di sicurezza come se fosse il ministro della Difesa. Ha quasi assunto un ruolo di ministro plenipotenziario per quanto riguarda la Libia. E consideriamo che tra gli avversari ci sono anche molti uomini del suo stesso Partito democratico».
Anche Mori è stregato dal “cattivissimo” Minniti: «Finalmente abbiamo qualcuno che non si affida solo a quattro consiglieri, ma conosce personalmente i problemi del terrorismo e dell’immigrazione e non ha paura di fare ciò che bisogna fare». In che senso? «Le accuse di complicità con i trafficanti che ci sono state mosse non valgono nulla se non vengono dimostrate», chiosa il generale. «Detto questo, bisogna sempre procedere per priorità, tenendo conto dei valori che abbiamo da difendere e degli interessi. Io credo che quando in gioco ci sono la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, ecco, questi valori devono sempre prevalere su altre considerazioni».
Foto Ansa
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