
Chi va con il cattolico impara l’intolleranza (altrui)
Ricevo una lettera da un signore che, dopo aver dichiarato la propria avversione ad ogni sorta di intolleranza, mi rimprovera la mia cattiva frequentazione di quegli “integralisti” di Comunione e Liberazione («pare che lei vada “persino” al Meeting di Rimini».). Un altro, più aperto, concede che al Meeting possano esservi iniziative interessanti, “malgrado” i fischi a Paola Binetti e la presenza di. Silvio Berlusconi. Se gli spieghi che la mancanza di professionalità di gran parte della stampa si misura con la morbosità con cui si è occupata di questi “eventi”, anziché di quelli più significativi e di sostanza, ascolta con un sorrisino di scettica condiscendenza. Assai più severo, come da ruolo, un noto accademico dichiara perentorio che, poiché ho un passato di persona seria, l’unica spiegazione è che ho “saltato qualche fosso” per approdare chissà su quali lidi. In traduzione: sarei un corrotto.
Quel che colpisce in questi atteggiamenti non è neppure il pregiudizio e la mancanza di curiosità, ma l’intimidazione violenta oltre ogni dire. Il sillogismo “Cl è un convento-bordello, ti hanno visto uscire di là, prova a giustificarti se ti è possibile”, ha come ovvia conseguenza un verdetto di colpevolezza talmente perentorio e indiscutibile da metterti in soggezione: nel replicare, ti sembra quasi che sia necessario argomentare che sei ancora una persona perbene. Per questi signori neppure esiste il problema di giustificare la loro frequentazione di personaggi alla Gianni Vattimo, che sostiene che la creazione dello Stato di Israele, e non la morte di alcuni milioni di esseri umani, sia stato il “danno più grave” inflitto all’umanità dai nazisti. Quello è, tutt’al più, un compagno che sbaglia o eccede. Ma tu, tu che hai avuto la spudoratezza di metter piede a Rimini, sei da disinfestazione.
In circostanze simili, misuri il grado di libertà che hai raggiunto con la brevità dell’esitazione prima di rispondere: al diavolo, provvedete piuttosto voi a curare la vostra cattiva coscienza e la vostra mente malata di intolleranza. Per parte mia, mi limiterò a dire che è raro incontrare, come al Meeting, un pubblico così attento, scrupoloso, desideroso di ascoltare e riflettere e che poi ti insegue per approfondire, obiettare, discutere. Per un docente universitario, poi, è una boccata di ossigeno; abituato ormai a corsi che sono un propinare nozioni alla svelta, tutte in funzione di crediti ed esami, all’impossibilità di sollevare un tema su cui “pensare”, altrimenti ti senti chiedere se fa parte del programma, e se no chi se ne importa perché c’è già troppo carico didattico e cose da fare; rassegnato com’è al fatto che l’università non è più un luogo dove si fa cultura o si “educa” ma soltanto una fabbrica di diplomi. È un sollievo incontrare giovani che credevi che non esistessero più, che sono là per pensare con la propria testa, in modo gratuito, per il solo piacere di pensare. Magari sono gli stessi che incontri nell’università, dove però c’è spazio soltanto per pensare al curriculum: la finalità del contesto può uccidere le migliori disposizioni. Poi, certo, puoi incontrare anche qualcuno che non ti piace o con cui non vai d’accordo: ma fare una simile ovvia constatazione sarebbe soltanto un omaggio all’intimidazione.
Adesso ditemi pure che sono un servo e un venduto: non meritate neppure una querela.
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