«Chi vuole Buffon fuori dalla Nazionale non ha letto le carte della Procura»

Di Emmanuele Michela
12 Giugno 2012
Calcioscommesse, il blogger Antonio Corsa difende il portiere azzurro. Tra imprecisioni, rapide condanne e impossibilità a difendersi, ecco i tanti punti ambigui delle indagini.

“Napolitano e quello strano abbraccio con Buffon”. Il titolo del Fatto Quotidiano di oggi si erge chiaro a gettare perplessità sull’incontro del capo dello Stato con la squadra azzurra al termine della partita Italia-Spagna. Il portiere della Juve è al centro delle chiacchiere mediatiche da ormai diversi giorni: era il 31 maggio quando uscì l’informativa della Guardia di Finanza che lo tirava in ballo. Già allora la vicenda aveva diversi punti ambigui, come del resto tutte le indagini relative all’inchiesta sul Calcioscommesse. Ne abbiamo voluto parlare con Antonio Corsa, grande tifoso juventino e blogger, che dai suoi portali (Uccellinodidelpiero.com e Antoniocorsa.com) sta esprimendo diverse perplessità sull’indagine Last Bet.

Da quando Buffon è stato tirato in ballo, sul suo nome sono state spese tante parole: qualcuno lo voleva addirittura fuori dalla Nazionale.
Sicuramente hanno influito in maniera forte le dichiarazioni di Gianluigi in conferenza stampa, l’indomani della perquisizione di Criscito a Coverciano. È come se qualcuno avesse voluto agire con la rappresaglia: hanno fatto a lui ciò di cui si lamentava. Subito dopo, molti hanno colto l’occasione per costruire articoli sulla vicenda, dare giudizi, parlare: ad esempio, c’è chi ha voluto chiamare in ballo l’esperto di turno per discutere della propensione a scommettere come di un tumore, chi ha parlato d’immoralità per le cifre astronomiche in questione. Tante chiacchiere, parole che dipendono in molti casi dall’ignoranza, perché credo che il carteggio che parla di Buffon, cioè quello tra la procura di Cremona e quella di Torino, l’abbiano letto in pochi e ancora meno persone l’abbiano capito.

In che senso?
Tanti di quelli che ne hanno scritto, hanno riportato diverse cose imprecise. Anche Travaglio ha dedicato due articoli all’argomento, facendo almeno una decina di errori. Ad esempio: Buffon non è indagato, non c’entra nulla col processo sulle scommesse alla procura di Cremona, come invece qualcuno ha scritto. Ma al di là degli sbagli, ciò che mi ha lasciato più perplesso è che stiamo parlando di qualcosa che non doveva neppure uscire sui giornali: non per una questione morale, ma per motivi oggettivi. Se leggi all’interno del carteggio della Procura di Torino, c’è scritto: «Avendo questo ufficio in corso ulteriore attività investigativa riguardo soggetti che a tutt’oggi non risultano a conoscenza delle medesime».

Cosa significa?
Che è stato pubblicato del materiale riservato, nel quale la Procura di Torino spiega a quella di Cremona di avere in ballo indagini su soggetti che non sono ancora stati informati. Rendere pubbliche queste carte, quindi, non solo ha rovinato l’indagine ma ha pure reso vana e patetica la perquisizione fatta alla tabaccheria di Parma dove Buffon avrebbe scommesso: se anche c’era qualcosa di utile per l’inchiesta, hanno permesso che venisse fatto sparire. E poi da questo carteggio non si evince l’assoluta certezza che Buffon abbia scommesso quei soldi. Infine, altro particolare dimenticato da molti, la segnalazione non è stata fatta partire da pentiti o intercettazioni, ma da una banca, insospettita per un movimento di soldi dubbio. Ecco di cosa parliamo: non si possono ipotizzare reati. Prima che uscisse tutto questo, l’avvocato di Buffon non era stato neanche ascoltato.

Che idea ti sei fatto più in generale di tutte le indagini sul Calcioscommesse?
Mi sembra che grandissima parte dell’inchiesta si basi sulle ammissioni di quelli che vengono definiti “pentiti”. È rischioso però muoversi così: se a livello sportivo si istruisce un processo basandosi esclusivamente sulle carte dell’accusa si rischia di arrivare a condanne inique, perché non viene data la possibilità alla gente di difendersi. È quanto stanno mettendo in risalto alcuni pentiti: ad esempio Tomas Locatelli, che dice di avere patteggiato perché gli sarebbe stato impossibile difendersi. Oppure lo si vede anche nelle richieste degli avvocati di Mauri, che scongiuravano il Gip di revocare l’arresto, perché altrimenti si sarebbe arrivati a una condanna certa nel processo sportivo anche senza prove, proprio per questa impossibilità a difendersi. Mi sembra che se l’indagine rimane a livello penale la possibilità di tutelarsi c’è, e si riesce ad arrivare magari anche a provvedimenti giusti. Il problema sta nella giustizia sportiva, che invece non dà le stesse garanzie. I giudici sportivi vogliono agire in fretta, quindi tante volte si muovono in modo sommario. Ci sono giocatori, ad esempio, tirati in ballo solo per sentito dire e senza alcun riscontro, e che poi hanno addirittura ricevuto una richiesta di condanna a 3 anni e 6 mesi: mi riferisco nello specifico a Rijat Shala, ex-calciatore del Novara, svizzero ma di origine kosovara.

Della vicenda ambigua di Criscito ci siamo già occupati. Perché il terzino dello Zenit ha dovuto lasciare la nazionale, al contrario di Bonucci?
I due sono protagonisti di vicende diverse. Criscito ha trovato all’improvviso sui giornali la notizia di indagini che lo riguardavano: non ne aveva il minimo sentore, e quindi ne è rimasto sconvolto. Credo che fosse sua volontà quella di andare a chiarire davanti ai pm la sua posizione. Bonucci invece è in una situazione diversa: il centrale della Juve conosceva da tempo la cosa, e dopo che un giornale ha pubblicato le dichiarazioni di Masiello alla Procura di Bari (quindi ben prima dell’inizio degli Europei) l’avvocato di Leonardo è andato a parlare davanti alla procura di Torino di sua spontanea volontà. Così, c’è stato un chiarimento: sostanzialmente il legale del giocatore è stato rassicurato che non ci sarebbe stato un interrogatorio a breve. Per questo Bonucci era molto più tranquillo. Se poi stiamo ai dati ufficiali, la differenza è che uno è stato raggiunto da avviso di garanzia e l’altro no.

In queste settimane uno dei nomi di cui più si è parlato è quello di Beppe Sculli. Su di lui si è detto di tutto, eppure è ancora libero, a differenza invece di altri giocatori come Mauri. Come mai?
Sicuramente c’è stata una diversità di trattamento, ma non saprei dire il perché. Ho letto l’interrogatorio di Mauri davanti al Gip e mi sembra che il capitano della Lazio sia stato tirato in ballo più per la sua amicizia con Zamperini: quest’ultimo è uno dei personaggi più coinvolti e ha fatto anche ammissioni di colpevolezza. Mauri sostanzialmente si è trovato in mezzo ma poi di riscontri effettivi ce ne sono stati pochi, tant’è che è stato rilasciato. Per quanto riguarda Sculli invece non so rispondere, ma il Gip allude anche al fatto che il giocatore del Genoa avrebbe potuto fare paura ad altri giocatori per le sue origini o per la sua famiglia.

Insomma, di punti poco chiari ce ne sono forse troppi…
Le indagini, per carità, sono giuste, bisogna fare chiarezza su tutta la vicenda, però agendo in questo modo si rischia di fare gli stessi errori di Calciopoli nel 2006. Allora fu lo stesso Borrelli ad ammetterlo davanti alla Commissione di Giustizia del Senato: furono usate intercettazioni telefoniche che erano state selezionate dall’accusa. Così si è tolto potere alla difesa e si è leso il diritto degli imputati a difendersi, permettendo quella diversità di trattamento che pare evidente anche dalla relazione di Palazzi su Facchetti e Moratti.

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