Chiesa, razzismo e modernità

Di Aldo Vitale
16 Aprile 2016
Nel caso del razzismo la Chiesa è arrivata in anticipo di più di 200 anni rispetto al mondo secolare e alla modernità stessa
Il leader del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti Martin Luther King in un'immagine d'archivio del 28 agosto 1963, durante la "Marcia su Washington". ANSA

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni» riteneva il cardinale Martini, in una intervista poco prima di morire nel 2012, riallacciandosi a quella così diffusa visione della Chiesa nemica della modernità e sempre all’inseguimento di un progresso del mondo secolare che procede autonomamente e che la vede uniformarsi sempre colpevolmente in ritardo rispetto alle esigenze del tempo storico in cui tale progresso si manifesta.

Ma è proprio così? Ripercorrendo la storia della civiltà occidentale in genere e della Chiesa in particolare sembra proprio di no, anzi, semmai si ha l’idea dell’esatto contrario, che cioè la Chiesa giunga per prima a scoprire certe verità che o sono tardivamente scoperte dal mondo secolare o addirittura da quest’ultimo pervicacemente ignorate o negate.

Gli esempi potrebbero essere molteplici, ma fra tutti, sicuramente uno dei più attuali, risulta paradigmatico quello che riguarda il fenomeno del razzismo.

Nonostante stia per scadere il secondo mandato elettorale del primo Presidente nero della storia americana, Barack Obama, occorre rilevare come i suoi otto anni di Presidenza sono stati, forse, quelli in cui – da un trentennio – maggiormente si sono registrati atti di violenza nei confronti degli afroamericani.

Non a caso, vista la gravità della situazione degli ultimi anni, il 12 settembre 2014 ben 300 teologi statunitensi hanno rilasciato la seguente dichiarazione: «Le uccisioni di uomini, donne e bambini neri da parte di poliziotti bianchi e la decisione di non procedere contro alcuni agenti coinvolti, richiamano la nostra attenzione non solo sulle falle dell’applicazione della legge, ma sull’ingiustizia razziale nella nostra nazione, nelle nostre comunità e chiese».

Si tratta del risultato ultimo di un vecchio problema, cioè della antica “questione razziale” mai effettivamente risolta negli Stati Uniti, che affonda le proprie radici nello schiavismo che tra XVIII e XIX secolo ha caratterizzato la base dell’economia europea e americana.

Su questo punto la Chiesa vanta una lunga tradizione dottrinale e magisteriale che, fondandosi sulla parità ontologica degli esseri umani tutti figli del mediamo Dio Padre e Creatore e sull’esistenza (ancora oggi negata con ostinazione dal mondo “laico”) del diritto naturale – come tale universale e comune a tutte le genti, sulla scorta dell’esperienza giuridica romanistica e della filosofia scolastica –, ha sempre condannato lo schiavismo e la legittimazione della violenza nei confronti degli afroamericani sull’assunto che non fossero persone, come invece si riteneva un po’ convintamene e un po’ ipocritamente, nel mondo secolare che su questo assunto lucrava ingenti guadagni tra le due sponde dell’Atlantico.

Non a caso Martin Luther King ha avuto modo di scrivere nel 1963: «Prima che i pellegrini sbarcassero a Plymouth, noi eravamo qui. Prima che la penna di Jefferson vergasse le solenni parole della Dichiarazione d’indipendenza sulle pagine della storia, noi eravamo qui. Per oltre due secoli i nostri antenati hanno lavorato in questo Paese senza ricevere compenso; hanno fatto del cotone una ricchezza; hanno costruito le case dei loro padroni mentre pativano macroscopiche ingiustizie e vergognose umiliazioni: e tuttavia, grazie a una inesauribile vitalità, hanno continuato a crescere e a svilupparsi. Se le crudeltà inaudite della schiavitù non sono riuscite a fermarci, l’opposizione con cui oggi abbiamo a che fare dovrà senza dubbio fallire. Noi conquisteremo la nostra libertà, perché nelle nostre reiterate richieste si incarnano il sacro retaggio della nostra nazione e l’eterna volontà di Dio».

Mentre, insomma, alla metà del XX secolo negli Usa imperversava la cosiddetta “questione razziale”, culminata con l’assassinio dello stesso Luther King il 4 aprile 1968, la Chiesa, invece, aveva già da tempo indicato al mondo la via da seguire elevando alla porpora cardinalizia, cioè ai massimi livelli dell’autorità ecclesiastica, il 28 marzo 1960 – ben otto anni prima dell’omicidio di Luther King –, il tanzaniano Laurean Rugambwa, mostrando così non solo di essere in anticipo e all’un tempo che il resto del mondo era grave in ritardo, quanto piuttosto che la tendenza del mondo laico di allontanarsi dal diritto naturale o di negarne l’esistenza o la cogenza produce inevitabilmente delle deviazioni antiumane come il razzismo (negazione del diritto naturale oggi, per esempio, incarnata dall’ideologia gender).

Insomma, mentre nella metà del XX secolo Martin Luther King veniva assassinato dal mondo secolare per aver detto la verità sulla parità ontologica tra esseri umani a prescindere dal colore della pelle, la Chiesa, forte del suo insegnamento aveva non solo indicato la via per risolvere la “questione razziale”, ma aveva altresì dimostrato che in seno al Cristianesimo il razzismo non è possibile o configurabile.

Prova ulteriore sia ciò che, contro la prassi della “tratta dei negri”, scriveva nel 1839, cioè ben 130 anni prima di Luther King, Papa Gregorio XVI: «Noi, volendo far scomparire detto crimine da tutte le terre cristiane, dopo aver considerato maturamente la cosa, utilizzando anche il consiglio dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, seguendo le orme dei Nostri Predecessori, con la Nostra Apostolica autorità ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Inoltre, chi propone una speranza di guadagno ai primi razziatori di Negri, provoca anche rivolte e perpetue guerre nelle loro regioni. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato».

In conclusione: nel caso del razzismo sembra che la Chiesa sia arrivata in anticipo di più di 200 anni rispetto al mondo secolare e alla modernità stessa, e ciò per diverse ragioni, tra le quali la più importante appare quella riconosciuta e dichiarata perfino da un insospettabile “laico” del calibro di Jacques Derrida per il quale «solo il Cristianesimo ha un concetto di universalità elaborato in forma tale da dominare in realtà sia la filosofia sia il diritto internazionale. L’universalismo che domina il discorso politico-giuridico mondiale è fondamentalmente greco-cristiano».

Foto Ansa

Articoli correlati

4 commenti

  1. Toni

    Sant’Antioco era di colore, morto nel 127 d.C. … penso che la Chiesa è avanti, e più di 200 anni

  2. Filippo81

    “La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni “……..fu davvero una frase infelice,soprattutto se detta un’importante Cardinale.

    1. Rolli Susanna

      Condivido; come se la Chiesa non fosse un insieme di persone battezzate; evidentemente, pr il clero modernista-comunista, tutte -laici e consacrati- vuote di Spirito Santo….”Tante grazie, sant’Antòni”, avrebbe risposto mia nonna (retrograda pure lei, nata nel 1 800, cioè nel 1 600….). Pazienza.

I commenti sono chiusi.