Ci permettono di dire che la cannabis fa male, ma si arrabbiano se crediamo che sia la verità

La verità dà fastidio. Anzi, non puoi neppure nominarla. Non parlo, naturalmente, dell’impegnativa Verità dei princìpi ultimi, del senso della vita e della morte. No, mi limitavo alla modesta verità della vita quotidiana. Una cosa banalissima, tipo: «Quando un bicchiere di vetro viene scagliato per terra, si rompe». Non devi, però, chiamarla verità. Altrimenti sei di sicuro un reazionario, perché parli di verità, e anche un visionario, perché pensi che esista. Ma più probabilmente sei un imbroglione, che spaccia per verità suoi personali interessi, legati a consorterie di potere. Per esempio, da quando esce questa colonna, ho cominciato a raccontare quali fossero i veri effetti della cannabis. Già descritti in centinaia di pubblicazioni scientifiche (e pubblicistiche) internazionali, ma non sui giornali italiani dove per “andare in pagina” bisognava dire che era una droga “leggera”, praticamente innocua, e in molti casi benefica.
Arrivarono subito decine di mail che mi chiedevano quanto ricevessi dai trafficanti di droga, al soldo dei quali certamente ero, come ogni proibizionista che si rispetti. Toni disgustati, ma, diciamo, civili. Quando però, due numeri fa, ho osato dire che forse non si trattava tanto di ignoranza, quanto piuttosto di allergia alla “verità”, le mail (pilotate sul mio blog da siti e blog “liberal”, a proposito: è liberale qualcuno che difende sostanze che producono dipendenza, che tolgono la libertà?), hanno cambiato di tono. La sostanza era: «Ma come si permette di parlare di verità?». «Non crede, dott. Risé, che l’esaltazione della verità assoluta sia estremamente pericolosa?». Io, però, non esaltavo nessuna verità assoluta, deploravo solo che tutti se ne infischiassero della verità relativa.
Che il decreto Turco che raddoppiava la dose di cannabis consentita fosse privo di motivazioni era nel testo, ma l’abbiamo detto solo noi, e, mesi dopo, il Tar del Lazio, annullandolo. I guai psichiatrici indotti dall’uso di cannabis fanno parte dell’esperienza di ogni medico e terapeuta onesto. Ma ne abbiamo parlato, per mesi, solo noi, e, solo dopo le scuse presentate al pubblico dall’Independent, il quotidiano inglese protagonista della campagna di anni fa per la sua depenalizzazione, i giornali italiani hanno cominciato prudentemente a riferirne. (Sia lodato il prof. Mencacci, di Milano, per la sua apprezzabile, rara franchezza, sul Foglio e sul Corriere). Queste erano le modeste verità di cui parlavo. Ma i nostri “lib” non vogliono che vengano dette, anche se sono solo “verità relative”, che forse potrebbero salvare la testa a molti ragazzi. E per metterti a tacere non esitano a minacciarti: «Del resto, siamo tutti capaci di scrivere ai direttori dei giornali dove lei scrive, per farla smettere». Ah, ecco. Il divieto di dire la verità, oggi, usa lo stesso metodo (l’intimidazione) di chi vietava la devozione alla Verità, ieri, in nome dell’unico dio permesso: l’ideologia. Perché chi teme la verità, odia, sempre, la libertà.
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