
Ci vorrebbe una green card
Con tutto il rispetto, sull’immigrazione stiamo facendo sciocchezze da anni. Dividersi ideologicamente sui Cpt, e su una presunta contrapposizione tra la politica delle porte chiuse e quella delle porte spalancate, è solo una teatralizzazione da politica tribale. Il nostro paese è divenuto quello europeo a più alta intensità di “passaggio” migratorio, per ragioni geopolitiche, porosità di frontiera marittima e aleatorietà delle nostre leggi. Siamo ancora in basso nella graduatoria del totale di immigrati sulla popolazione, ma l’abbiamo raddoppiata a quasi il 4 per cento in un decennio. Demograficamente, in Italia abbiamo bisogno degli immigrati assai più di altri paesi occidentali, perché se oggi gli ultrasessantacinquenni sono già il 27 per cento rispetto a coloro che hanno tra i 14 e i 64 anni, nel 2040 ai ritmi di riproduzione attuale essi supereranno il 65 per cento, mentre in Germania saranno ben il 20 per cento in meno, in Gran Bretagna il 30 per cento in meno e, negli Stati Uniti, addirittura il 40 per cento in meno. Quindi, noi di immigrati abbiamo un bisogno immenso per rendere sostenibili welfare e pensioni, a meno di una svolta clamorosa nelle politiche di sostegno alla famiglia, tale da far raddoppiare in un decennio il tasso di riproduzione.
Alla luce di questa premessa, l’alternativa tra porte chiuse e porte aperte è falsa e fuorviante. Chi crede di voler tutelare i lavoratori italiani di oggi, dimentica che nessuno lavorerà per produrre i beni necessari ai pensionati del domani. L’alternativa vera, al contrario, quella su cui destra e sinistra dovrebbero imparare a cooperare evitando contrapposte demagogie, è tra continuare ad accogliere il capitale umano più scadente come facciamo da anni – e uso un termine brutale apposta, per far riflettere provocatoriamente chi legge – oppure darsi politiche volte ad “attirare” gli immigrati migliori. Non si tratta di “scegliere”, ma di attirare i migliori, per capacità, preparazione e cultura più integrabile. Come da anni hanno deciso di fare per esempio la Germania, distinguendo per nazionalità e soprattutto per titolo di studio e qualifiche professionali, e come da decenni di fatto avviene negli Usa con la green card, in Canada e in Australia.
Tanto per fare un esempio, avremmo dovuto prima degli altri paesi europei aprire le porte agli immigrati provenienti di paesi dell’Est Europa ancora non membri dell’Ue. Sono mediamente assai scolarizzati, sono lavoratori specializzati e sono – lasciatemelo dire, da laico – comunque di impronta culturale cristiana. Lo abbiamo fatto – senza sceglierlo – solo nel caso degli albanesi, per via della prossimità adriatica e dei nostri interventi politico-diplomatici. Non lo abbiamo saputo fare con romeni e bulgari, e abbiamo sbagliato.
Ma lo stesso dovremmo fare nei confronti dei paesi del Maghreb e asiatici. Individuando quei pochi dai quali già oggi provengono le comunità più numerose come il Marocco, varando politiche specifiche di accoglienza bilaterali basati su specifici programmi tra governi con “finestre” aperte in loco, potenziando l’integrazione in chiave bi-nazionale sulla base di un rapporto a due sempre coi rispettivi governi, incentrato su scuole e moduli di inserimento il più possibile improntati a un islam laico nei confronti dei poteri pubblici e il più possibile moderato quanto a teologia. Dite che vi sembra poco “aperta al mondo”, una simile impostazione? Rispondo: ma perché dovremmo accettare che gli ingegneri romeni scelgano gli Usa e che da noi arrivino solo desperados?
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