
“Cicero” insegna il latino online. «Ma non basta saper tradurre»
“Cicero Latin Tutor”. È questo il nome della nuova frontiera dello studio del latino. La Fondazione Agnelli, con l’aiuto di linguisti di eccellenza, ha creato un tutor virtuale che accompagna lo studente nel difficile compito della traduzione, dividendo subordinate e coordinate, e lasciando allo studente un metodo per districarsi nel mondo del latino. Ma basterà un ausilio meccanico per soppiantare la figura del maestro? E basta saper tradurre per conoscere profondamente il latino. Tempi.it ha voluto discuterne con Giuseppe Zanetto, docente di Letteratura Greca all’Università Statale.
È sufficiente un tutor virtuale per soppiantare la figura del “maestro”?
Chiaramente no. Il rapporto educativo è la base dell’insegnamento. Un maestro, più maestri, servono perché instaurano un rapporto personale con l’educato. Inevitabilmente, c’è un coinvolgimento affettivo. L’aspetto tecnico è importante, così come la conoscenza dei contenuti. Ma è l’umano che deve colpire fino in fondo il ragazzo. Non se ne potrà mai fare a meno.
Che opinione ha del progetto della Fondazione Agnelli?
Cicero non lo demonizzerei in nessun modo, purché rientri in un discorso più generale e consapevole sulle didattiche d’insegnamento. Mi è parso di capire che sia uno strumento informatico per l’apprendimento del latino attraverso un uso sistematico della traduzione. Lo studente è chiamato a tradurre testi, frasi, versioni, sotto il controllo di un tutor meccanico che continuamente lo sollecita con domande e correzioni. Uno strumento sicuramente valido ed efficiente. Non ho nessun pregiudizio verso Cicero, tutt’altro. Se funziona bene, perché no? Ma studiare latino non significa soltanto tradurre.
Cioè?
È concettualmente sbagliato sovrapporre lo studio del latino con la traduzione. L’abilità convertiva è strumentale. L’obiettivo non è soltanto saper tradurre. Il testo latino trasmette un senso al di là della traduzione. Il latino può essere capito senza essere tradotto. Naturalmente, un ragazzo di quattordici anni deve innanzitutto imparare la lingua. Ma l’abitudine alla lingua, unito al passaggio di certi valori della società romana, sono il vero valore del latino.
Può farci un esempio?
Gallinae bona ova dant. È una frase elementare: «Le galline danno uova buone». Tutto perfetto. Ma esistono varianti, sfumature: «Sono buone le uova che danno le galline», «Uova buone danno le galline». Senza contare tutte le varianti del verbo dare: fornire, offrire, ecc. Possiamo avere cinquanta traduzioni differenti e corrette. Alla fine, un ragazzo che studia il latino e il greco dovrebbe essere in grado di giocare con queste varianti. Significa che ha assimilato bene la lingua, che ha raffinato la sua sensibilità.
Il latino, insomma, non serve soltanto per comunicare.
Non ha lo stesso obiettivo che si prefigge lo studio dell’inglese. Il valore di competenza è diverso. Parliamoci chiaro, quasi sempre a scuola l’inglese si studia per la comunicazione. Mentre invece per il latino e il greco passano in prima fila altri obiettivi: entrare in contatto con la civiltà antica, il raggiungimento di una consapevolezza linguistica maggiore che si proietta inevitabilmente sull’italiano.
@DanieleCiacci
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