Il partito comunista in Cina si impossessa anche dei morti

Il partito comunista in Cina non ha rispetto neanche dei morti e così ha deciso di organizzare per Li Rui un funerale rivoluzionario con tutti gli onori al cimitero Babaoshan. In questo speciale “camposanto” di Pechino vengono seppelliti solo gli eroi della rivoluzione maoista e i funzionari di alto grado. Essendo stato segretario personale di Mao Zedong, Li ha sicuramente diritto a riposare al Babaoshan. Peccato però che avesse esplicitamente chiesto esequie normali, visto che da anni critica l’operato del partito comunista e di Mao.

Li è morto sabato sera all’età di 101 anni e la sua vita è degna di un romanzo. Nato nel 1917 nell’Hubei, quando ancora nella Città proibita viveva l’ultimo imperatore Pu Yi, ha sempre avuto un sogno: diventare comunista e unirsi al partito nato nel 1921. «Quando mia madre seppe che volevo unirmi ai comunisti, mi disse che erano brava gente ma anche di stare attento: “Rischi di farti tagliare la testa”», raccontò Li in un’intervista accordata alla Bbc per il suo centesimo compleanno.

Dopo aver militato nel movimento anti-giapponese, riuscì a raggiungere le forze di Mao a Yanan, roccaforte dei comunisti durante la guerra civile. Seguì Mao fino alla vittoria nel 1949, diventando suo segretario personale. Li era particolarmente apprezzato perché diceva sempre ciò che pensava e così, quando dopo la follia del Grande balzo in avanti (che causò circa 30-40 milioni di morti) criticò la politica economica del partito, fu rinchiuso in un gulag e poi per 18 anni in isolamento in una prigione di Qincheng. Diceva di Mao: «Il suo modo di pensare e governare era terribile. Per lui la vita umana non aveva alcun valore. La morte degli altri non significava niente per lui. Già nel 1958 Mao aveva cominciato a dire che il culto della sua persona era necessario. Ma con l’avvento della Rivoluzione culturale, divenne un culto malvagio. I suoi metodi erano perfino peggiori degli imperatori dei tempi antichi».

Riabilitato dopo la morte di Mao con Deng Xiaoping, Li uscì di prigione nel 1979 e nel 1982 fu eletto nel Comitato centrale del partito comunista. Nel 1989, però, criticò apertamente la strage di Piazza Tienanmen e così fu espulso dal partito. Da allora non fece che ripetere che «il nostro più grande problema è la mancanza di democrazia. Oggi in Cina non si può criticare Mao, perché è lui che ha costruito il partito. In Cina funziona così. Siete voi stranieri che non lo capite».

La figlia Li Nanyang, che vive negli Stati Uniti e che fu costretta a rinnegarlo durante la Rivoluzione culturale, non ha partecipato al suo funerale, avvenuto oggi. «Mio padre un giorno mi disse: “È comico che continuino a dire che Li Rui è un marxista: io sono un intellettuale e un pensatore”. Credo che mio padre si rivolterebbe nella tomba nel vedere la sua bara avvolta nella bandiera comunista, inzuppata com’è di sangue».

Un ex funzionario amico di Li ha dichiarato a Radio Free Asia: «Ho pubblicamente dichiarato che non sarei andato al funerale. Non è quello che avrebbe voluto». Bao Pu, figlio di un ex alto funzionario del partito, ha aggiunto che «il partito comunista non ha rispetto per le persone. È sempre stato così». Per il costituzionalista Zhang Lifan, invece, non c’è da scandalizzarsi perché questo è il destino di tutti i membri del partito: «Una volta che ti unisci al partito comunista, appartieni a loro per sempre: da vivo e da morto. Pechino è proprietario del corpo di Li, ma non del suo spirito: tutto ciò che ha scritto fa capire bene che cosa pensasse del regime».

@LeoneGrotti

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