Cinema Paraninfo

Di Simone Fortunato
24 Maggio 2001
Un impegnativo film sulla morte, nella vivace cornice di un bordello al sole. Il tempio di Nanni (nume pensoso) e quello (più spensierato) di budino Mollica. La croisette del cinema internazionale raccontata dal più impresentabile degli inviati a Cannes. Ecco come si fa a imbucarsi e a non batter chiodo, a strafogarsi in champagne antiberlusconiani e a far avanzare la sinistra di piscina e di lotta

A Cannes, ho visto cose che voi umani nemmeno osate immaginare: angeli longilinei sprovvisti di reggiseno, accompagnarsi a orchi flaccidi ed untuosi; frotte di giornalisti, sguazzare vivacemente nel mare azzurro della Costa Azzurra, per poi, affannosamente, darsi da fare nel ricostruire interviste fasulle; infiniti baccanali orgiastici su yacht infami, dove donne (s)vestite da sera non si richiedeva tessera o accredito: bastava la scollatura. Almeno per entrare. Ho visto una nave piena di donne nude; ho visto avvicinarsene una a me, e porgermi un invito: solo allora mi sono reso conto di essere uscito dal Festival e di essere vicino, troppo vicino agli Hot d’Or, il Festival del cinema cul-turale, cioè del cinema porno.

Fortunato pass partout
Cannes è tutto questo e molto altro: è una vetrina per il potere e le vanterie degli uomini che contano, di quelli che possiedono donne, barche, Porsche, hotel, e forse, Case di Produzione. Il Festival è un pretesto e il Cinema c’entra poco o niente. I cinefili, quelli veri, si fanno ore e ore sotto il sole per poter entrare a vedere qualche film: fatica sprecata, perché le maschere – bodyguards francesi – hanno ordini precisi e svolgono compitamente il proprio lavoro. Prima entrano quelli in smoking e vestito da sera, possibilmente in coppia, perché in foto vengono meglio; poi è il turno degli addetti ai lavori (distributori, produttori, compratori); quindi i giornalisti televisivi; i raccomandati, i giornalisti dei quotidiani; i settimanali; i mensili; i siti Internet, e infine il pubblico normale. Il guaio è che già all’entrata dei produttori, le maschere chiudono i cancelli e – desolé, Monsieur, le numéro est complet. Desolé, desolato cioè un bel modo per dirti: «Sei fregato, amico mio. Cosa pensavi? Che ti facessimo entrare vestito così? Con quella faccia lì? Sei pure italiano…». Mi è andata bene solo con un’italiana verace. Ho mangiato un tramezzino con Ornella Muti. Però, vi assicuro, è solo bella. Il mio primo giorno a Cannes, l’ho passato litigando con tutti i lavoranti al Festival e collezionando solo decine di desolé: ma gli italiani – si sa- sono maestri nell’arte di arrangiarsi, e già il giorno dopo avevo scoperto un modo per entrare a sbafo: il Festival è grande, dispersivo, c’è tantissima gente e può capitare di perdere inviti, pass speciali, bollini per parcheggiare in posti riservati. Non vi è mai capitato di trovare una fortuna per terra? No, neanche a me. Fino a lunedì scorso a Cannes: uno splendido, magico e magnifico pass partout dalla tasca di un attore (di cui, per decenza, non diremo il nome) per terra, e da lì nelle mie ansiose manacce. Quando il Cinema ti vuole bene… Così entro nella sala Lumière, la sala prestigiosa del Festival, quella dei film in Concorso; calco la Croisette, tra l’imbarazzo dei fotografi che, ai lati, scattano foto ad uno sconosciuto vestito un po’ eccentricamente, e che viene fatto entrare assieme alla Giuria. Ma i giornalisti non fanno domande e riesco ad entrare con facilità. Guardo il film dei fratelli Coen (carino) e mi accorgo che dopo nemmeno dieci minuti la sala si svuota. Quelli degli abiti da sera sono pronti per un nuovo party e vengono fatti uscire da porte laterali, giusto per non far vedere alla gente di fuori che si sono liberati quei trecento posti. Esco e mi butto nella calca del Village International.

La sbronzitudine dei cinematografari veltroniani
Che cos’è il Village International? È un posto un po’ snob (ma che cosa non era snob a Cannes?), dove ci si strafoga di pasticcini e cocktail mentre si finge di seguire la conferenza stampa del regista-attore-produttore di turno. E mentre tutti gli stand brillano per efficienza ordine e pulizia, nel padiglione italiano bisogna convivere con la proverbiale eleganza dei romani: grida continue, telefonini urlanti, buffet spazzolati in pochi secondi, schifezze per terra, e a condire tutto una calura impressionante. E’ il caos e ci sono dentro fino al collo. Nessuno sembra badare a me, tranne che al cambio di vassoio. Mi guardo intorno e vedo solo capelli unti, facce avvinazzate, ventri rigonfi. Mi sento Brad Pitt. Ma continuano a non vedermi. Vedo anche facce tristissime. Anzi, vedo solo facce tristissime. Prima di potermi chiedere il perché, il profeta di turno sale in cattedra e la spara: dopo l’avvento del Berlusca, non ci saranno più elezioni. È questo, allora; hanno paura, hanno paura! Mi esalto, ma mi trattengo al pensiero che possano scoprirmi. Un’altra voce: ma non te preoccupa’ che Silvio o non Silvio noi semo a galla. È proprio vero: dopo qualsiasi tempesta, rimangono sempre a galla. Gli stronzi. E per un attimo mi sento Umberto; ma è solo un attimo. Torno davanti al Palais du Festival e mi guardo in giro: è un bel colpo d’occhio, non c’è che dire, i francesi fanno le cose come si deve: ordine, efficienza, eleganza. Solo due cose stonano: quei quattro o cinque barboni sfrattati dal loro ricovero davanti alla Croisette e trasportati ai lati, e il nauseabondo odore di pesce e nafta che avvolge l’aria. Forse non tutti lo sanno, ma Cannes è un piccola cittadina di mare. Ogni cittadina di mare ha un porto. Qualsiasi porto di mare per quanto piccolino e caruccio, rimane un porto di mare. Emana gli odori di porto di mare. A Cannes, il palazzo del Festival sorge a fianco di un piccolo e caruccio porto di mare. Piccolo e puzzolente. Si intridono i vestiti di profumo di alici e sarde. Vestiti da sera splendidi e asfissianti per chi li indossa. E niente, nessun signor Chanel n°5 potrà salvarli. Smoking dal sapore di cefalo per uomini senza cervello. E ho capito finalmente. Perché hanno tutti la puzza sotto il naso.

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