
Cl alla conquista del west
Ho sentito parlare per la prima volta di don Luigi Giussani nel 1986 a Roma, dove tenevo un corso presso il John Paul II Institute for Studies in Marriage and Family, dal sacerdote Angelo Scola, un membro del corpo insegnanti. A quel tempo si stava discutendo la possibilità di aprire una sede dell’istituto a Washington D.C., dove io lavoravo come consigliere teologico dell’arcivescovo di Washington, il cardinale James Hickey. Scola voleva che conoscessi una delle sue studentesse americane, Margaret Harper (oggi Margaret McCarthy), che lui stesso aveva proposto come insegnante per la nuova sede americana. Andai a una festa nella casa di Margaret a Roma, piena di gente di Comunione e Liberazione. Mi piacque il cibo, la musica e il tono della conversazione. Ma, soprattutto, trovai affascinanti i poster. Sulle pareti dell’appartamento erano appesi innumerevoli poster natalizi e pasquali. Mi piacquero moltissimo le eleganti opere d’arte e le citazioni dai padri della Chiesa e dagli autori moderni. «Queste persone appartengono al Partito Mistico», pensai (Partito Mistico era il nome che un gruppo di noi aveva dato a coloro che cercavano di superare la dialettica tra conservatorismo e spirito liberal, tra ortodossia e prassi, tra religioso e laico, ecc., che stava dilaniando la Chiesa). Noi eravamo sostanzialmente lettori e seguaci del movimento ‘Communio’, che ruotava attorno alle opere di Balthasar, De Lubac, Bouyer, Guardini, Ratzinger e molti altri. Dopo avere osservato i poster, mi accorsi che don Giussani parlava esattamente come un padre della Chiesa, e quindi lo aggiunsi all’elenco dei maestri del Partito Mistico. Ero affascinato dalla bellezza della sua lingua e fortemente attratto dalla iniziale misteriosa incomprensibilità della sua parola. Tornato a Washington, il cardinale Hickey, che doveva incontrare Giussani in occasione del suo viaggio in America nel 1987, mi chiese di preparare una serie di «punti da discutere» per l’incontro. Non ricordo che cosa scrissi, ma ricordo perfettamente di avere detto a Hickey che Giussani era una stella nel firmamento del Partito Mistico. Tuttavia, non partecipai all’incontro (in verità, non vi fui nemmeno invitato!).
Dal partito mistico al movimento
Ho conosciuto Giussani nel 1993 in un incontro organizzato da Scola. Io e Giussani pensavamo che ci sarebbe stato anche Scola, che invece non venne. All’inizio la conversazione stentò ad avviarsi, visto che entrambi non sapevamo davvero perché stessimo pranzando insieme. Dopo un po’ lui mi disse: «Raccontami la tua storia. Che cosa ti ha portato qui?». Così gli raccontai la storia degli sforzi che avevo fatto per spiegare ai miei amici non cristiani che potevo essere cattolico e fare lo scienziato senza alcun conflitto o dualismo. Avevo trovato una risposta in quella che noi chiamavamo la ‘teologia’ della ‘scuola teologica di De Lubac’ (il Partito Mistico!); ma mancava ancora qualcosa. Al termine del mio racconto, Giussani mi guardò con un’espressione che non avevo mai visto prima. Era come se, attraverso di me, stesse guardando Qualcun altro che lui riusciva a riconoscere. I suoi occhi erano lucidi di lacrime. Poi mi chiese se fossi disposto ad aiutare il Movimento negli Stati Uniti. Era importante che il Movimento mettesse salde radici nell’esperienza americana perché, disse Giussani, gli Stati Uniti erano la moderna Roma, e se i primi cristiani non fossero andati a Roma non sarebbe successo nulla. Mi spiegò che aveva pregato Nostra Signora per questo, ed era convinto che Lei avrebbe soddisfatto la sua richiesta. Avrei accettato? Naturalmente rimasi molto stupito e dissi che non sapevo praticamente nulla del Movimento e che, come prete diocesano e teologo, volevo restare aperto a tutto ciò che riguardava la Chiesa ed ero in cerca del legame tra la fede della Chiesa e l’esperienza della vita contemporanea. Giussani non rispose a nessuna delle mie obiezioni, ma continuò a guardarmi e a chiedermi se fossi disposto a dare una mano. Alla fine gli dissi che non mi sentivo in grado di dire di no a Nostra Signora se anche Lei era coinvolta in questa impresa, e che quindi avrei accettato. Giussani sorrise e disse che avrei dovuto affrettarmi, altrimenti avrei perso il mio aereo per Roma. Ma io lo interruppi: «Aspetta un attimo! Non possiamo chiudere così. Che cosa devo fare per essere d’aiuto?». Giussani rispose: «Oh, non lo so. Lo scopriremo. La cosa importante è il tuo sì. La Nostra Signora ha detto sì senza sapere precisamente cosa sarebbe accaduto. Questo è tutto ciò che possiamo fare: dire sì». Ritornai a Roma domandandomi che cosa fosse effettivamente avvenuto in quell’incontro. Poche settimane dopo essere rientrato a Washington, il visitatore apostolico (Giorgio Vittadini) e il responsabile del Movimento (Jonathan Fields) vennero a trovarmi nel mio ufficio. Ero stato agganciato.
I ‘SUPER-APOSTOLI’
Il mio successivo incontro con Giussani avvenne in occasione della Assemblea internazionale dei responsabili di Cl svoltasi a La Thuile nell’estate del 1994 o del 1995 (non ricordo più con precisione quale di questi due anni). Quell’estate andai anche per la prima volta al Meeting di Rimini. Rimasi assolutamente stupefatto dalla grandezza di ciò che stavo scoprendo, ma ero ancora piuttosto confuso su che cosa fosse effettivamente questo Movimento. E rimasi ancora più stupefatto dal calore con il quale don Giussani mi accolse, come se avessi fatto parte del Movimento per tutta la mia vita, e invitandomi a entrare nella ‘cerchia interna’ (alla fine li ho chiamati i ‘super-apostoli’, parafrasando il termine usato da san Paolo per gli apostoli di Gerusalemme che erano preoccupati per gli insegnamenti di Paolo e per le sue attività tra i gentili). Ho continuato a incontrarmi con Giussani e mi sono impegnato sempre più a fondo nella vita del Movimento negli Stati Uniti. Nel 1996, tuttavia, fui nominato preside della Università Cattolica di Porto Rico, cosa che mi rese molto difficile continuare ad aiutarlo come prima negli Usa, ma Giussani non sembrò darsene pensiero. Anzi, fu lui a promettermi tutto l’aiuto che avesse potuto offrirmi. Mi chiesi che cosa avesse ora in mente la Nostra Signora. Lo scoprii quasi subito. Il mio incarico di preside durò soltanto nove mesi, perché apparve presto chiaro che i vescovi a capo dell’università non erano affatto interessati a ciò che volevo fare io, e quindi rassegnai la dimissioni. Su richiesta del cardinale di New York, l’arcivescovo Hickey mi inviò come visiting scholar nel seminario dell’arcidiocesi di New York. Ora abitavo vicino alla sede centrale del Movimento negli Stati Uniti. Nel frattempo a Porto Rico era stata aperta una causa di Memores Domini. Quando rividi don Giussani e cercai di spiegargli tutto quello che era accaduto, lui mi interruppe, mi guardò e sorrise. Insomma, vivevo a New York quando si svolse l’evento che avrebbe lanciato il Movimento negli Stati Uniti: la presentazione del Senso religioso alle Nazioni Unite, nel dicembre del 1997. Da allora ho continuato a cercare di comprendere le conseguenze di questo evento.
La presentazione del Senso religioso alle Nazioni Unite (resa possibile dal cardinale Renato Martino, che allora era l’osservatore del Vaticano all’Onu) ebbe un tale successo che il nostro visitatore apostolico preparò per Giussani un ‘piano di operazioni’ per il futuro. Ma Giussani, a quanto mi è stato detto, strappò questo piano. Dovevamo semplicemente accogliere qualsiasi opportunità si presentasse. Da allora, tutti coloro che hanno qualche responsabilità per il Movimento negli Stati Uniti hanno sviluppato una grande simpatia per gli apostoli (negli Atti degli apostoli), impegnati nel tentativo di dare un significato a ciò che lo Spirito stava facendo. Giro continuamente il paese per andare a trovare le nostre numerose comunità e parlare del carisma di Giussani; e ogni volta è sempre lo stesso: quale che sia la regione in cui mi trovo o il pubblico che ho davanti, il carisma di Giussani risveglia sempre un profondo interesse, e molte persone decidono di seguire il nostro percorso. Non è mai soltanto la ‘forza del messaggio’ a ottenere questo risultato, perché vi è sempre anche un senso di meraviglia per la persona di don Giussani.
TANTI GESù, POCHI IO
In un certo senso, non sarebbe potuto accadere prima. Come ha detto una delle figure più importanti del Movimento in America: «Oggi, in questo paese è più facile dire ‘Gesù Cristo’ che ‘io’». Il personaggio di Gesù è molto popolare tra il popolo americano. Il cristianesimo americano è in larga misura protestante, popolare e locale. Per tutto il corso della storia americana, l’idea di una ‘Big Church’ è stata altrettanto impopolare di quella del ‘Big Government’. Di conseguenza, ci sono molti ‘Gesù’ e ne vengono spesso creati di nuovi dall’interpretazione individuale delle Scritture. Perciò, la critica razionalista delle Scritture e la conseguente esclusione del cristianesimo dalla sfera pubblica può essere contrastata soltanto da un fideismo le cui proposte culturali sono rifiutate dall’establishment laico in quanto ritenute incompatibili con la separazione di Chiesa e Stato, garantita dalla Costituzione. Così, lo ‘scontro culturale’ caratteristico delle regioni costiere ‘blu’ (dove i democratici hanno vinto le elezioni) prende, in misura sempre maggiore, la forma di uno scontro tra fideismo e razionalismo. Dove i cristiani protestanti ‘evangelici’ hanno ancora potere politico, si cercano con grande impegno modi per affrontare la critica razionalista con una chiara testimonianza a favore del Gesù storico. Molti di coloro che entrano nel movimento provengono da questo background. Con noi, incontrano un Gesù che non è stato creato da noi, ma incontrato attraverso il carisma, riconosciuto dalla Chiesa, di un uomo: Luigi Giussani. Il Gesù di Giussani rende presente il Gesù della Chiesa cattolica: presente nella sua ininterrotta tradizione fin dal primo incontro tra Giovanni e Andrea sulle rive del fiume Giordano. Questa ‘continuità dell’esperienza’ è ciò che il Movimento offre a questi cristiani evangelici (e cattolici scandalizzati per il dissenso teologico dal magisterium) in cerca di un’autorità obiettiva come guida della loro fede. Allo stesso tempo, l’insistenza di Giussani sulla verifica attraverso la corrispondenza con i desideri che ci definiscono come persone (i desideri del ‘cuore’ che costituiscono il nostro ‘io’) offre loro la possibilità di contrastare la posizione razionalista appellandosi alla stessa ragione.
NELLA CULLA DELLA RIVOLUZIONE
In tale contesto, la mia esperienza probabilmente più emozionante è stata quella di parlare di Giussani e della sua proposta nel libro Il rischio educativo al corpo insegnanti e agli studenti di una chiesa battista del Midwest. Come sempre, molti mi raccontarono del loro stupore per l’armonia tra l’insistenza di Giussani su un incontro personale con Gesù e il suo amore per la ragione. Mi trovavo in una vecchia chiesa battista e parlavo a un pubblico di accademici divisi sul modo in cui rispondere alla sfida razionalista. Cercai di dare un’idea della stima che Giussani aveva per l’esperienza protestante americana e la sua ammirazione per come era riuscita a tenere il popolo americano lontano dalle tentazioni dell’ideologia. Quando gli descrissi le reazioni del pubblico, Giussani non fece nessun commento ma lo sentii mormorare qualche preghiera. Alla fine del mio racconto, mi guardò con gli occhi di un bambino stupito con gli occhi pieni di lacrime.
All’altro capo dello spettro ecclesiastico e politico, l’esempio forse più significativo dell’impatto esercitato da Giussani sulla scena americana è il recente meeting organizzato dal Movimento a Boston nella Faneuil Hall, la culla della Rivoluzione americana. Per discutere sui problemi dell’educazione, al tavolo dei relatori erano seduti l’arcivescovo di Boston (che cercava di ricomporre una Chiesa devastata e paralizzata dagli scandali), il direttore ateo di una delle più autorevoli riviste dell’America laica, un prete appartenente al Movimento (professore di scuola superiore) ed io, vale a dire un amico personale degli altri tre, che ero la prova vivente del fatto che tutti e quattro ci trovavamo seduti lì in ragione di ciò che avevamo imparato da don Giussani. Sopra di noi vi era un’insegna con un’esclamazione dei tempi della Rivoluzione americana: ‘Libertà e Unità!’. In altre parole. liberazione e comunione. Alla fine del meeting il direttore della rivista mi disse: «Questo padre Giussani deve essere un uomo davvero straordinario». Non ho dovuto raccontare questa storia a don Giussani. Sono certo che ci stava osservando, con un sorriso sulle labbra.
Negli Stati Uniti Giussani è stato considerato con molta attenzione da filosofi, teologi e altri studiosi. I suoi libri sono stati presentati e discussi in prestigiose istituzioni accademiche. (In questo momento stiamo offrendo il suo corso Dal senso religioso al cristianesimo alla Divinity School della University of Chicago, uno dei dipartimenti di studi religiosi più prestigiosi del mondo, dove hanno insegnato professori come Paul Ricoeur e Mircea Eliade. Il corso terminerà il mese prossimo con una presentazione del cardinale di Chicago Francis George sulla teologia della Chiesa di don Giussani e sulla sua importanza per gli Stati Uniti). Ricordo di aver parlato al telefono con don Giussani dopo il primo di questi incontri accademici, tenutosi alla Georgetown University di Washington. Lo chiamammo dal ristorante super-americano ‘The Cheesecake Factory’ (il cui menù è un libretto da 15 pagine). Io gli raccontai del successo che l’incontro aveva avuto e cercai di sentire la sua risposta magrado il grande fracasso che c’era al ristorante. Riuscii soltanto a capire questa domanda: «Abbiamo venduto molti libri?».
Non so se il nome di Giussani figura su qualche lista del Dipartimento di Stato o della Cia, ma ho parlato di lui con Fidel Castro subito dopo la visita del Papa a Cuba. Castro era affascinato dall’idea di Giussani sulla differenza tra il cristianesimo e le altre religioni, così gli promisi di spedirgli una copia de Il senso religioso. Quando rientrai negli Stati Uniti scrissi una lettera a don Giussani e lui mi inviò una copia autografata del libro in traduzione spagnola, che io spedii a Castro attraverso la missione cubana presso le Nazioni Unite. Pochi anni dopo ci fu dato il permesso di organizzare una presentazione pubblica del libro nella capitale cubana, in occasione di un convegno sulla bioetica cui partecipavano oltre 500 persone, la maggior parte delle quali lavoravano per il governo. Alla fine della presentazione, Giussani ci chiamò al telefono e invitò il responsabile della piccola comunità locale di Comunione e Liberazione ad andare in Italia per raccontargli tutto.
PIù VICINO CHE MAI
Ero presente all’incontro fra don Giussani e uno dei leader più entusiasti del Movimento negli Stati Uniti, un ufficiale dell’esercito americano. Giussani gli espresse la propria grande ammirazione per la devozione degli Stati Uniti alla libertà. L’ufficiale gli raccontò il suo personale pellegrinaggio religioso al cattolicesimo. A quanto pare, aveva provato ogni possibile fede religiosa e alla fine era diventato cattolico dopo avermi sentito parlare di don Giussani alla televisione. Giussani rimase stupefatto da questa storia e mi guardò come per dirmi: «L’avresti mai immaginato!?». Gli risposi che io stesso ero partito dall’animismo, e lui si mise a ridere con fragore.
Il giorni che morì, il mio primo pensiero fu questo: «Oh mio Dio, ora può vedere quello che faccio e sentire quello che dico quando vado a queste presentazioni». La prima di queste presentazioni si svolse nel giorno stesso del suo funerale, in occasione di una Giornata di Riflessione organizzata dall’arcivescovo e dai preti dell’arcidiocesi di Miami. Ora che Giussani era libero dai vincoli di spazio e tempo mi aspettavo grandi cose. E così è avvenuto. L’arcivescovo ribadì che a Miami c’era bisogno del Movimento e l’arcidiocesi promise di impegnarsi al massimo per crearlo. Ora, soltanto un anno dopo, stiamo per aprirvi una casa di Memores Domini.
Nel nostro ultimo incontro sulla terra, nell’estate del 2004, quando gli raccontai tutte le cose meravigliose che stavano avvenendo negli Stati Uniti, Giussani mi sorpresi rispondendomi con una domanda: «Fino a quando durerà?». Io lo guardai, gli presi le mani e dissi: «Continuerà a durare finché rimarremo uniti con te». Giussani sorrise. Quando lo salutai, mi baciò le mani. Non l’ho mai sentito così vicino come da quando è morto. Un giovane ragazzo, un tipico perduto teenager americano (il futuro degli States) e un nuovo cittadino di Giussland, mi ha detto: «È stupefacente: da quando è salito in cielo, don Giussani sta giocando alla grande!». Questo dice tutto.
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