Clint Eastwood è Di nuovo in gioco, ma qualcosa è andato storto

Di Paola D'Antuono
23 Novembre 2012
L'esordio alla regia del suo produttore ha convinto il texano dagli occhi di ghiaccio a tornare sulle scene solo come attore. Ma se ci fosse stato lui dietro la macchina da presa avremmo visto un altro film.

Avere Clint Eastwood come produttore e attore a Hollywood è una garanzia. Ma se il vecchio texano dagli occhi di ghiaccio non mette becco nella regia, il risultato non potrà mai essere all’altezza delle aspettative. Anche se negli ultimi tempi le sue pellicole non hanno brillato per critica e pubblico (J.Edgar è l’esempio più lampante), su una cosa si è tutti d’accordo: Clint il suo mestiere lo sa fare. Da tempo l’attore, che negli ultimi mesi si era speso molto per la corsa di Mitt Romney alla Casa Bianca, non recitava in un film senza esserne anche il regista. Dal 1993, per la precisione. Ha fatto un eccezione solo per Robert Lorenz, suo storico collaboratore, all’esordio come regista con Di nuovo in gioco (titolo originale Trouble with the Curve), che vedremo in sala il prossimo 29 novembre.

TRAMA. Gus Lobel è uno dei migliori scout americani. È abilissimo nello scovare talenti del baseball negli angoli più remoti degli Usa. Fa questo lavoro da decenni e non ha alcuna intenzione di smettere. Gus però è anziano e ha un problema alla vista che si ostina a non curare e a non rivelare ai suoi datori di lavoro per non essere licenziato. Anche perché la sua esperienza gli consente di riconoscere un buon battitore solo ascoltando il rumore della mazza da baseball. I suoi giovani e rampanti colleghi, invece, si affidano al computer e a programmi efficacissimi che mettono a confronto ogni giocatore, analizzando centinaia di dati statistici in pochi minuti. Gus ha una sola possibilità prima della scadenza del contratto per dimostrare alla sua squadra di essere ancora il migliore. Per farlo, però, ha bisogno della persona a cui ha insegnato tutto, sua figlia Mickey, con cui il rapporto non è propriamente idilliaco.

VECCHIAIA, AMORE. Gli elementi per un ottimo film ci sono tutti. Un cast eccellente dove, accanto a Clint Eastwood, recitano i giovani Amy Adams e Justin Timberlake, il cui valore è indiscutibile e John Goodman, istrionico come sempre. La storia è interessante, come tutti gli intrecci che la compongono. Eppure, il film non decolla, nonostante le buone premesse. La vecchiaia di Gus, i suoi problemi, la sua solitudine, la mancanza della moglie morta, sono eccessivamente banalizzati e non basta nemmeno la fisicità di Eastwood e la sua solita ironia a favorire l’empatia con lo spettatore. Anche il rapporto tra padre e figlia non viene analizzato a dovere: sappiamo che ci sono silenzi e intuiamo che nel loro passato c’è una ferita profonda, ma lungo tutto il film i nodi vengono al pettine sempre troppo distrattamente. Le vicende tra Mickey e Johnny sono un po’ raffazzonate, messe lì come se fosse un imperativo hollywoodiano infilare nel film una storia d’amore.

BASEBALL. Tutti i protagonisti esistono perché esiste il baseball, la loro unica ragione di vita, anche se a livelli diversi. Ma nemmeno in questo caso Lorenz padroneggia la materia: viene spontaneo paragonare Di nuovo in gioco al bellissimo L’arte di vincere. Il paragone è impietoso e il film prodotto da Eastwood perde amaramente il confronto. La pellicola con con Brad Pitt è emozionante, avvincente e ha il merito di riuscire a trasmettere la passione per il baseball anche agli spettatori meno interessati allo sport più amato dagli americani. Il film di Lorenz affronta le stesse tematiche de L’arte di vincere, ma sempre con superficialità. Come se ci trovassimo davanti a un prodotto per la tv destinato a un pubblico che gira pigramente canale il sabato pomeriggio. La storia e i suoi protagonisti avrebbero di certo meritato un trattamento diverso.

@paoladant

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