
Collezione primavera estate Giuseppe Conte

Ma che senso hanno gli Stati generali convocati del presidente del Consiglio Giuseppe Conte? A parte il nome storicamente sfortunato e le facili ironie, è questo di cui ha bisogno oggi l’Italia? «I Governi possono fare le cose e comunicarle, oppure comunicare che hanno intenzione di fare delle cose, e in genere quando scelgono la seconda strada è perché non possono fare ciò che annunciano», ha detto Angelo Panebianco all’Huffington Post.
Questo è solo l’ennesimo piano parolaio, l’ennesima passerella a favor di telecamera, l’ennesima esibizione egoriferita di un premier inconcludente. Se lo scopo è “mettersi in ascolto del paese”, non l’ha già fatto il comitato presieduto da Colao «con oltre 200 esponenti del mondo economico e sociale, nonché con rappresentanti della Commissione europea e di numerosi ministeri, ricevendo e analizzando oltre 500 contributi scritti»?
Piccolo elenco
Allora, perché – anziché l’ennesima kermesse – non si mettono in pratica alcune delle idee lì contenute, quelle chi ieri, provocatoriamente, riassumeva così sul Corriere Antonio Polito?
«Piccolo elenco: 1) una deroga temporanea a quanto previsto dal “decreto dignità” per non interrompere i contratti a termine; 2) volontary disclosure del contante derivante da redditi non dichiarati e per il rientro dei capitali dall’estero; 3) revisione delle complicazioni del codice degli appalti almeno per sbloccare le infrastrutture strategiche; 4) fare l’Alta velocità dovunque sia prevista; 5) diffondere il 5G su tutta l’Italia; 6) apertura nei giorni festivi dei servizi al pubblico; 7) dotare il Paese di una rete di cyberdifesa. What else?»
Ha detto bene ieri a Italia Oggi il sociologo Luca Ricolfi:
«Mi aspetto una passerella di personalità più o meno autorevoli e un’alluvione di retorica».
Tutti sappiamo cosa si deve fare
Il punto è che gli Stati generali non servono a una beata cippa, per dirla con un francesismo. Tutti – a parte i paragrulli e la parte preponderante della sinistra – sappiamo benissimo cosa bisogna fare per far ripartire l’Italia. Lo sapevamo anche prima del Covid, solo che ora “l’urgenza s’è fatta ancora più urgente”.
«Il punto, secondo Panebianco, è che “tutti sappiamo da sempre che cosa bisognerebbe fare, non c’è bisogno di Stati Generali e al limite neppure delle commissioni di esperti”. Tutti sanno che “bisognerebbe cambiare la normativa sugli appalti per far riaprire i cantieri, tutti sanno che bisognerebbe dare uno scudo e una protezione rispetto alla giustizia amministrativa ai funzionari dell’amministrazione altrimenti non si muovono”. Anche “il meccanismo che porta denaro alle imprese va cambiato, altrimenti quel denaro non arriva” e la giustizia civile “va resa più veloce, altrimenti non arrivano gli investimenti esteri”. Questioni “che si sanno da sempre”, così come si conoscono gli “ostacoli formidabili” che impediscano che le cose si modifichino. Gli impedimenti “sono di ordine amministrativo”, con l’amministrazione che “non ha voglia di accettare dei diktat”, e in parte sono politici, perché “ci sono ampi settori del mondo politico che non hanno voglia di far ripartire i cantieri”. La combinazione delle due cose, resistenze burocratiche e cultura di certe forze, “impedisce di far ripartire il Paese”».
Foto Ansa
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