
Combatteremo il sessismo con il porno rosa?

Martedì 7 novembre la tv olandese BNNVARA manderà in onda la prima puntata di un programma che sembra titolato appositamente per scatenare la famosa “furia del popolo della rete”. Lo show si chiama Verkracht of Niet, una cosa tipo “Stupro o no?”, e rimetterà in scena in forma di docufiction episodi di presunti abusi sessuali realmente accaduti e già giudicati nei tribunali del paese. I relativi verdetti saranno poi discussi da un gruppo di 14 giovani, scrive The Sun.
La presentatrice, Geraldine Kemper, spiega che il programma «non si occuperà di casi in cui qualcuno viene trascinato dietro un cespuglio e violentato. Non si discute di questo. Ma in tante situazioni la questione è molto meno chiara». Aggiunge il produttore, Bernard van den Bosch: «Dapprima tutti alzavano le sopracciglia, adesso tutti dicono: che tempismo». Difficile non riconoscerglielo, il tempismo, alla luce del fatto che “Stupro o no” è stato pensato prima che il caso Weinstein provocasse un diluvio di pornoaccuse sui boss dello star system americano, e prima che partisse, anche qui, la famosa “mobilitazione del popolo della rete”, con l’hashtag #MeToo e lo stillicidio infinito di racconti di #QuellaVoltaChe.
La stessa Kemper, si legge nella cronaca del Daily Mail, ammette che davanti alle prime immagini dei casi ricostruiti dalla sua trasmissione non avrebbe saputo dire con certezza se si trattasse effettivamente di reati sessuali o meno. Stando alle anticipazioni fornite alla stampa, si va dalla “classica” vicenda della coppia che finisce a letto dopo una festicciola eccessiva alla storia – attenzione adesso – del giovane stagista sedotto dalla sua boss donna; in calendario c’è anche una puntata che vedrebbe protagonisti due produttori televisivi, entrambi maschi, la cui disputa legale sul loro rapporto/abuso fece scandalo all’epoca in Olanda. Insomma, Weinstein o non Weinstein, “stupro o no”, è evidente che una “zona grigia” di sesso e potere e violenza minaccia ormai di gettare la sua ombra su qualunque relazione di questa parte di mondo. Oltre a suscitare indignazione e condanna morale, però, la cosa dovrebbe obbligare a formulare almeno una domanda: ma dove vogliono arrivare i cavalieri della tempesta “antisessista”?
Lara Prendergast ha scritto per il britannico Spectator un bell’articolo in cui racconta con aneddoti ed esempi eloquenti come la «paranoia» che ora funesta Hollywood e Westminster (senza dimenticare le prime mareggiate abbattutesi sull’Onu, sul Front National francese, sui Verdi austriaci e sul cinema italiano) presto si sfogherà dappertutto. Sta già avvenendo, secondo la giornalista.
«Un nuovo scisma si sta aprendo tra uomini e donne. Si raccomanda incessantemente alle donne di stare in guardia dai maschi predatori, e le donne hanno sempre più paura di uscire all’aperto. Mentre gli uomini diventano più nervosi avvicinandosi alle donne per timore che sia la loro stessa natura a rappresentare una minaccia per l’altro sesso. (…)
Le donne prendono misure sempre più estreme per proteggersi perché un piccolo gruppo di militanti va dicendoci che tutte le nostre peggiori paure a riguardo degli uomini sono vere – e noi dobbiamo reagire. E se questo significa restaurare l’antica segregazione a discapito delle libertà che ci sono costate tanto, che sia».
Qualcosa non torna, osserva Prendergast, se mentre Cinquanta sfumature di grigio scala le classifiche internazionali dei bestseller «a livello politico si sente chiacchierare della possibilità di prevedere “carrozze per sole donne” sui treni», o se all’epoca dei chemsex party «nelle università britanniche si somministrano corsi di consenso [al rapporto intimo] obbligatori», e se «anche le aziende e le banche li stanno introducendo».
Naturalmente, precisa Prendergast, che sa benissimo che il suo articolo le costerà l’accusa di tradimento di genere, «se vengono scoperti dei reati veri perché le donne si sentono incoraggiate a farsi avanti, questo può essere solo positivo». Nessuno difende Weinstein e compagnia, che se la vedranno con la giustizia semmai. Il fatto è che forse l’«isteria» post-Weinstein sta spingendo tutto un po’ troppo in là.
«L’hashtag #MeToo, che ha spopolato nei social media dopo l’esplosione del caso Weinstein, ha dimostrato quante donne considerino se stesse vittime di un abuso sessuale. Ma anche quanto la definizione di quest’ultimo si sia allargata in modo allarmante. Nel mio feed di Facebook le esperienze descritte spaziavano dallo stupro al “sentirsi come se un uomo una volta mi avesse penetrata con lo sguardo”».
Qualcosa di simile lo ha osservato dalla prima pagina di Repubblica di venerdì 3 novembre anche Michele Serra, uno che in genere quando c’è da indignarsi non si tira certo indietro. Ha scritto Serra:
«Nata nel segno di una giustissima causa, la campagna contro gli abusi sessuali negli Usa sta rapidamente prendendo le forme (grottesche) della ossessione fobica. Un maccartismo da cerniera lampo che confonde in un solo ingestibile calderone lo stupro e la proposta sporcacciona, l’offesa che lascia cicatrici e la volgarità che rende ridicolo il suo latore».
Ovviamente l’obiettivo polemico di Serra è in realtà «l’immorale» che approfitta della confusione per dire che è tutta una pagliacciata e continuare «a fare i suoi comodi». Tuttavia la presa di coscienza resta notevole. Tra il vero molestatore e il marpione molesto «ci sono decine di gradi intermedi dell’intimidazione e dell’imbarazzo», ricorda Serra.
«L’umano è complicato, e sbarazzarsi di questa complicazione è lo scopo principale del censore, del moralista, del purificatore».
Ecco, ci stiamo avvicinando al punto. Lo stesso punto centrato perfettamente, sebbene forse involontariamente, dal titolo della trasmissione olandese di cui sopra. “Stupro o no?”. È una domanda che non dovrebbe porsi. «Com’era prevedibile – racconta il Daily Mail – il programma ha provocato indignazione in Olanda, i critici lo definiscono “balzano” e sostengono che non si può avere una “opinione” sullo stupro».
Perfetto. Nessuno dovrebbe credersi in diritto di mettere uno stupro sul piano delle opinioni. Ma nell’epoca del #MeToo, di cosa parliamo quando parliamo di stupro, di abuso, di molestia? Sicuri che stiamo parlando di reati e non piuttosto di “peccati”? (Peccati ovviamente non nel senso cattolico del termine, ma in un senso genericamente moralista – vedi Michele Serra).
Ancora Lara Prendergast:
«Se si guarda oltre l’attuale isteria, sta accadendo qualcosa di minaccioso. I muri tra uomini e donne che erano stati abbattuti dalle femministe vengono eretti di nuovo – nel nome del femminismo. E mentre un tempo erano i gruppi religiosi a imporre la morale sessuale, nella nostra cultura moderna e secolarizzata quella responsabilità se la prende chi fa la voce più grossa in internet.
Provate a pensarla come una nuova riforma sessuale. (…) [A metà ottobre] la scrittrice Helen Rosner ha pubblicato una guida alle “20 cose che gli uomini possono fare per stare dalla parte delle donne, oltre a smetterla di molestarci sessualmente”. Conteneva consigli per gli uomini come “cercare delle donne che possano essere i vostri eroi”, “parlare meno. In ogni momento” e consumare pornografia “etica” fatta da donne, persone omosessuali e persone di colore. Mi chiedo cosa se ne sarebbe fatto Lutero».
Fatta la tara alla dabbenaggine della Rosner, la Prendergast fotografa un processo che non è molto lontano da quello descritto da Angelo Panebianco in un brano citato recentemente da Mauro Grimoldi nel blog di Esserci. Panebianco parlava di populismo/giustizialismo, in quell’editoriale del Corriere della Sera del 22 settembre scorso; qui occorre soltanto sforzarsi di trasferire il suo ragionamento dalla marea antipolitica di Roma alla crociata antisessista di Hollywood. Quali effetti produce il «circo mediatico-giudiziario», quando viene impropriamente identificato come il redentore di tutti mali del mondo, dalla malapolitica alla violenza sulle donne, reale o percepita che sia?
In Italia, scrive Panebianco, «ha annullato, in primo luogo, nella coscienza di tanti, il principio fondamentale su cui si regge la società libera, la distinzione e la separazione fra il “peccato” e il “reato”, fra l’etica e il diritto. Ha convinto molti, in secondo luogo, che la politica rappresentativa sia in mano ai corrotti e che occorra quindi ristabilire – contro la politica rappresentativa – il governo della virtù».
I migliori auguri per questa impresa alle pornoregiste.
Foto Ansa
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