Con Prodi si cambia. Ora nella guerra al terrore l’Italia è neutrale

Prodi va a Parigi e a Berlino, come se l’Unione Europea del 2006 fosse la stessa del 1996, e come se i referendum francese e olandese sulla Costituzione non avessero avuto l’esito che hanno conosciuto. Non sembra avere chance di ripresa l’idea di una Europa unita al punto da potersi esprimere in forma di Stato con tanto di Costituzione. La globalizzazione, lungi da spingere all’integrazione, induce ogni Stato ad affrontare i propri problemi da solo. Il fisco, il lavoro, il commercio internazionale sono sentiti sempre più come problemi nazionali. L’Europa è una cornice, non un’unità. Inoltre l’emersione del terrorismo islamista ha condotto a una frattura tra Europa e Stati Uniti, eppure sono stati proprio questi ultimi la vera potenza federatrice delle nazioni europee. L’asse franco-tedesco è crollato perché la sua risposta al terrorismo è stata chiamarsi fuori, pur essendo la parte del mondo più minacciata dal nuovo fenomeno. Chirac e Schröder sono usciti di scena. E l’Europa è ridotta alla sola Commissione: l’unica politica del governo Prodi è quella dell’accordo con il commissario Joaquín Almunia (foto). Vi è il vuoto della politica in questo governo, e il vuoto della nazione. Prodi spera di ricevere supporto, in nome della comune amicizia con Helmut Kohl, dal nuovo cancelliere tedesco, Angela Merkel. E D’Alema va a Foggy Bottom come se fossero vicini i giorni della grande assemblea fiorentina dell’Ulivo mondiale, cercando nell’intervento del suo governo nei Balcani il titolo di raccomandazione nei confronti di Condoleezza Rice.
Ma il terrorismo e la guerra irachena hanno cambiato il mondo, il Novecento è finito con l’ultima guerra balcanica. A Washington D’Alema non è più l’uomo dell’intervento della Nato in Kosovo, ma il leader politico che pone fine in modo radicale alla presenza italiana in Irak e rappresenta un esecutivo che, rovesciando la posizione del governo precedente, giudica un errore l’intervento americano, mossa centrale della lotta contro quel fondamentalismo che preconizza lo scontro fra islam e Occidente. In più, una parte fondamentale della maggioranza è composta da partiti avversi per principio agli Stati Uniti e quindi contrari addirittura all’intervento in Afghanistan. Perciò si comprende la difficoltà della posizione di D’Alema, costretto a ritirare davanti a Washington la promessa del governo Berlusconi di potenziare la presenza italiana in Afghanistan.
Con il governo Prodi l’Italia dunque volta pagina, e tende a scivolare nel neutralismo dinanzi al conflitto che divide il mondo. Il fatto che questa sia stata la posizione franco-tedesca fin dall’inizio della guerra irachena ormai dimostra soltanto che essa ha condotto alla crisi i governi che l’hanno sostenuta. Nella lotta al terrorismo islamico non c’è alternativa al successo nella costituzione dell’Irak democratico.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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