Consulenti, ma de che?

Di Giorgio Vittadini
24 Aprile 2003
Lo chiamano consulente. Di solito non si qualifica in questo modo. Si spaccia come professore

Lo chiamano consulente. Di solito non si qualifica in questo modo. Si spaccia come professore in quanto in Italia c’è sempre la possibilità di avere un incarico in qualche università aperta grazie ai soldi di qualche ente locale e di qualche magnate che pensa di comprare la cultura. Entra in qualunque consiglio di amministrazione sia pubblico che privato. Perché? è bravo? Certo, il consulente è competente, ha molte qualità ma eccelle in alcune: neutralità (destra o sinistra, prima o seconda repubblica non importa, basta esserne consulenti), l’ecletticità (sono stati in consigli di amministrazione di ospedali, banche, fondazioni bancarie, piccole e grandi imprese, fiere, porti, canali, istituti di beneficenza, case di cura, canili, zoo), la mancanza di pregiudizi ideologici (pecunia non olet, mai), lo spirito ideale (tutto per chi comanda oggi). La sua specializzazione è l’affronto scientifico professionale dell’ovvietà: “occorre diminuire i costi e aumentare i ricavi”, “vendere di più e fare meno magazzino”, “evitare di acquistare tecnologia obsoleta” tenendo conto delle ultime scoperte della scuola anglosassone: le human resources, la governance, l’e-commerce, il global service, l’outsourcing, il network… Il suo slogan preferito è consigliare, consigliare, consigliare e “sottovoce” evitare, evitare, evitare (di prendere la responsabilità, di rispondere). Secondo una tecnica conosciuta se va bene è merito suo, se va male è stato frainteso, se va molto male prima che tutto crolli se ne va sdegnato di non essere capito. Ma il mestiere del consulente trova il suo apice in una particolare attività. Il consulente scrive sui quotidiani per dare quel tocco in più, tipico del parvenu che va alla Prima della Scala per “farsi vedere”. Sui giornali però non parla di economia: sarebbe banale. Il consulente parla di morale perché è questo che permette il vero salto sociale, l’entrata in quell’olimpo italico fatto di ricche annoiate, ex magistrati in vacanza, ex soubrette diventate prime donne, registi depressi, gran commis dello Stato, giornalisti che scrivono a tassametro, laici ed ecclesiastici annoiati del sacramento, desiderosi di nuove emozioni, nuovi filosofi, autori dei testi di talk show. Per partecipare a questo circo equestre che popola la notte televisiva degli italiani il consulente si scaglia contro i nemici della moralità, senza verificare le fonti. Il consulente disserta di non profit raccomandando che sia “volontariato” e non sia colluso con l’impero del denaro, senza sapere che in gran parte del mondo comprende anche grandi imprese, che persegue scopi di pubblica utilità. Il consulente vuole che privato e pubblico siano ben distinti e che gruppi di integralisti corrotti non si approprino della cosa pubblica senza spiegare che c’è una parte della cosa pubblica in cui la divisa è quella dei suoi amici grembiulini. Il consulente, affascinato dalle pasionarie cattocomuniste, fa grandi aperture al no global, agli ultimi sottoproletari, agli emarginati, a patto che rimangano virtuali (dal vero puzzano). Soprattutto, profondo studioso com’è del pensiero filosofico positivo di Jovanotti, giunge a scoprire il manicheismo condito di puritanesimo e scatena la caccia all’untore, di solito cattolico, non venduto al potere, di solito realtà di base non lacchè dei partiti, vitale nella società, che conquista con il lavoro e il merito le sue posizioni. Perciò prepara i roghi per i corrotti integralisti. Ma sia ben chiaro: no alla corruzione nell’acquisto della legna. Non bisogna comprare robinie per il rogo, visto che lui è consulente di tanti altri alberi (indovinate quali)…

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