
Contro lo spirito di fazione
Un po’ di anni fa, col pretesto che i partiti avevano invaso ogni aspetto della vita sociale, civile e economica, hanno fatto fuori i partiti popolari. Così i partiti sono diventati piuttosto rappresentanza di interessi. Oggi, non solo quest’idea non è più di moda, ma ci tocca assistere alla peggiore versione della partitocrazia di tutti i tempi. Il maggioritario ha prodotto non l’alternanza all’inglese, ma la guerra fra blocchi che si insultano, si delegittimano, si accusano delle peggiori nefandezze, arrivando persino a violare l’indipendenza dei poteri dello Stato. Questo accade non solo a livello nazionale, ma a qualunque livello vi sia una qualunque elezione. La cosa più grave è che non c’è più possibilità, anche per chi fa politica, di giudicare i fatti e le persone in modo obiettivo. Obiettività significa che su certe cose può aver ragione uno, su altre può aver ragione l’altro, oppure che possono esserci ottimi candidati da entrambe le parti. Capita a volte che il mondo sociale ed economico arrivi a soluzioni concordate. Buoni politici da entrambe le parti sono coloro che esercitano l’arte del compromesso. Ma oggi non lo si può più dire: bisogna scagliarsi contro l’avversario perché non basta più neppure schierarsi. Quando uno usa un’altra logica e, provocatoriamente osa dire che sono bravi entrambi, cosa capita? Capita che chi fino a ieri ti aveva bollato come intrallazzone, ti prende a simbolo di democrazia e chi fino a ieri ti aveva lodato come simbolo di democrazia e sviluppo, ti fa capire che le tue iniziative non valgono in sé, ma in quanto sei parte di una coalizione. Fino a quel momento, pensavi che ciò che facevi valeva in sé, fosse un contributo per tutti. Ma questo, per chi non fosse del tutto ingenuo, era nel conto e nessuno di noi – chi scrive innanzitutto – è alieno dalla tentazione del possesso, del potere. Ci deve essere però una linea del Piave: che questo rimanga un discorso “da politici”, un loro vizio di fabbrica, un peccato veniale legato al loro status. Diverrebbe peccato mortale se tranquillamente tutti pensassero che hanno ragione, soprattutto per le opere che nascono da un’esperienza cristiana. In poco tempo riavverrebbe ciò che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni: non un’unità in funzione della fede, ma un’unità in funzione di partiti.
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