
Corea del Nord. Shin e Ahn, il prigioniero e la guardia che gli diceva «non sei un essere umano», denunciano insieme a Seul l’orrore dei gulag
Il detenuto del gulag e la guardia fianco a fianco per denunciare i crimini della Corea del Nord. Il primo, Shin Dong-hyuk, l’unica persona ad essere nata in un campo di concentramento nordcoreano e ad essere riuscita a scappare per raccontarlo. Il secondo, Ahn Myung-chul, guardia che aveva «l’autorità di uccidere i prigionieri come lui se tentavano di scappare. Non avremmo potuto sedere così, fianco a fianco, in Corea del Nord, ma fortunatamente siamo arrivati in un paese libero dove questo è possibile».
I DUE FUGGITIVI. Tempi.it vi ha già raccontato le storie di Shin e Ahn e le bestialità che hanno visto con i loro occhi nei gulag nordcoreani, dove sono ancora rinchiuse circa 200 mila persone, molti solo per il fatto di essere cristiani. I due hanno tenuto una conferenza insieme a Seul nel fine settimana. «Quando ci siamo incontrati per la prima volta – racconta Shin – non riuscivo neanche a guardarlo in faccia. Abbassavo lo sguardo perché ho ancora nelle mente l’immagine delle guardie che puntano i fucili, gridano e trattano i prigionieri come bestie».
«TRATTATI PEGGIO DEI CANI». Shin ha imparato nel campo che i prigionieri sono solo degli animali, «non più esseri umani ma mali assoluti», come le guardie simili ad Ahn gli hanno insegnato. Molti detenuti del gulag «neanche sapevano perché erano rinchiusi e perché noi li trattassimo come qualcosa di inferiore agli esseri umani». Come ricorda Shin, «dentro i campi dicevamo sempre che venivamo trattati come i cani o i topi. Ma mi sono reso conto che eravamo trattati peggio di loro, perché almeno i cani e i topi avevano la libertà di andare dove volevano e mangiare quello che trovavano».
SHIN. Shin è nato nel 1982 dentro il Campo 14, uno dei più duri. Qui è stato “disumanizzato”, tanto che è stato lui a denunciare la propria madre che aveva tentato di fuggire. La madre è stata poi uccisa davanti ai suoi occhi per questo: «Credevo fosse giusto denunciare mia mamma. Quando vedevo la gente che veniva picchiata o uccisa, pensavo che lo meritassero perché avevano violato le regole». Shin è scappato nel 2005, approfittando della distrazione delle guardie, e quello che più lo ha sconvolto del «mondo libero» non sono le auto, la tecnologia o gli spazi aperti: «La cosa più scioccante era la gente che si muoveva come voleva, che vestiva abiti di mille colori diversi e mangiava liberamente».
AHN. Ahn invece è nato nel 1969 e dopo aver torturato prigionieri per anni nei gulag, si è reso conto della malvagità del regime comunista dei Kim quando suo padre, durante la grande carestia, ha insultato il leader Kim Jong-il. Accortosi del crimine che aveva commesso si è suicidato ma la sua famiglia è stata arrestata. Ahn ha allora capito il sistema in cui si trovava e nel 1994 è fuggito dal paese. Ora, entrambi liberi, vivono per raccontare al mondo la crudeltà della dittatura comunista.
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Ciò che non cessa mai di stupirmi è che c’è ancora gente tenacemente attaccata al credo comunista, refrattaria a qualunque dimostrazione della realtà, presente e passata del marxismo, vero cancro dell’umanità.