
Così rinasce Milano
Dice che «Praga è bella, Barcellona è bella, e il centro di Roma è bello, perché “incarnano” un ideale figurativo: il barocco, il liberty, la cultura del moderno. Milano no, non si può dire che è bella, almeno secondo i canoni dell’estetica “classica”. Ma è una città che ha carattere. È questo che seduce, che fa innamorare di lei». Passeggia tra il Sempione, corso Magenta e le viuzze di Brera. Trova suggestivi i Navigli, «ma i luoghi dei sentimenti sono altri». Perché il cuore dell’architetto, professore e soprattutto cittadino Paolo Caputo non batte sotto i poggioli dei quartierini “bene” cari all’iconografia milanese. Batte tra i capannoni delle aree ex industriali: Falck, Bassetti, Magneti Marelli. Tra gli scheletri industriali della Montedison e la polverosa Bovisa: «Frequento le periferie, d’Italia e del mondo. Perché sono i luoghi dove una volta finiva la città e in cui oggi ha inizio il futuro».
“Una volta”: già perché a passeggiare in certe zone intorno a Porta Venezia, via Padova o nella Chinatown di Via Paolo Sarpi, ora più simile a un ghetto che a una via adiacente ai quartieri residenziali dell’Arena milanese, c’è da chiedersi se degrado e marginalità siano davvero prerogativa delle “periferie”. «Il territorio si è infatti strutturato in modo molto diverso rispetto al passato», spiega Caputo, «e ciò che definisce oggi la città è un aggregato di centri storici, contesti industriali, ritagli di campagna e nuovi specialistici sistemi, come quello universitario, articolati in poli. A Milano è “periferia” quella corona urbana che in seguito alla dismissione delle sue industrie ha disposto alla trasformazione della città immensi territori. Milioni e milioni di metri quadri alla ricerca di un nuovo destino». Su queste aree per 25 anni Milano ha lavorato senza sosta fino a trovare nei Piani integrati di intervento, «gli strumenti più idonei per rendere le idee fatti concreti, complice una nuova alleanza tra comunità economica, società civile e istituzioni, dove l’amministrazione pubblica, a tutela degli interessi collettivi, mantiene una funzione di indirizzo, lasciando il ruolo propositivo-operativo all’imprenditoria privata. Un’alleanza che ha dato i suoi frutti in tutti quei piani, approvati a partire dalla fine degli anni Novanta e resi coesi dal documento “Ricostruire la Grande Milano”, pubblicato dal Comune nel 2000. Grazie al quale anche la “periferia storica” è oggi oggetto di trasformazioni volte alla costruzione di nuove centralità: le università per l’area Bovisa o Bicocca, la Beic per Porta Vittoria, strutture per lo sport e l’intrattenimento in via Adriano, il Centro Congressi a Santa Giulia.».
Caputo dice che l’architetto è uno che impara: impara a vedere nella storia di un luogo l’alimento necessario ad ogni progetto e, nei vincoli che essa pone, a individuare i diversi gradi di libertà dello stesso. Per questo quando la Caputo Partnership iniziò la progettazione dell’Altra Sede della Regione Lombardia nell’area Garibaldi-Repubblica insieme ai newyorkesi Pei, Cobb, Freed & Partners, «ci siamo relazionati all’area circostante attraverso la parte “bassa” del complesso – che, pur se caratterizzata da una singolare struttura sinusoidale, è attenta a recuperare relazioni e allineamenti con gli edifici intorno – e al contempo “disancorati” dal contesto attraverso la Torre. Un’opera capace di dialogare con l’architettura tradizionale – nella ideazione di una piazza centrale coperta, che rievoca i “broletti” tipici dell’area lombardo-veneta – come con la più recente architettura del Grattacielo Pirelli di Gio Ponti». Per Caputo, dunque, il progetto nasce dalla lettura del luogo, dalla selezione delle sue specificità, dal mixage tra queste e suggestioni e allusioni culturali e figurative vicine e lontane.
Ma è nei parchi, «le piazze della contemporaneità», che si svela l’elemento centrale della sua architettura urbana. Una progettazione spesso appagata dal confronto con i limiti di budget e i vincoli normativi, e sempre volta all’integrazione di saperi e conoscenze tecniche necessari ad affrontare temi complessi. Per Caputo le decine di torri di Adriano, Citylife, Garibaldi, delle aree ex Falck sanciranno la fine di una Milano «senza paesaggio». E se tutto ciò sarà positivo «lo si capirà se le nuove architetture faranno pensare: gli architetti devono “far pensare” attraverso le proprie opere tanto quanto i filosofi lo fanno con i propri scritti».
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