
Critica intelligente al conservatorismo che ha perso se stesso

C’è conservatorismo e conservatorismo. Meglio, c’è chi parla di conservatorismo perché vi sono partiti o movimenti politici che dicono di rifarsi a tale dottrina, e c’è chi parla di conservatorismo su un piano meta-politico. Il primo caso non c’interessa. Il secondo sì, perché sono le idee a muovere il mondo, anche se la politica, perlopiù per insipienza, tende quasi sempre a ignorarle. Lo nota il filosofo politico Claes Ryn nel suo ultimo ponderoso lavoro: The Failure of American Conservatism and the Road Not Taken (Republic Book Publishers, 2023).
Svedese di nascita, Ryn ha svolto tutta la carriera universitaria negli Stati Uniti. Studioso tra gli altri di Irving Babbitt, Benedetto Croce, Jean-Jacques Rousseau e del conservatorismo come prospettiva meta-politica, ovvero etico-culturale. La sua diagnosi dello stato non esattamente brillante in cui versa il conservatorismo americano, e non solo, parte proprio da qui: mancano le idee, perché si è smarrita l’idea cruciale di cosa sia il conservatorismo. Non un’ideologia tra le altre, ma una filosofia che riposa su principi permanenti. E tali principi permanenti, o permanent things, per riprendere l’espressione di T.S Eliot poi usata e divulgata da un autore caro a Ryn, Russell Kirk, costituiscono per l’appunto la base culturale da cui partire per ragionare, in seguito e solo in seguito, politicamente.
Valori e principi
Il conservatorismo ha smarrito la rotta perché si è focalizzato su questa o quella parte della realtà: l’economia, la politica, il diritto. E con esiti, osserva, non proprio eclatanti: il rigore fiscale perseguito si è tramutato in un aumento della spesa pubblica; il governo limitato, come da principio dei Padri fondatori, non è poi così limitato; la difesa della rule of law è messa a dura prova dalla legislazione e dall’interferenza continua del dispositivo statale nella vita delle persone.
Per Ryn si sono diffuse idee errate, perché parziali e quindi ideologiche, perché non si è più saputo ascoltare il meglio che la tradizione culturale occidentale ha saputo seminare e offrire ai suoi appartenenti. In primo luogo, un’idea di uomo intangibile da qualsivoglia potere o autorità. L’idea di persona dotata di ineffabile dignità è messa a dura prova da diverse nefaste tendenze della contemporaneità, ma soprattutto dalla hybris. Non certo una tendenza nuova, ma anzi sempre presente in seno alla modernità. Eppure, la tentazione razionalistica è oggi ancora più forte. E il conservatorismo a questo non ha saputo opporsi perché sul piano etico-culturale ha perso i suoi riferimenti.
Per Ryn il conservatorismo deve ritrovare il proprio afflato universalistico, sul piano dei valori e dei principi, ma calandolo concretamente nell’esperienza degli individui (parla a tal proposito di value-centered historicism). Il conservatorismo si configura insomma come una teoria che intende conservare il meglio di ciò che ha creato l’uomo sul piano culturale, ma che va appresa attraverso l’immaginazione morale, la ragione, e la coscienza individuale.
Serve una bussola
Tra i suoi riferimenti, si è detto, figura Babbitt, ma anche Kirk, Peter Viereck, John Hallowell. Per questi ultimi, pur nella diversità, a contare era l’idea che conservare non significa reagire a tutto ciò che è nuovo. Per dirla con un altro autore, Richard Weaver, vi sono almeno due tendenze conservatrici: la prima, che ha a che fare più con la reazione, intende distruggere il nuovo in quanto tale. In tal modo, quasi paradossalmente, il conservatore si comporta come il giacobino rousseauiano che vuole fare tabula rasa di ciò che è, sulla base di uno schema astratto e razionalistico.
La seconda attitudine conservatrice parte da una visione antropologica differente, in quanto cioè consapevole della natura imperfetta e fallibile degli uomini. Per tale ragione, il conservatore sa che ogni creazione è per definizione rivedibile e correggibile. E la tradizione serve appunto, per dirla con Hallowell, come bussola (non dogma o ideologia) per orientarsi nell’incertezza che è il mondo umano. L’attitudine conservatrice, ci ricorda Ryn, è un’attitudine umile e prudenziale verso la vita stessa. Sbaglia il conservatorismo che se ne dimentica.
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