
E se affidassimo il Csm al caso? Sempre meglio dei maneggi delle correnti

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nel luglio 2014 il guardasigilli Andrea Orlando aveva annunciato una riforma del Consiglio superiore della magistratura. Era uno dei mitici 11 punti della “riforma della Giustizia” proclamati in pompa magna dal governo Renzi. Il Csm, in effetti, è tra i grandi “buchi neri” della giustizia italiana: organo costituzionale, dovrebbe stabilire le sanzioni per i magistrati che sbagliano e decidere promozioni e trasferimenti. In realtà si è trasformato in mercato di posti e garanzie. Raffaele Cantone, il magistrato anticamorra che oggi è presidente dell’Autorità anticorruzione e parla spesso con lingua diritta, ha detto testualmente che «il Csm è ormai un centro di potere di cui si fa fatica ad accettare il ruolo».
Non contento, ha aggiunto: «Le correnti sono diventate un cancro della magistratura. (…) Hanno rappresentato e rappresentano un vero e proprio sistema per certi versi peggiore di quello della politica: perché sono uno strumento indispensabile per fare carriera. In magistratura o sei un Giovanni Falcone, e anche lui ha avuto i suoi problemi, oppure se non fai parte di una corrente non vai da nessuna parte. È un dato obiettivo, difficile da non accettare: lo ammetto, anche io non mi sono cancellato dall’Associazione nazionale magistrati, né dalla corrente cui sono sempre stato iscritto (Movimento per la giustizia, ndr) fin dal primo giorno».
Tanti auguri al governo
Ebbene, nel settembre 2015 il ministro Orlando aveva lanciato non una, ma addirittura due commissioni di studio per riformare il Csm. Eppure, com’era prevedibile, il lavoro si è già arenato tra mille contrasti. Il difetto probabilmente era già nella composizione delle due commissioni: su un totale di 32 membri, 27 sono magistrati e 14 di questi sono ex membri del Csm. Le altre categorie? In tutto, tre professori e due avvocati. Per non dire del presidente di entrambe le commissioni: è Vincenzo Scotti, 82 anni, a sua volta ex magistrato, ex membro del Csm e già molte volte parlamentare e ministro.
A causare lo stallo e il conseguente fallimento del tentativo di riforma sono state soprattutto le infinite discussioni sul metodo per l’elezione dei consiglieri del Csm: proporzionale o maggioritario? Meglio collegi nazionali, però esposti all’organizzazione del voto da parte delle correnti? Oppure collegi piccoli, ma esposti al clientelismo personale dei candidati?
Adesso l’iniziativa torna al ministro, che ha l’occasione di assumere su di sé la responsabilità di una riforma che persegua con chiarezza il fine di sottrarre il Csm al dominio delle fazioni ideologiche e clientelari, e restituirlo agli scopi per cui fu creato.
Anni fa partecipai a un talk-show con l’ex procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti, un magistrato dal carattere ispido con cui non andavo molto d’accordo. In quell’occasione, Tinti parlò delle sue idee per riformare il Csm. Disse: «Ogni sistema elettorale ha i suoi difetti. Tanto vale procedere alla nomina dei magistrati per sorteggio casuale». Allora presi quell’ipotesi per una provocazione. Come si possono scegliere i migliori affidandosi al caso? Bene, oggi ho cambiato idea: non c’è altra soluzione. Se si vuole davvero togliere il Csm dal cappio delle correnti, e dai loro indecorosi maneggi (io do questa nomina a te se tu dai quella a me; io evito di sanzionare il tuo magistrato se tu eviti di sanzionare il mio…), l’unica strada è quella di evitare il voto. Sorteggiate, gente: sorteggiate.
Foto da Shutterstock
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