
Da Pio XXII a mister David
La Santa Sede e lo Stato di Israele sono impegnati in una adeguata cooperazione nella lotta contro tutte le forme di antisemitismo e tutti i tipi di razzismo e di intolleranza religiosa e nel promuovere la reciproca comprensione tra le nazioni, la tolleranza tra le comunità e il rispetto per la vita e la dignità della persona umana.
La Santa Sede coglie questa occasione per rinnovare la sua condanna all’odio, alle persecuzioni e ad ogni altra manifestazione di antisemitismo che colpiscano il popolo Ebraico e i singoli Ebrei in ogni luogo e tempo e da parte di chiunque. In particolare, la Santa Sede condanna gli attacchi contro gli Ebrei e la profanazione delle Sinagoghe e dei cimiteri, atti che offendono la memoria delle vittime dell’Olocausto, soprattutto quando avvengono negli stessi luoghi che lo testimoniano”.
Questo è il testo dell’Articolo 2 dell’Accordo Fondamentale tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele che è stato firmato il 30 dicembre 1993 ed è entrato in vigore il 10 marzo 1994. Per i successivi cinque anni, allo stesso modo dell’esatta composizione del deterrente nucleare dichiarato da Israele, è sembrato essere il segreto di stato più gelosamente custodito, fino a quando è stato finalmente pubblicato sulla gazzetta ufficiale d’Israele, nella primavera di quest’anno (1999).
Il testo è stato tra i primissimi adottati dalla Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele (costituita il 29 luglio 1992) e venne approvato nella sua seduta plenaria del 19 novembre 1992, insieme all’Articolo 1, cui è indissolubilmente legato, sulla libertà di religione e di coscienza. Il secondo paragrafo dell’Art. 2 è stato presentato spontaneamente dalla Delegazione della Santa Sede ed esprime la dottrina riconosciuta della Chiesa Cattolica così come specifiche asserzioni del Sovrano Pontefice, fatte in considerazione di alcuni incidenti accaduti allora in Europa.
Durante la stessa seduta plenaria, l’allora capo della Delegazione della Santa Sede, Monsignor (oggi Arcivescovo) Claudio Maria Celli, affermò – e in seguito ribadì – con grande partecipazione che nessun Ebreo, perseguitato o discriminato per il semplice fatto di essere appunto un Ebreo, sarrebbe rimasto mai solo, perché l’intera Chiesa Cattolica sarebbe stata al suo fianco. In quell’occasione fui io a dare personalmente quel testo al portavoce del Ministro degli Esteri israeliano e gli indicai che lui stesso, probabilmente, avrebbe volentieri diffuso il più possibile quella dichiarazione. Ma quel mio suggerimento non venne seguito.
Lo ricordo per sottolineare come la sfida che abbiamo raccolto insieme nel “combattere” l’antisemitismo, e nel “promuovere la reciproca comprensione”, oggi consiste – indubbiamente fino a un grado di estensione assai notevole – nel far conoscere e poi nel rendere pienamente operativa la vera natura della collaborazione tra la Chiesa Cattolica e il popolo Ebraico, i confini del loro impegno reciproco, la profondità e l’estensione della comune eredità dell’umanesimo biblico. È proprio la condivisione di questa credenza e di questa proclamazione, che l’uomo è fatto “a immagine e somiglianza di Dio” – Betselem Elohim – che ultimamente stabilisce un programma, non solo per le nostre relazioni bilaterali, ma anche per la nostra gioiosa testimonianza al mondo contemporaneo. Insieme noi ricordiamo la Shoah, la più orrenda e diabolica violazione di quella verità, di quella norma di umanità – la distruzione inflitta al popolo Ebraico – e anche su molti altri – dai protagonisti di quel neo-paganesimo militante che fu il Nazismo. Nel cuore di quella tenebra non mancarono segnali luminosi di una solidarietà trascendente, come il martirio di Santa Edith Stein, Teresa Bendetta della Croce, che morì con la sua gente, a motivo della sua Fede. Né mancarono iniziative di concreta solidarietà, sebbene infelicemente queste non furono tante quante avrebbero potuto e dovuto essere.
Come avrete sentito dai testi già citati dalla “Carta fondamentale” della nostra relazione, la solidarietà della Chiesa Cattolica con gli Ebrei come Ebrei è incondizionata e intimamente legata alla totalità dei valori biblici che condividiamo.
Questo certamente ci impegna a lavorare insieme non soltanto per combattere l’antisemitismo in tutto il mondo, ma anche per promuovere i nostri valori comuni all’interno della stessa Israele. Come saprete, negli ultimi 40 anni, la Chiesa Cattolica si è impegnata in una vasta recensione e in una revisione assai significativa dei suoi argomenti di insegnamento, dei testi liturgici e del linguaggio utilizzato, nello sforzo di assicurarsi che essi promuovano – e non compromettano mai – la stretta e privilegiata relazione di amicizia con il popolo Ebraico.
Nei meeting plenari della Commissione Bilaterale tenuti nel novembre 1995 e nel luglio 1998, abbiamo espresso il desiderio e la speranza di poter aiutare una reciproca, analoga impresa presentando Cristo, la Cristianità e la Chiesa agli Ebrei e agli altri in Israele – una sfida che appare quanto mai necessaria in considerazione dell’evidente crescita del fondamentalismo sia ebraico che islamico. Tra le altre cose, auspicheremmo di vedere, non solo lo Stato, ma anche i nostri amici di grande esperienza e di profondo impegno della “Anti-Defamation League”, che stanno conducendo insieme a noi questo meeting, aiutarci a diffondere informazioni corrette e combattere stereotipi offensivi, pregiudizi ostili e ogni forma di discorso che fomenti l’odio, incluso – specialmente in questo momento – l’oltraggio ricorrente, una sorta di “diffamazione a sangue”, alla grande figura di Papa Pio XII, che effettivamente i leader ebraici in Israele e ovunque nel mondo hanno pubblicamente e ripetutamente ringraziato e lodato per la sua opposizione di principio e i suoi tentativi di salvataggio durante la II guerra mondiale, come i suoi atti pubblici testimoniano abbondantemente.
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