Dagli incapienti alle imprese agricole, ecco i punti no del decreto taglia Irpef

Di Chiara Rizzo
22 Aprile 2014
Venerdì il governo ha varato il decreto dei famosi "80 euro in più in busta paga". Ma tra nuove tasse e tagli sono diversi gli aspetti negativi della manovra

Il bonus presentato venerdì 18 da Matteo Renzi presenta già i suoi primi lati oscuri. A tracciarne un bilancio più completo è in particolare il Corriere della Sera, in attesa del testo finale del decreto che sarà consultabile finalmente questa settimana.

A BOCCA ASCIUTTA. Nei giorni precedenti al Consiglio dei ministri, la notizia che il bonus, per la prima volta non avrebbe riguardato solo alcune fasce di lavoratori dipendenti, ma anche co.co.co e incapienti (cioé coloro che annualmente non arrivano a percepire 8mila euro lordi, ben 4 milioni di italiani). Lo stesso premier davanti alle telecamere lo aveva ribadito più volte in modo chiaro ed esplicito: “Il bonus riguarderà anche gli incapienti”. All’ultimo momento, invece, i 4 milioni di italiani sono saltati fuori dalla finestra-bonus del decreto: esclusi loro, come le partite iva (che nella maggioranza pure appartengono alla stessa fascia di reddito sotto i 25 mila euro dei dipendenti beneficiari del bonus). Esclusi anche i pensionati. Renzi ha promesso che «Per loro ci sarà una misura ad hoc più avanti», Padoan ha precisato i tempi: «Con la legge di stabilità 2015». Chissà cosa accadrà.

DI MENO AI REDDITI PIÙ BASSI. Come promesso invece si conferma allargata la platea dei lavoratori beneficiari del bonus, che curiosamente però sarà a scalare all’inverso. Prenderà di più la fascia tra i 18mila e i 24mila euro annui lordi, cioé chi guadagna al mese tra i 1.200 e i 1.500 euro, che avrà gli 80 euro in più promessi. I redditi più bassi, dai 18mila agli 8 mila lordi annui, anziché avere di più, avranno meno, con un bonus pari al 3,5 per del reddito complessivo: ad esempio chi guadagna circa 700 euro al mese netti avrà poco meno di 40 euro, chi guadagna mille euro al mese potrà contare su 65 euro in più.

TASSE. Confermata l’esclusione dei titoli di stato, aumenta però la tassazione sulle rendite finanziarie che passa dal 20 al 26 per cento. Se è vero che i titoli di stato sono i più diffusi tra i piccoli investitori, in questo modo però potrebbero non essere risparmiati i conti correnti bancari e postali. Un’altra stangata arriva alla voce “tagli alle agevolazioni alle imprese”: la legge di Stabilità consentiva di spalmare su tre anni e senza tassi d’interesse l’imposta che le imprese devono pagare per la rivalutazione dei beni, al 12 per cento o al 16 per cento. Ora la rateizzazione a tre anni, spesso usata per far quadrare i bilanci, scompare. Tasse in più anche per le imprese agricole: il governo ha tagliato le esenzioni ai comuni dalla tassa sulla revisione Imu dei terreni (comuni di montagna o collina, o comuni svantaggiati), che fino ad oggi ha riguardato 3 centri su 4.

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