Via dal maggioritario
intervista a Giulio Andreotti Un primo esito della cosiddetta rivoluzione di mani pulite, in Italia ma anche in Europa, è la crisi dei partiti popolari, specie quelli di ispirazione cattolica. Che giudizio ha sulla condizione di salute dei partiti popolari in Italia e in Europa e che valutazione dà su questo periodo storico che ha messo in crisi la Dc in Italia, la Cdu in Germania e altri partiti? Limitiamoci all’Italia. Il crollo, sia della Democrazia cristiana che del Partito socialista e la scomparsa, o quasi dei liberali e dei repubblicani ha provocato a mio avviso un vuoto che tutt’ora non si è in condizione di riempire. La parte di mondo cattolico che votava Democrazia cristiana si è poi frazionato, non solo tra il Ppi, Ccd, Cdu che in un certo senso sono una prosecuzione, almeno sul piano delle persone – salvo forse Buttiglione che è “nuovo” – della Dc, ma in una parte notevole è finita anche a Forza Italia. Tutto questo può essere anche un segno dei tempi: prima si diceva che c’era immobilismo e che non c’era abbastanza ricambio. Però mi pare che la debolezza attuale sia che non si lavora più su programmi, sull’aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa, le cose su cui siamo venuti fuori noi. Le prime idee ricostruttive della Democrazia cristiana vennero fatte, vorrei dire con la carta carbone, sul codice di Malines e sul codice di Camaldoli. Ora è vero che il mondo è cambiato e che c’è la globalizzazione, ma a maggior ragione servirebbe un approfondimento. Aggiorniamo pure certe idee che forse ci entusiasmarono allora – la partecipazione degli operai agli utili dell’impresa, l‘azionariato popolare, la rappresentanza organica delle famiglie negli istituti rapprentativi – e che forse furono dettate da un po’ di romanticismo. Ma oltre al voto tecnico della rappresentanza, si sente anche la necessità, come dell’aria, di riprendere un discorso di sostanza e di idee. Spesso si rimane su un livello generico di valori, ma vediamo quali sono questi valori, come si interpretano nella società di oggi e in quella dell’immediato futuro.
Presidente, dopo aver accettato di governare con Haider i democristiani austriaci rischiano l’espulsione dal partito popolare europeo. Lei voterebbe questa espulsione e come giudica il caso Haider? Distinguerei quella che è una valutazione sulla persona – la quale rispetto a quello che ha scritto e quello che ha detto, per dirla in termini molto popolari, bisogna prenderla con le molle – da una valutazione sul partito popolare austriaco che è un partito rispettabilissimo con una classe dirigente – ne cito uno che non è certo un caso isolato: Alois Mock straordinario ministro degli Esteri – e un elettorato rispettabilissimo. Del resto, cosa potevano fare i popolari austriaci di diverso? Avrebbero dovuto proseguire in una pratica di “consociativismo” con i socialdemocratici rafforzando così di fatto proprio il partito di Haider che veniva considerato l’unica forza di opposizione? I socialdemocratici, inoltre, avevano tentato senza riuscirvi di ottenere il voto di Haider su un loro governo monocolore. A quel punto se non si formava alcun governo, le elezioni indette in tempi tanto rapidi avrebbero ulteriormente rafforzato Haider. Senza considerare i problemi giuridici: perché è vero che il fondamento della partecipazione all’Unione europea è il rispetto delle regole democratiche, ma qui le regole democratiche sono state rispettate. Le elezioni sono state regolari, il programma di governo non presenta niente di censurabile, anzi – forse sono maligno – per la prima volta è stato inserito nel programma anche il risarcimento dei danni agli ebrei, cosa che fino a questo momento non era mai avvenuta. Mi sembra, quindi, che sia molto ingiusto mettere i popolari austriaci alla porta e spero che non venga fatto.
Nelle ultime elezioni nella regione tedesca del Schleswig-Holstein, nonostante i guai giudiziari di Kohl, la Cdu ha perso ma non ha subito quella catastrofe elettorale prevista dai sondaggi. Come spiega questo risultato? La Cdu ha perduto due punti, il che è un fatto doloroso, meno se si considera che era prevista la sua quasi cancellazione, ovvero sembrava dovesse seguire il destino della Democrazia cristiana (anche se, sia detto tra parentesi, la Dc dopo il ’92 aveva perduto voti ma non era crollata e se non fossero avvenuti fatti extra politici o extra elettorali, le cose oggi sarebbero diverse). Certo che la situazione in Germania è molto difficile perché Kohl è una personalità politica più che collaudata e di straordinario rispetto internazionale. È anche importante notare che nessuno accusa Kohl di essersi appropriato personalmente di danaro e, conosco bene lui e la sua famiglia, non si è mai concesso lussi che lasciassero spazio a sospetti di sorta. La legge sul finanziamento dei partiti ha colpito duro anche in Germania: c’è da domandarsi – anche qui devo autodichiarare la mia malignità – se, dopo aver perduto le elezioni politiche, la Cdu e Kohl non avessero dimostrato di essere in forte risalita con le elezioni tenutesi nel frattempo, questi problemi si sarebbero verificati ugualmente? Io ne dubito fortemente.
Venendo all’Italia. Finita la stagione dell’unità dei cattolici, ora questi sono rappresentati in più partiti e in entrambi gli schieramenti. Lei è senatore del Ppi, ma la sua azione politica sembra superare gli schemi dei partiti tradizionali: anche sull’ipotetico accordo tra radicali e Polo delle Libertà l‘abbiamo vista suggerire una strada tattica ragionevole e l’abbiamo vista intervenire e profetizzare acutamente dal Corriere della Sera i problemi in cui si sarebbero infilati i Ds se in Campania avessero tenuto la posizione rigida che sembrano mantenere sulla candidatura di Bassolino. Ma al di là di queste vicende specifiche, oggi, il senatore cattolico Giulio Andreotti, da che parte si sente politicamente più rappresentato? Guardi, io personalmente sono entrato in crisi il giorno che la Democrazia Cristiana ha cambiato nome. Da quel giorno io non ho avuto più il coraggio di mettere piede in piazza del Gesù. Appartengo, sono rimasto nel gruppo parlamentare popolare, anche perché il gruppo misto è diventato una specie di albergo diurno dove c’è troppa gente e del quale si capisce ancora meno di prima cosa significhi e quindi non ho alcuna attitudine a cambiare opinione. Certo riconosco che con queste dimensione piccole, non si può dire che ci sia in uno o nell’altro di questi partiti (Ppi, Ccd, Cdu, ndr) – chiamiamoli gruppi della seconda generazione – una rappresentanza importante di cattolici (non dei cattolici come tali perché salvo nel momento della lotta per la vita democratica nel 1948, non c’è mai stata una mobilitazione o una legittimazione a pretendere una rappresentanza esclusiva dei cattolici). Quello però che dobbiamo considerare e che in questi giorni va approfondito è che noi abbiamo un sistema elettorale sbagliato: questo sistema ha voluto superare la proporzionale introducendo alla camera dei deputati tre quarti di maggioritario e un quarto di proporzionale. Secondo quelli che l’hanno promosso avrebbe dovuto assicurare stabilità, ma così non è stato, perché con questo sistema si creano due coalizioni elettorali tattiche (tanto è vero che il governo Berlusconi fu fatto cadere da Bossi e il governo Prodi fu fatto cadere da Rifondazione comunista). Ma la cosa ancora più grave è che questo sistema maggioritario, che teoricamente darebbe una potenzialità democratica più consistente, ha visto più di cento parlamentari che dal giorno delle elezioni in poi hanno cambiato partito o gruppo. So che è difficile ragionare su queste cose perché si agitano tanti fantasmi e si pensa a chissà quali disegni si celano dietro alla mia proposta. Ma a mio avviso bisognerebbe fare una grande campagna per il ritorno al proporzionale, con una novità rispetto a prima: inserendo una quota minima per entrare nella ripartizione che in Germania per esempio è al 5%, ma forse da noi potrebbe anche essere al 4%. Certamente avremmo molti meno partiti di quanto ne abbiamo oggi, più ancora di quanti ne contasse quella che ingiustamente viene definita “prima repubblica”. So che è difficile questa battaglia per la reintroduzione del proporzionale perché intorno al maggioritario si è creato una sorta di mito, ma siamo a una svolta: tra due mesi abbiamo il referendum in materia elettorale. Se passa quel referendum abrogativo della quota proporzionale alla Camera dei deputati si accentuerà questo sistema che, a mio avviso, non soltanto non ha dato stabilità né ci ha liberato dalla partitocrazia, ma ci ha dato il contrario: chi è infatti che sceglie i candidati con il sistema delle desistenze e la rigidità nella quota proporzionale che non ha nemmeno le preferenze? Avviene tutto a tavolino. Questo è un sistema che non è destinato a far del bene e quindi dovremo cercar di cambiarlo.
Io spero che i giovani, soprattutto i giovani, sentano questo tema e vi si appassionino perché altrimenti si rischia che rimanga racchiuso in un ambito di specialisti e poi l’esito e la partecipazione al referendum sia lasciato a una mancanza di informazione. Mi auguro che in queste settimane ci siano dei dibattiti seri sull’argomento, anche se non ne sono sicuro.
Un sostenitore del maggioritario come Giuliano Ferrara le obbietterebbe che la sua analisi è giusta ma ormai i giochi sono fatti: c’è stato un referendum che ci ha messo sulla strada del maggioritario e in mancanza di movimenti politici seri e influenti siamo di fronte a un secondo referendum che dovrebbe accentuare questa prospettiva. Dunque? Dunque bisognerebbe utilizzare queste settimane per chiarirci le idee e per non rassegnarci a una specie di fatalismo. Quello che cerco di motivare è che il risultato del sistema vigente non è stato positivo. Anche per le medicine ci sono degli effetti secondari e magari curano benissimo la malattia distruggendo però il fegato per cui uno nel complesso ne esce a pezzi. Ho l’impressione che ci troviamo in una situazione di questo genere.
In forza della sua esperienza e della sua passione politica che cosa si sentirebbe di consigliare ai giovani, che da più parti si sentono oggi invitati a tenersi lontano dalla “sporca” politica? Qualche settimana fa ero a Firenze per una riunione di giovani e sono rimasto sorpreso dal fatto che a Firenze, per un’elezione suppletiva di qualche giorno prima, avesse partecipato solo il 35% degli elettori. Quello dell’astenzione dal voto è un fatto assai preoccupante e non isolato. Perché per esempio l’Università Cattolica non si fa promotrice di un seminario con tutte – o almeno la maggior parte delle università cattoliche degli altri paesi – per avviare un riesame approfondito, chiamiamolo del dopo Camaldoli, di quelle che sono state le esperienze di un secolo, dalla Rerum Novarum in poi, sui grandi problemi sociali? In questo modo si creerebbe una base per riportare interesse alla Politica con la p maiuscola. Io questo interesse lo sento e ringrazio Dio che a ottantun’anni ancora non riesco ad arrendermi all’idea che la politica sia solo un’attività organizzativa o di pubblicità. Lo dico ai giovani: guardate che nell’altro mondo dinanzi al Signore risponderemo anche di come avremo fatto fronte ai nostri doveri pubblici. Il catechismo della Chiesa cattolica nella sua ultima versione, non solo consente, ma obbliga il cristiano a non disinteressarsi della vita politica.
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