Dc, breve storia di un suicidio…

Di Gianni Baget Bozzo
12 Dicembre 2002
Sono andato a vedere il Congresso fondativo dell’Unione democristiana di centro

Sono andato a vedere il Congresso fondativo dell’Unione democristiana di centro con il desiderio di benevolenza: il nostro Maestro ci ha insegnato ad essere “miti ed umili di cuore”. Tuttavia nessuna pagina del Nuovo Testamento risente maggiormente dell’ira divina dell’Antico Testamento che i Vangeli. Paolo è estremamente soft di fronte a Gesù, arriva al massimo ad invitare a castrarsi coloro che vogliono circoncidere i galati convertiti dalla paganità. Ma Gesù ha invece: «Guai a te, Corazain, guai a te Bethsaida». E, come diceva Agostino, «ogni azione di Cristo è per noi istruzione». Così gli interventi di Tabacci e di D’Antoni posero fine alla mia benevolenza. E, man mano che il congresso andava avanti (e si sentiva nell’aria lo strepito della “fusione”), prendevo coscienza del paradosso del congresso: la sua impossibilità di fondare e di fondere. Si voleva solo distruggersi distruggendo. Il Psi è stato ucciso dai magistrati ed ha pagato un prezzo di sangue. Nella Dc abbiamo avuto un universale panico, espresso bene dal balbettio di Forlani innanzi a Di Pietro. Ed in realtà la Dc non è morta, si è suicidata. Non l’hanno uccisa i giudici, ma i democristiani stessi. Con Segni in primo luogo. Ricordo un congresso di Assago nel ’91, quando ho pranzato con Arnaldo Forlani ed il mio amico Franco Malfatti, ora nella pace del Signore. Domandavo loro come un partito democristiano potesse vivere senza la proporzionale che aveva fondato in Italia, dopo la seconda guerra mondiale, l’egemonia del centro. E chiesi perché non fermassero Segni ed i suoi referendum maggioritari. Forlani mi guardava imbarazzato, Malfatti mi disse che Segni era suo amico. Fu il suicidio politico, come se la Dc fosse governata da un oscura volontà di morire. Era ben prevedibile sin da allora che l’unità dei cattolici era possibile solo al centro: ed il centro solo con la proporzionale. Il secondo suicidio fu il voto per il Quirinale del ’93 quando l’andreottiano Cirino Pomicino fece, con alcuni socialisti, mancare i voti a Forlani al Quirinale per tentare di far eleggere Andreotti con il libero voto, e quindi con il voto anche dei comunisti: divo Giulio, così benemerito del suo partito. Poi ci fu il terzo suicidio: Martinazzoli sciolse la Dc e fondò il Partito popolare, che negoziò la Presidenza del Consiglio ad Occhetto, segretario del Pds. Ed organizzò anche il sacrificio dei candidati non appartenenti alla sinistra democristiana, ponendoli a rischio nei collegi uninominali, mentre collocava i sinistrodemocristiani nei sicuri seggi del proporzionale; una operazione infame, fatta da un democristiano contro i democristiani che non erano di sinistra. Il quarto atto di suicidio della Dc fu la presidenza Scalfaro, che tentò di fare dei comunisti il partito di governo, con Prodi e con D’Alema. Sono stati i dirigenti democristiani a distruggere la Dc, nel loro odio reciproco. Non gli elettori, non i giudici. Oggi solo Berlusconi li fa esistere: ed essi sono contro Berlusconi. Sarebbe certo il loro quinto suicidio: Dio salvi l’Italia ed il popolo democristiano da questa iattura.

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