De Cataldo contro chi si commuove per la Costituzione ma non per le carceri. Lo scrive su Repubblica (o contro Repubblica?)

Di Redazione
21 Dicembre 2012
Per il magistrato-romanziere, «un carcere che alimenta suicidi è un carcere fuori dalla costituzione». Inutile venerare la Carta, se poi si stende «un velo d’oblio» sui diritti dei carcerati.

«Una cella ben solida» e gettare via la chiave è «l’unica ricetta per chi delinque». È quello che pensa una buona parte degli italiani, «forse la maggioranza», scrive Giancarlo De Cataldo su Repubblica di oggi (“Se le carceri sovraffollate tradiscono la Costituzione”). Per il magistrato-romanziere, «un carcere che alimenta suicidi è un carcere fuori dalla costituzione».

ITALIANI INDIFFERENTI. Mentre «sedicenti progressisti e conservatori» sommergono di «lazzi e becere facezie» le poche «voci problematiche» che si ergono contro il sovraffollamento, «il destino dei carcerati lascia indifferenti» gli italiani. «Dopo vent’anni di urla “scomposte”, di “allarme sicurezza”, di leggi esasperatamente punitive, l’effetto era prevedibile». «Una cultura della vendetta, livorosa e ghignante sembra imporsi». «Non ne siamo esenti – lo dico per esperienza personale – nemmeno noi magistrati».

COSTITUZIONE DIMENTICATA. La costituzione è tornata oggi «di moda». Però corre un rischio, l’idolatra: che la tenga «a debita distanza», che  ne citi, «con enfasi», i passi che più convengono, «stendendo un velo d’oblio su tutti gli altri». «È proprio la costituzione a fissare i parametri della giusta pena, la rieducazione». Ma «chissà quanti fra coloro che fanno del sarcasmo su Pannella e sui “poveri delinquenti” l’altra sera provavano fremiti di orgogliosa commozione davanti allo show costituzionale di Benigni».

CON CHI SE LA PRENDE? Oltre alle disfunzioni del sistema penale, è la cultura superficiale della giustizia, della legge e della Carta, una delle cause principiali del sovraffollamento carcerario, secondo De Cataldo. Ma dovrebbe anche spiegare chi, di questa cultura, è artefice indiscusso. Non si tratta di quell’area ben rappresentata dal giornale su cui scrive, che, da anni, imbastisce sulle sue pagine processi mediatitici, beffandosi della presunzione d’innocenza e del giusto processo, canalizzando l’opinione pubblica verso il livore giustizialista e fomentando un’idolatria miope della costituzione?

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