Decadenza Berlusconi. Bordin: «Il Pd non ne trarrà nulla di buono, non aveva bisogno di affrettare i tempi»

Per l'ex direttore di Radio Radicale la sinistra doveva «permettergli di difendersi». Riforma della giustizia? «Il problema esisteva già con il Cavaliere al governo»

«La quota di sicurezza per le firme dei referendum sulla giustizia era troppo bassa». Massimo Bordin, collaboratore del Foglio e curatore della storica rassegna stampa di Radio Radicale (della quale è stato anche direttore), non è sorpreso dalle prime indiscrezioni sul responso della Cassazione. «Qualcuno lo aveva già detto: il rischio che fossero annullate molte firme c’era e si conosceva». E adesso? «Sulla riforma della giustizia può esserci un’iniziativa governativa. I Radicali l’hanno chiesta. E a dire il vero, l’ha chiesta anche il capo dello Stato, nel messaggio alle camere».

Il leader di Ncd, Angelino Alfano, ha detto che con la decadenza di Berlusconi «il Pd non ha più alibi» per evitare la riforma.
Questo è vero. Però Berlusconi non è sparito, c’è ancora. E il problema della giustizia non è nuovo, esisteva anche quando Berlusconi era a capo del governo. Non conosco propriamente il caso Mediatrade, però se è vero che Berlusconi è stato prosciolto due volte su tre per un fatto analogo, significa che la giustizia italiana funziona un po’ come una lotteria. Se questo è vero, il governo Berlusconi avrebbe dovuto por mano alla riforma, come tutti i governi che gli sono succeduti.

Nella cacciata di Berlusconi dal Parlamento «non c’è nulla di buono». Lo ha scritto lei oggi sul Foglio.
No, non credo che verrà fuori qualcosa di buono da questa storia. Il Partito democratico poteva stare tranquillo, aspettare il corso degli eventi. Non c’era bisogno di fare il voto palese e di affrettare i tempi per farlo decadere. Sarebbe stato opportuno offrire a Berlusconi tutte le garanzie, permettergli di difendersi.

La decadenza per via giudiziaria di Berlusconi è democratica?
Bè, io non credo alla tesi del colpo di Stato. La procedura che si è seguita deriva dalla condanna di Berlusconi in Cassazione. Non è che si può ignorare la sentenza. Poi, sulla legge Severino, c’è un punto debole nella teoria dei parlamentari berlusconiani: l’hanno votata loro. Possono oggi invocarne l’incostituzionalità, però si ricordino che se è passata è stato anche grazie al Pdl.

Qualche costituzionalista era convinto che fosse meglio far giudicare la legge alla Consulta, prima di applicarla su Berlusconi.
Si è spaccato il “fronte costituzionale”, qualcuno direbbe. Ci sono stati pareri diversi. Se non sbaglio, anche Valerio Onida, sul Sole 24 ore, invitò il Pd a far discutere la costituzionalità della Severino alla Consulta. Però la decadenza di Berlusconi ci sarebbe stata comunque: è stato condannato in via definitiva per frode fiscale e fra poco verrà applicata l’interdizione dai pubblici uffici. Non avrebbe comunque più fatto parte del Parlamento.

Ora che Berlusconi ha lasciato Senato e Governo, Enrico Letta può guardare al futuro con maggiore tranquillità?
Credo di sì: il punto debole del Pd era avere Berlusconi nel Governo. Ora Letta può dire ai tesserati del Pd: vedete, Berlusconi non è più in Parlamento, non è nostro alleato, l’abbiamo espulso, non vi ho tradito. E anche Berlusconi può fare lo stesso discorso con i suoi elettori. L’ordine delle cose si è ristabilito e per ora, mi pare, il governo è più forte.

Anche se l’8 dicembre Renzi diventerà il nuovo segretario del Pd?
È un paradosso, se vogliamo, ma da questo punto di vista, Letta rischia di più. Credo che Renzi dovrà stare attento, però: davvero vuole far cadere il Governo? È sicuro di voler correre il rischio di essere paragonato a Massimo D’Alema?

Da oggi tutti i leader politici sono fuori dal Parlamento.
Siamo in un limbo che è conseguenza delle mancate riforme “importantissime” e “strutturali” che dovevano essere fatte. Non è positivo che la politica sia diventata extra-parlamentare, soprattutto in un paese dove è stata sempre profondamente istituzionale.

Exit mobile version