L’idiozia della decrescita felice propugnata dai grillini

Di Paolo Togni
29 Aprile 2013
Il ragionamento che sta alla base della certezza della decrescita è tanto semplice quanto errato. Ecco un paio di dati

Parliamo di decrescita felice. Fin da ora mi scuso se in questa sede non potrò essere esauriente sui dati e sulle statistiche: non me lo permette lo spazio limitatissimo a mia disposizione, ma come al solito chi fosse interessato ad approfondire l’argomento può inviarmi una e-mail (tognipaolo@gmail.com), e avrà risposta. Il ragionamento che sta alla base della certezza della decrescita è tanto semplice quanto errato: poiché nel mondo non sono disponibili risorse sufficienti per garantire lo sviluppo del benessere fin qui raggiunto, dobbiamo rassegnarci a decrescere, cioè a consumare meno, a viaggiare meno, ad acquistare solo beni prodotti nel nostro territorio: in una parola, a negare consumo e commercio, cioè le basi sulle quali è stato costruito il progresso dell’uomo, dall’età preistorica a oggi.

Una delle conseguenze di questo sragionamento è la retorica del cibo “a chilometro zero”, che se applicato impedirebbe a chiunque la pratica di mangiare meglio e in modo più economico, oltre a garantire qualche modesta risorsa aggiuntiva ai produttori. L’argomento per il quale c’è scarsità di risorse è risibile o frutto di malafede: le riserve di materie prime, nonostante l’aumento dei consumi, sono oggi mediamente di cinquanta/cento volte superiori a quelle accertate nel 1950; il petrolio, che secondo i menagramo incompetenti avrebbe dovuto esaurirsi entro il 1970, ha visto le riserve aumentare, al netto dei consumi, di oltre l’800 per cento; negli ultimi cinquant’anni la produzione di alimenti è più che raddoppiata; il loro costo si è dimezzato; potrei proseguire, ma invece di ascoltare tante parole sarà bene dare un’occhiata all’andamento medio della durata della vita, con particolare attenzione ai paesi più poveri, e soprattutto ai dati relativi alla mortalità infantile, che pur se ancora vergognosi sono comunque da decenni in drastica diminuzione.

Questi semplici fatti (fatti, non opinioni o suggestioni) dovrebbero indurre chi usa la testa non solo per tenere separate le orecchie ad alcune considerazioni semplici: il progresso umano, materiale e sociale, prosegue almeno da trecento anni a velocità crescente; non esistono motivi oggettivi che ne dimostrino estinto il potenziale; solo dei birbanti poltroni possono sostenere il contrario. A meno che non si tratti di gente che sa di non valere niente, e che quindi non può fare niente di utile.

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6 commenti

  1. marco patrucco

    Caro signore Lei ha scritto in cosi poche righe cosi tante menzogne che meriterebbe di essere picchiato, non solo insultato. Mi faccia il piacere, legga almeno qualche documento on line stringato e riassuntivo riguardo la filosofia di decrescita e vedra che, se non il primo sostenitore, diventera perlomeno un ottimo e convinto membro della setta che sostiene tale approccio alla societa!

    A meno che lei non sia tra i dementimsostenitori di bombe nucleari, di buchi inutili in montagne radioattive, in mostri chimici capaci di modificare il dna umano, in qual caso il ricoveromè l’unica speranza…

  2. ferdinando

    Se proprio si vuole usare il termine idiozia, lo si deve applicare a questo intervento. A cominciare dal titolo, che lascia credere – a chi non ne sappia nulla – che il tema della decrescita l’abbiano inventato i grillini. E non lascia nemmeno supporre che sia oggetto di studi e di riflessioni da almeno 50 anni e che il principale esponente attuale, Serge Latouche, abbia scritto svariati libri. Mentre l’espressione “decrescita felice” è stato coniato da Maurizio Pallante che la illustra continuamente in libri e conferenze.
    Ma all’autore, con encomiabile modestia, bastano 20 righe per demolire tutto, citando “i fatti”: mentre quelle degli altri sono solo opinioni e suggestioni.
    Con una serietà non molto dissimile da quella di chi, cadendo dal 30 piano, arrivato all’altezza del 10 pensa:
    “Finora tutto bene!”.
    Un po’ di serietà richiederebbe che prima di stroncare una corrente di pensiero, cosa in se perfettamente legittima, la si esponesse con un minimo di obiettività e si portassero argomentazioni un po’ meno sbrigative.

  3. Stefano

    Aumento del PIL non significa acquistare cinque televisori e tre frigoriferi.
    Significa infrastrutture, servizi e prodotti utili che ancora non esistono o sono poco diffusi.

    Il mercato dei prodotti di consumo conosce un timido inizio, un’ espansione e una maturazione. Basta pensare a prodotti come le lavatrici, che un tempo costavano quanto due stipendi medi e ora non esiste una famiglia che ne sia sprovvista. L’ introduzione della lavatrice segnò un miglioramento incredibile per la qualità della vita delle famiglie: biancheria pulita in tempi ridotti e moltissima fatica in meno per le massaie.
    Perchè vogliamo negare questi miglioramenti all’ uomo? Perchè viene mitizzata una società rurale dove le sofferenze e la fatica fisica erano spesso intollerabili?

    Il freno al consumismo se lo devono porre volontariamente gli individui e non lo deve imporre lo stato o peggio ancora la carenza di prodotti o il loro prezzo crescente. Trovo assolultamente errato mescolare macroeconomia e moralismo. Lasciamo che le condizioni economiche della società siano floride e che la frugalità, che pure apprezzo, sia una virtù.

    1. giesse

      Il Pil è la ricchezza prodotta in un anno.
      E adesso, scusandomi per la banale semplificazione, vorrei dire, per fare un esempio, che se in un particolare anno la mia piccola azienda ha avuto un picco di produzione non è detto che possa ripetersi l’anno successivo, può essere che non succederà più (magari vivendo anche meglio).
      Non nego i miglioramenti del progresso ma visto in generale, per calcolare il benessere di una nazione, il solo PIL non mi sembra uno strumento adeguato.

  4. Franceschiello

    Lungi da me il grillismo, ma questa idea della decrescita felice non mi sembra poi così assurda.
    Perchè, d’altro canto, la crescita a tutti costi ha alimentato e viene alimentata dalla cultura capitalconsumistica, che è la causa prima della secolarizzazione occidentale.

  5. giesse

    quando ho sentito questa storia della decrescita felice mi ha un po’ sorpreso e interessato.
    l’ho un po’ interpretata, ma se volesse dire un freno al consumismo sfrenato e superfluo, se volesse abbattere quel totem che è l’aumento del pil a tutti i costi…..
    non mi dispiacerebbe.

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