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Dentro di me risuona il canto del mio popolo. Una giornata con Antonia Arslan

Di Caterina Giojelli
13 Novembre 2020
Visita a casa della grande scrittrice tra arpe, tappeti e memorie familiari. Un mosaico personale diventato voce universale della gente armena
Antonia Arslan

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
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«Suonare l’arpa? Nemmeno per sogno». Ma questa è un’arpa stupenda, «è uno degli amori a prima vista di Paolo. L’ha portata a casa, restaurata, e se ne è in fretta dimenticato. Non può suonarla nemmeno un arpista perché ha due corde montate al contrario». Ridacchia Antonia Arslan, «anche tutti questi tappeti, a decine ammassati uno sull’altro. Un giorno ha deciso che doveva diventare esperto di tappeti ed eccoli qui», accarezza con lo sguardo le librerie, «anche queste sono sue: lui disegnava, progettava e un amico falegname realizzava». Quale grande tenerezza e sapienza sostiene questa dimora, pensi seguendo la vivace scrittrice attraverso i grandi saloni della casa padovana degli Arslan: quali scrigni, tesori, slanci, addii, sotterranee ...

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