Di troppa inclusività si scoppia. Ora tocca alla Royal Society of Literature

Di Caterina Giojelli
13 Gennaio 2025
Ridotta a collettivo universale delle minoranze, la bicentenaria accademia della letteratura va in pezzi. Anche i grandi autori ne hanno abbastanza del woke
14 ottobre 2019: Margaret Atwood e Bernardine Evaristo vincono il Booker Prize. Due anni dopo Evaristo, eletta presidente, segna la svolta “progressista” della Royal Society of Literature (foto Ansa)
14 ottobre 2019: Margaret Atwood e Bernardine Evaristo vincono il Booker Prize. Due anni dopo Evaristo, eletta presidente, segna la svolta “progressista” della Royal Society of Literature (foto Ansa)

Va bene, forse non è proprio la fine del woke ma senza dubbio è quella della Royal Society of Literature. O per lo meno del corso inaugurato alla fine del 2021 con l’elezione della presidente Bernardine Evaristo. Scrittrice pluripremiata, la prima donna di colore a guidare la veneranda associazione da subito promette «un impegno attivo e urgente per includere la più ampia gamma di scrittori eccellenti provenienti da ogni area demografica e geografica della Gran Bretagna».

E così è: mentre fuori si discute se le donne possono avere un pene, Dumbo è razzista, essere bianchi una colpa e infilarsi un sombrero è appropriazione culturale, il gotha della letteratura britannica inizia a infornare, guidato dalle stesse ossessioni identitarie, un nutrito gruppo di scrittori. Molti esordienti e di colore, col compito di cambiare l’immagine “elitaria” dell’organizzazione bicentenaria tutta «autori tradizionalmente bianchi e borghesi».

Supportare Rushdie potrebbe «risultare offensivo». Ma per chi?

Cinque anni dopo, parallelamente alla “recessione woke” registrata tra università e multinazionali inglesi e oltreoceano, il presidente esecutivo della Rsl Daljit Nagra e la direttrice Molly Rosenberg si dimettono. Lo fanno alla vigilia di un’assemblea annuale in cui sanno che molti membri chiederanno la loro testa. Le accuse? Sottomissione agli Dei contemporanei: diversità, equità, inclusione, politicamente corretto. Per essere più precisi – come lo sono stati i primi ad alzare la voce, come Margaret Atwood, Kazuo Ishiguro, Ian McEwan – svendita della libertà di parola.

Il caso Salman Rushdie, simbolo dell’assurdità di questa deriva, è emblematico. Quando l’ex presidente Dame Marina Warner si è posta il problema di mostrare solidarietà allo scrittore, accoltellato da un fanatico islamico nel 2022, la dirigenza della società le ha riferito che sostenere Rushdie, che in quel momento lottava tra la vita e la morte in ospedale, avrebbe potuto «risultare offensivo». Offensivo per chi? Evaristo spiegò in seguito che l’organizzazione aveva «il compito di essere una voce per la letteratura, non di presentarsi come “la voce” dei suoi 700 membri, un concetto sicuramente pericoloso e insostenibile. Non può schierarsi nelle controversie e nelle questioni degli scrittori, ma deve rimanere imparziale». «Imparziale rispetto al tentato omicidio?», le mandò a dire Rushdie.

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Il caso Clanchy e Fergusson

Un anno prima la scrittrice e membro della Rsl Kate Clanchy era stata letteralmente “cancellata” e “scaricata” dal suo editore e dall’organizzazione dopo che un’orda di “recensori” online avevano attaccato il suo libro Some Kids I Taught and What They Taught Me, colpevole di diffondere “stereotipi razziali” come descrivere la pelle di un bambino nero come “color cioccolato”.
C’è poi il caso del ritiro (corretto dalla RSL in “rinvio”) della pubblicazione della rivista della società, la RSL Review, e il licenziamento immediato della sua direttrice Maggie Fergusson a causa di un articolo che criticava la “macchina da guerra israeliana”.

Al quale segue la pubblicazione sul supplemento letterario del Times di una lettera firmata da 14 illustri scrittori (tra cui appunto Atwood, Ishiguro, McEwan) che invitavano la dirigenza della RSL a rivolgersi alla Charity Commission perché indagasse, tra le altre, «il tentativo di censura, che siamo abbastanza certi si sia verificato e che ha palesemente violato i valori letterari fondamentali». «Vale a dire, per quanto riguarda le fondazioni benefiche – commentò lo Spectator -, qualcosa di simile a una richiesta di consegnarsi alla polizia».

Il peccato di una Royal Society: rappresentare l’élite

Non è andata meglio “in casa”, dove dal 1820 vengono ammessi solo autori di almeno due opere di “eccezionale merito letterario”, i loro nomi candidati da altri membri e accettati dal Consiglio. La missione di fare della RSL un’istituzione «per tutti gli autori» (ma a che serve allora la già esistente Society of Authors?) è sfuggita di mano in fretta a Evaristo e successori.

Un tempo baluardo dell’eccellenza letteraria, dopo Black Lives Matter e lo sforzo «per rendere la Società meno “pallida, stantia e maschile” (così la scrittrice Amanda Craig, ndr), ossia per aprirla ad autori di minoranze etniche e categorie sottorappresentate, dagli Lgbtq+ ai disabili» (copy il Corriere, che ben ricorda come tuttavia la Rsl annoverasse già autori del calibro di Anita Desai, Amitav Gosh, Ben Okri, Zadie Smith, Wole Soyinka, V.S. Naipaul), la società è finita per ammettere “esordienti” suggeriti “dal pubblico” più titolati a soddisfare la richiesta di diversità che in campo letterario (tra loro l’autore di «un solo pamphlet letterario»).

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Cortocircuito tra scrittori woke e sensitivity readers

Che il Regno Unito cominciasse ad avere problemi con le sue “Menti Inclusive” animate dalle migliori intenzioni è cosa nota. Un po’ meno come dovrebbe sposarsi il proposito di pubblicare romanzi che riflettano la composizione demografica del paese con la crociata dei “sensitivity readers” che da anni vietano ogni tipo di caratterizzazione etnografica perché “discriminatoria”. Un paese che si picca di dar voce a tutti ma dove si è resa necessaria, nel 2023, una legge per garantire la libertà di parola perfino nelle accademie.

Non si contano a questo proposito i libri purificati dai censori e le vittime delle campagne di deplatforming (disinvito di conferenzieri già invitati). Non parliamo solo dell’ormai nota purga dei romanzi dei Roald Dahl, Ian Fleming e Agatha Christie ad opera di selezionatissimi lettori “specializzati” nel passare al setaccio manoscritti e libri a caccia di stereotipi, pregiudizi, osservazioni e rappresentazioni tacciabili di lesa sensibilità (la mannaia calata su centinaia di parole quali “grasso”, “brutto”, “matto”, “pazzo”, “nero”, “doppio mento”, e su intere frasi rimaneggiate fino al parossismo).

Censurati anche i mostri: non sono «inclusivi»

E nemmeno della censura invocata dai loro prodotti collaterali: i “lettori della porta accanto”. Sensitivity readers in erba che da una contea all’altra vanno imponendo alle biblioteche inglesi la rimozione di libri “offensivi” come Cinque settimane in pallone di Jules Verne, X-Men e Fungus the Bogeyman (per capirci: i Tre Mostri di McKee sono stati accusati di non essere mostri «inclusivi» e di utilizzare un linguaggio «controverso» che non trasmette ai bambini il «messaggio giusto». «Levati dai piedi», dicono il mostro rosso e quello blu appena conoscono quello giallo, «non vogliamo nessun buffo straniero da queste parti»).

Non parliamo solo del dilemma degli atenei (condannare o condonare?) arrivati a sconsigliare ai giovani universitari la lettura di alcuni libri di Shakespeare, Dickens, addirittura il padre della letteratura inglese Geoffrey Chaucer.

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Da Royal Society a collettivo delle minoranze

Stiamo parlando di una lunga e strampalata battaglia per la censura condotta da caricature del mondo dell’editoria che fa il paio con quella contro la libertà di parola di scrittrici come J.K. Rowling. E certamente con quella combattuta, a ben altre latitudini, tra gli eccellenti autori inglesi in nome dell’inclusività, la diversità e il politicamente corretto.

Nulla di sorprendente: rinata come ennesimo dipartimento di Dei – Diversity, Equity & Inclusion -, o collettivo universale delle minoranze, anche la fine della Royal Society of Literature sarebbe arrivata con la recessione woke d’importazione americana.

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