
Difendere le paritarie per riformare il sistema

Articolo tratto dal numero di Tempi di ottobre
La scuola paritaria è in arretramento. Gli studenti che le frequentano sono oggi circa 880 mila. Anni fa erano oltre un milione. A qualcuno interessa questo trend? Credo (purtroppo) che i più siano indifferenti al futuro della scuola paritaria nel nostro paese. Ma c’è una folta minoranza che al contrario vive la cosa con preoccupazione. Io sono fra questi e ripropongo quindi la classica domanda “che fare”? Certo la risposta non può venire se non dalla ripresa dell’origine, che è la caratteristica e anche la forza delle scuole paritarie, che più propriamente chiamo “libere”. Le scuole libere sono nate da un popolo che ne condivide il valore ideale, le sente come proprie e quindi le sostiene in modi e forme diverse, incluso il sostegno economico, anche senza avere ruolo alcuno all’interno di esse. La prima mossa perciò sembra essere quella di rinsaldare il nesso con il popolo. Questo è ovvio (che non vuol dire facile, anche perché la consapevolezza del valore ideale sembra essere oggi meno avvertita). Ma non basta. Non basta più.
Occorre che il perimetro del popolo generatore e sostenitore di ogni specifica scuola libera si allarghi. Occorre la mobilitazione di un popolo che prenda «chiodi e martello» per costruire il sistema delle scuole libere; cioè aggiunga al proprio impegno una consapevolezza più ampia: non solo il sostegno alla “propria” scuola perché è una buona scuola ma innanzitutto perché è una scuola libera e quindi appassionandosi anche al sostegno delle altre scuole, di tutte le scuole libere. Un popolo quindi che ricerchi e realizzi iniziative comuni, momenti di lavoro comuni, una vera e propria strategia di azione e di comunicazione convergente. E un buon segnale sarebbe che si mettesse fine a iniziative concorrenziali fra scuole libere che richiamano spesso l’immagine tragicomica dei “polli di Renzo” di manzoniana memoria.
Alleanza per la libertà
Insomma, nella perdurante assenza dello Stato (scandalosa finché si vuole ma saldamente radicata – mi pare – nella prassi e nella convenienza politica) occorre una sussidiarietà al contrario. Mi rendo conto di avere usato la parola “sussidiarietà” in un modo paradossale ma siamo appunto in una situazione paradossale: lo Stato che riconosce il ruolo pubblico delle scuole libere, che vengono perciò chiamate paritarie, ma che poi si ostina a trattare le stesse come private. E questa assurda e ingiusta discriminazione, anziché ridursi nel tempo, aumenta e si arricchisce di sempre nuovi elementi, che sarebbe interessante documentare in altra occasione. E questa mossa occorre ora, prima che sia troppo tardi. Lo Stato arriverà, ma quando? Al tempo del terremoto nel Friuli, lo Stato non si era ancora organizzato come oggi con la protezione civile, ma la gente, la società civile non aspettò e fu la salvezza. Riconosco che ho preso come esempio un caso limite, ma credo si capisca in che modo quella logica si possa applicare alla nostra situazione relativamente alla libertà di educazione. C’è bisogno di questo popolo che, lo ripeto, si mobiliti a favore delle scuole libere come sistema. Occorre una “Alleanza per la libertà” composta dalla società civile in tutte le sue componenti e articolazioni almeno da parte di chi (maggioranza o minoranza) ha a cuore la libertà e il bene comune, perché la libertà di educazione non è un abbellimento estetico, è un fattore necessario al bene comune.
Vorrei ribadire questo concetto proponendo un paio di ulteriori considerazioni. È stato detto (e sono d’accordo) che le scuole libere, se vogliono vivere e anche prosperare, devono ripensare al valore ideale da cui sono nate e tradurlo attraverso un lavoro serio e metodico nella quotidiana attività didattica e culturale. Devono adoperarsi per migliorare la qualità della preparazione dei propri studenti. Giusto, anzi, giustissimo. Ma, a mio giudizio, non sufficiente. A uno che annaspa in acqua non basta dare consigli sul come nuotare e stare a galla: occorre un salvagente.
Sul Corriere è appena uscita la notizia di uno studio che è giunto in modo serio e preciso a calcolare in circa 10.000 euro il costo di uno studente di scuola superiore nella «gratuita» (il virgolettato è del Corriere) scuola statale. Le scuole paritarie vivono con la metà (o meno).
Cosa vuol dire questo? Che occorrono anche soldi. Vuol dire che se le scuole libere devono poter elevare la propria offerta hanno bisogno di maggiori risorse per retribuire meglio i professori, per migliorare le attrezzature, i laboratori, i servizi, l’innovazione (tutte cose che, lo so, sono un pensiero martellante nella testa di tanti gestori di scuole libere). E queste risorse non possono e non devono venire dall’aumento delle rette. A noi, ma vorrei dire al nostro paese, non interessano scuole per ricchi, interessano scuole di qualità per il popolo, ci interessa l’educazione del popolo.
Il voto conta, ma non è tutto
Una ulteriore considerazione sul tema della valutazione della qualità delle scuole. Cosa giusta e che condivido. Cosa peraltro complessa e delicata e che risulta ancora molto poco utilizzata. Del resto, forse appunto per la difficoltà di giudicare una scuola secondo la totalità dei fattori che ne fanno una buona scuola, le valutazioni oggi in circolazione (la più nota è quella della Fondazione Agnelli) si limitano a considerare i voti; parametro importante ma non l’unico e forse neppure il più importante, se è vero come è vero che le ricerche più avanzate attribuiscono alle abilità non cognitive (in lingua originale “non-cognitive skills”) un valore superiore alle abilità cognitive (“cognitive skills”), quelle appunto misurate dalla Fondazione Agnelli.
Rimandiamo ad altra sede l’approfondimento relativo a queste ricerche. È però importante osservare che un uso sconsiderato (cioè fatto senza le dovute considerazioni) di queste classifiche può portare a delle sviste clamorose nella scelta delle scuole. E lo dico soprattutto in relazione alle scuole libere. Perché giustamente devono adoperarsi per guadagnare buoni posizionamenti anche in queste classifiche e in alcuni casi riescono addirittura a occupare le prime posizioni. Ma ci sono anche scuole statali che hanno ottimi posizionamenti, a volte superiori, e anche nei confronti delle scuole libere meglio posizionate registrano punteggi sostanzialmente equivalenti. Allora, se l’unico criterio di valutazione fosse quello considerato nelle suddette classifiche, per quale motivo un genitore dovrebbe scegliere una scuola libera, visto che c’è anche una statale con pari qualità ma gratuita (e scusate se è poco)? Evidentemente c’è dell’altro.
Ci vuole un villaggio
C’è che in una scuola libera è normale fare un’esperienza di compagnia nel meraviglioso e rischioso e decisivo cammino dell’educazione. C’è un clima e una prassi di collaborazione, di corresponsabilità e di alleanza fra famiglie, docenti, studenti e popolo attorno. C’è il famoso “villaggio” che è necessario per fare educazione, come sempre ci ricorda il Papa («per educare un figlio ci vuole un villaggio»). C’è che una scuola libera nasce e si organizza tentativamente (l’esito non è mai scontato, c’è di mezzo la libertà) per fare educazione, cioè per tirare su degli uomini. Degli uomini che possano essere protagonisti di un futuro di bene per sé e per quel pezzo di mondo che Dio darà loro da coltivare e da far fiorire.
Anche il voto è importante, non come fine a se stesso ma come strumento funzionale alla crescita integrale della persona. Si misurassero anche le “non-cognitive skills” forse si otterrebbe una valutazione più rappresentativa. Ma, a costo di risultare troppo semplicistico e banale, credo che la valutazione più vera la darebbero le famiglie se fossero realmente libere di scegliere.
Inefficace e inefficiente
Per concludere mi preme ribadire che è tempo di muovere questa “alleanza per la libertà”. Ma c’è un’ultima importantissima osservazione. Questo appello a sostenere le scuole libere non è promosso dal partito delle scuole libere contro il partito delle scuole statali. L’obiettivo vero non è neppure la difesa delle scuole libere. Quando l’avessimo ottenuta potremmo ritenerci soddisfatti? Potremmo essere contenti per il fatto che in Italia vive una piccola percentuale di buone scuole libere? No. Perché il 95 per cento (o più) delle scuole del nostro paese resterebbe dentro al sistema statalista burocratico, inesorabilmente inefficace ed inefficiente, con le ovvie negative conseguenze sul presente e sul futuro nostro e dei nostri figli e nipoti. La difesa delle scuole libere è importante per rendere presente un modello che in qualche modo determini la riforma di tutto il sistema scolastico nella direzione della libertà di educazione.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!