Donne come provette, pagate per produrre figli (più sani e meno costosi) per la scienza

Di Caterina Giojelli
21 Gennaio 2020
Dozzine di messicane hanno ricevuto 1.400 dollari per venire inseminate ed espellere embrioni destinati alla ricerca. La disumanizzante frontiera dell'industria dei bambini

Altro che donne forno, donne cavie, donne galline. Il noto intellettuale libertario americano Wesley J. Smith non ci ha girato attorno e ha scritto un articolo dal titolo che riassume quasi tutto: “Gli scienziati pagano le donne messicane per rimanere incinte e abortire”. Perché? Per scoprire se gli embrioni concepiti e cresciuti in utero sono più performanti di quelli ben più “costosi” nati in laboratorio. Agli scienziati è bastato abbattere tutti i confini dell’etica e del buonsenso: creare la vita umana a scopo di sperimentazione; pagare le donne per fare figli e annientarli; trattarle alla stregua di polli allevati in batteria, sottoponendole a iperstimolazione ormonale.

A CACCIA DI EMBRIONI SANI

Il reclutamento della “materia prima” è avvenuto tra agosto 2017 e giugno 2018, presso il Punta Mita Hospital, in Messico, una clinica di Punta de Mita per la fertilità che gestisce servizi di surrogata: è qui che il genetista Santiago Munné ha condotto col suo team una ricerca per scoprire se fosse clinicamente possibile recuperare embrioni umani vivi tramite una tecnica nota come “uterine lavage” e stabilire se fossero più o meno “sani” di quelli prodotti con le tecniche della fecondazione in vitro.

DONNE POVERE E DONATORI DI SPERMA

Per farlo i ricercatori hanno selezionato, tra le iscritte all’elenco dei donatori di ovociti della clinica, 81 donne, la maggior parte delle quali provenienti dalla città messicana di Puerto Vallarta, dove il 10 per cento delle abitazioni non dispone di acqua potabile, l’8 per cento non è collegata al sistema fognario, il 4 per cento non ha elettricità. A queste donne sono stati offerti 1.400 dollari per sottoporsi a iperstimolazione ovarica, inseminazione intrauterina e firmare un consenso informato per destinare i propri embrioni alla ricerca o alla donazione. I donatori di sperma anonimi sono stati reclutati tramite pubblicità locali, anch’essi dietro compenso e rinuncia ad ogni diritto sui propri gameti.

134 EMBRIONI “LAVATI VIA”

Nel corso della sperimentazione il team ha raccolto un totale di 134 embrioni viventi, li ha “lavati” via dall’utero delle madri con il dispositivo inventato da Previvo Genetics (azienda americana che utilizza una tecnologia brevettata per facilitare la cattura di embrioni senza ricorrere alle tecniche della Fiv, sponsor della clinica dove è stata condotta la ricerca di Munné) e li ha quindi sottoposti a screening genetici, confrontandoli con quelli prodotti da 20 donne coinvolte nella ricerca per essere trattate con procedure standard in vitro.

“GRAVIDANZE CONDIVISE” DALLE LESBICHE

Risultato? Come ha spiegato Munné, i figli dell’utero sono un più sani di quelli della provetta, «ora disponiamo di un metodo in grado di produrre embrioni di buona qualità o migliori della fecondazione in vitro. Questa è la prima volta che gli embrioni umani concepiti naturalmente sono stati analizzati geneticamente per vedere se sono normali o meno. Il vantaggio è che questi embrioni sono concepiti in modo naturale, quindi non è necessaria la fecondazione in vitro per eseguire i test genetici sugli embrioni. Questo dovrebbe essere molto più economico». Non solo: oltre ad aiutare le coppie a evitare di trasmettere una malattia genetica ai loro figli, sostiene Munné in un’intervista a Npr, questo nuovo metodo «potrebbe offrire un’alternativa per le coppie lesbiche di condividere l’esperienza di avere un bambino, nel caso in cui una donna volesse concepire e l’altra portare gli embrioni. Si potrebbero fecondare in un corpo e poi trasferirli in un altro, in modo che entrambe le donne possano condividere la gravidanza».

NUOVE DONNE «COME CAPSULE DI PETRI» E ABORTI

Tutto a posto? Neanche per sogno. Laurie Zoloth, bioeticista dell’Università di Chicago, ha definito «profondamente inquietante» la ricerca che ha ridotto il corpo della donna «a una capsula di Petri». Non c’è nulla di etico, secondo Zoloth, nel massacrare di iniezioni di ormoni il corpo di una donna, esponendola a rischio di gravi effetti collaterali, per poi sottoporla a inseminazione artificiale da partner diversi dal proprio e quindi interromperne la gravidanza. Non solo, non tutti gli embrioni sono stati recuperati durante la sperimentazione: alcune donne hanno pertanto dovuto interrompere la gravidanza subendo procedure di aborto farmacologico o chirurgico.

EMBRIONI PAGATI COME DUE MENSILITÀ

Nonostante il parere di medici come Catherine Racowsky, embriologa e professore di ostetricia e ginecologia presso la Harvard Medical School che ha magnificato il lavoro «ben fatto» di Munné pensando a tutte quelle «coppie che cercano di completare le loro famiglie a prezzi più bassi», molti esperti concordano con Zoloth. Il professor CB Lambalk, direttore di Human Reproduction, ha deciso di pubblicare lo studio del team di Munné solo dopo aver verificato che la ricerca fosse stata sottoposta a revisione approfondita, corredandola con un editoriale e un commento che sollevasse preoccupazioni etiche: è eticamente accettabile – si sono chiesti a Human Reproduction – offrire a persone che partecipano a uno studio che non offre loro alcun vantaggio (e che in effetti potrebbe essere potenzialmente dannoso) una sostanziale compensazione finanziaria? «In Messico, 1.400 dollari equivalgono a un salario di 71 giorni lavorativi. In queste condizioni, i partecipanti erano abbastanza liberi per fare una scelta ben ponderata?».

GRAVIDANZE E CONGELATORI

«Non vi è alcuna differenza tra un ciclo di donazione di ovuli e ciò che abbiamo fatto qui», ha ribattuto Munné ricordando non solo che il suo studio è stato ampiamente rivisto e approvato dal Ministero della Salute dello Stato di Nayarit, in Messico, e dal Western Institutional Review Board negli Stati Uniti («abbiamo superato tutti i controlli dei comitati etici»). Ma anche che le donne erano pienamente informate sui rischi e pertanto remunerate, proprio come negli Stati Uniti vengono remunerati i donatori di gameti. Gli embrioni prodotti dal suo studio, ha annunciato infine, sono già stati utilizzate per “creare” almeno cinque gravidanze e tre bambini in salute, mentre gli altri sono già stati infilati nei congelatori pronti per aiutare coppie con problemi di infertilità.

CONCEZIONE SURROGATA E CONTROLLO QUALITÀ

Ovviamente nessuna voce critica si è alzata per affrontare il tema dei feti abortiti e degli embrioni scartati per la riuscita della ricerca. Come ha scritto solo Wesley J. Smith, l’idea qui è spianare una nuova strada per l’industria della fertilità «in cui le donne saranno pagate per produrre in serie embrioni all’interno dei loro corpi – concezione surrogata, chiamiamola così – che verranno poi eliminati in laboratorio. Successivamente, gli embrioni saranno sottoposti a procedure di controllo di qualità – che probabilmente includeranno la selezione di genere. Quelli che passeranno il controllo di qualità verranno impiantati nel corpo delle donne che vogliono partorire o che si candidano a fare le surrogate “portatrici gestazionali”, nel linguaggio disumanizzante del settore. E tutto per grandi soldi».F

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