
Dopo il Prof, un paese da rifondare
Attenti, la variabile fuori controllo della magistratura non ha affatto esaurito la sua dose di sviluppi imprevisti. Se alla fine la caduta di Prodi si deve alle iniziative della magistratura campana, e per la prima volta all’inaugurazione dell’anno giudiziario il premier ormai dimissionato non si è trattenuto dal pronunciare anch’egli parole critiche, nuovi colpi sono annunciati. Su Berlusconi, naturalmente, per via del caso Mills. Ma magari anche sulla successione a Luca Cordero di Montezemolo in Confindustria, visto che si vocifera di provvedimenti relativi al fratello e al padre di Emma Marcegaglia. Su questo tema, 15 anni di travagliata vita politica italiana non sono riusciti a mettere un punto fermo. E temo non verrà messo neanche nel prossimo futuro. Anche nel caso – auspicabile – di elezioni anticipate. E nemmeno se le vincerà il centrodestra guidato da Berlusconi. Tanto è vero che nella sua prima uscita da campagna elettorale, Berlusconi ha annunciato nei primi provvedimenti da assumere in caso di vittoria elettorale una stretta sull’autorizzazione e sulla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, non certo la ripresa della riforma dell’ordinamento giudiziario.
Maledizione alla bozza Boato, che concluse i lavori di uno dei quattro gruppi di lavoro della bicamerale presieduta da D’Alema, determinando una tale insurrezione da parte delle toghe che da allora ogni atto politico di convergenza bipartisan sul tema è risultato bandito da ogni agenda possibile. La maledizione della giustizia intoccabile – e per molti versi ormai impazzita, visto che dall’Anm escono le Forleo come le Boccassini come i De Magistris – pesa in realtà su ogni reale prospettiva di convergenza bipartisan per la riforma costituzionale. Dice Giulio Tremonti che il vero governo di convergenza per le riforme non può che nascere dopo il voto politico anticipato, come in Germania, Austria, Belgio e Olanda. Razionalmente, il suo discorso ha molti argomenti. La grande coalizione rafforza il governo e la decisionalità politica, indebolisce i contrasti sociali e territoriali nel paese. E, sempre razionalmente, neanche nel caso di una straordinaria vittoria elettorale del centrodestra esso potrebbe ottenere quella maggioranza parlamentare dei due terzi che è necessaria per una seria riforma della forma di governo e della forma di Stato, coerente a una qualunque ipotesi di riforma elettorale che non dimentichi che il vero problema è la governabilità e il federalismo.
In realtà, solo se Berlusconi vincesse e non governasse in prima persona, facendo un passo indietro, sarebbe ipotizzabile un governo basato su un’agenda di convergenza, alla quale il centrosinistra non riservasse un immediato, scontatissimo no. Oppure, al contrario, solo se Berlusconi escludesse le riforme dalla sua agenda, consegnandole a un’iniziativa parlamentare ad hoc a tempo determinato, potrebbe coesistere la proposta di Tremonti con quella dello scontro bipolare e tendenzialmente bipartitico. È ancora troppo presto, per ragionarci seriamente. Ma in ogni caso 14 anni di scontri istituzionalmente irrisolti chiedono anche al centrodestra potenzialmente di nuovo vittorioso di non commettere l’errore di ripetere lo schema del 2001. Non si tratta di puntare le carte su chi sarà il delfino a tavolino di Berlusconi. È il momento giusto perché nel centrodestra chi ha idee e seguito, e ha continuato a lavorare bene anche negli ultimi due anni, quando il centrosinistra ha creduto di poter avviare un nuovo ciclo ben sostenuto da banche e grandi giornali, le giochi sul tavolo, in libertà e rischiando. A cominciare da Roberto Formigoni.
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