Le potenziali minacce per l’economia italiana che arrivano dall’Europa

La sospensione del programma di acquisto emergenziale di titoli, la normalizzazione della politica monetaria e le incognite del Green deal. Intervista all'economista Domenico Lombardi

Christine Lagarde e Mario Draghi (foto Ansa)

C’è un’incognita che in prospettiva interroga gli osservatori più attenti relativamente alla situazione dell’economia europea e dell’Italia in particolare. E non è l’aumento dei contagi a costituire elemento di sfida nell’attuale congiuntura.

Basta acquisto emergenziale di titoli

«L’economia dell’area euro continua a crescere con forza», ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde nella conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo che si è tenuto il 28 ottobre a Francoforte. Ma ha anche reso noto che «il Pepp si concluderà a fine marzo 2022». E lo ha detto «pungolata dai giornalisti», fa notare a Tempi Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, dunque non certo seguendo la traccia, preparata da lei o dal suo staff, nell’ambito del suo intervento.

Il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme) è il programma di acquisto emergenziale di titoli per far fronte alla crisi innescata dalla pandemia di cui l’Italia «ha finora beneficiato in modo significativo», ricorda Lombardi. Roma ha potuto infatti fare affidamento sull’«acquisto, da parte della Bce, sul mercato secondario, di un volume di titoli di stato per un importo pari circa al suo deficit pubblico, dell’anno scorso e anche di quest’anno». L’attesa, sostiene l’economista, «era che il Consiglio direttivo della Bce sarebbe intervenuto entro fine anno con delle linee guida sul futuro del Pepp, invece, con due mesi di anticipo, abbiamo appreso della sua prossima cessazione».

Il dibattito sul Patto di stabilità

Da questo inatteso episodio Lombardi deduce che, nel Consiglio direttivo, ci sia già «una maggioranza a favore, non solo della cessazione del Pepp, ma anche della normalizzazione della politica monetaria europea». Questo significa «condizioni di rifinanziamento del debito più onerose per l’Italia (infatti lo spread ha già ripreso a crescere) e quindi maggiori pressioni sul deficit: aumentando la spesa per interessi, crescono le pressioni sul bilancio pubblico».

Parallelamente va considerato, ad avviso di Lombardi, che, sempre in sede europea, «si è aperto il dibattito sul Patto di stabilità, congelato a inizio pandemia ma che dovrebbe essere reintrodotto già dal 2023». E non è chiaro come lo strumento con il quale i governi europei controllano politiche pubbliche e di bilancio «subirà revisioni né se saranno sostanziali o di facciata».

Perché questo scenario costituisca una potenziale minaccia per l’economia italiana e quelle di altri stati membri che sono alle prese con un’auspicata ripartenza è presto detto. L’Unione europea infatti, prosegue il ragionamento Lombardi, si sta apprestando a finanziare «una serie di investimenti, già concordati in sede comunitaria, da destinare alla transizione ecologica e digitale che potrebbero avere un effetto benefico e favorevole». Ma chi, come noi, «sta già beneficiando in misura massiccia delle risorse del Recovery fund e di Next Generation Eu, avrà bisogno di poter ricorrere a un deficit più ampio di quanto previsto, per esempio, proprio dal Patto di stabilità». È vero che Lagarde, in quell’occasione, ha anche aggiunto che «la Bce ha dimostrato di poter avere margini di flessibilità nell’acquistare debito», ma i timori restano.

Alla lunga Draghi non basterà

Come se non bastasse poi, oltre all’«affievolirsi del sostegno della Bce» e alla «possibilità che il Patto di stabilità venga reintrodotto senza riforme sostanziali» (fatto che già ci penalizza in quanto «Paese ad alto debito e con un’economia vulnerabile»), c’è un terzo elemento che contribuisce ad alimentare le preoccupazioni relativamente allo stato di salute dell’economia italiana e del bilancio pubblico.

Si tratta – e questo Lombardi lo aveva già messo in luce nell’intervista su Tempi di agosto – del rischio che, per effetto degli impegni presi con il Green Deal, che mira a ridurre sensibilmente le emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e a rendere l’Europa entro il 2050 primo continente climaticamente neutro, le imprese si trovino a dover fronteggiare una grave asimmetria nella concorrenza con Paesi come la Cina che questo impegno non vogliono assumerlo. Fatto che, peraltro, è parso evidente durante i recenti lavori del G20 e della Cop26.

Un’ultima considerazione Lombardi la offre in merito al ruolo di garante che spesso è stato cucito sulla figura del presidente del Consiglio Mario Draghi agli occhi di Bruxelles: «La credibilità delle persone è senza dubbio un fattore importante, anche per i mercati, ma alla lunga deve essere sostenuta da azioni concrete. Draghi è certamente in grado di fare una sintesi di tutti questi elementi di criticità e di porli all’attenzione dell’agenda europea; ma poi, ci deve essere, anche in quelle sedi, qualcuno che decida di affrontarli con azioni correttive, forte del mandato politico che la sua maggioranza gli offre oppure no».

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