La preghiera del mattino

Ma cosa si aspettavano Draghi e Mattarella da questo Parlamento allo sbando?

Mario Draghi e Sergio Mattarella
Il presidente del Consiglio Mario Draghi con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Ansa)

Su Dagospia si riporta un articolo sulla Stampa di Federico Capurso in cui si scrive: «Il Cdm viene sospeso, il nervosismo rimane, ma Giovannini riceve anche qualche pacca sulla spalla. Nel governo sono in tanti, ormai, a sbuffare per il metodo Draghi: “I decreti non vengono mai condivisi per tempo”. Finora protestavano i ministri “politici”. Ora iniziano i “tecnici”. E non li si può nemmeno accusare di aver iniziato la campagna elettorale».
Per abolire la politica non bastano i corazzieri e tanto meno “i tecnici”, ci vogliono battaglioni e battaglioni di poliziotti, soldati, carabinieri: gli equilibrismi di Sergio Mattarella, in parte – ma solo in molto relativa parte – giustificati dalla pandemia, hanno imbalsamato il sistema democratico italiano, ma non hanno potuto sostituirlo.

Su Formiche Luigi Tivelli scrive: «Dopo l’importante discorso d’insediamento davanti alle Camere riunite del presidente Sergio Mattarella vari esponenti politici hanno cominciato a parlare di una “agenda Mattarella” e si attende a breve una sessione parlamentare, a cominciare dalla Camera, dedicata alla sua attuazione».
Tivelli evoca una realtà che non esiste: Mattarella esce dalla rielezione più debole, perché ha smentito l’impegno che aveva solennemente preso di fronte alla nazione di non essere rieletto e perché ormai è evidente come il nostro marasma istituzionale dipenda dalla scelta mattarelliana di non sciogliere un Parlamento allo sbando nelle due o tre occasioni in cui ciò era necessario. Né l’altro corno del “dream team” fantasticamente evocato dai cantori del caos italiano, cioè un Mario Draghi sfiduciato dai partiti che non l’hanno voluto al Quirinale, funziona meglio del “rieletto”.

Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «Il campanello d’allarme suona a metà pomeriggio, quando Mario Draghi pianta in asso il vertice Ue-Africa a Parigi, mette il suo discorso nelle mani di Emmanuel Macron, prende l’aereo e corre a Roma. Qui dapprima sale al Quirinale e poi incontra i capi delegazione dei partiti della maggioranza di governo per strigliarli sul loro comportamento della notte precedente. Nella nottata delle scappatelle il governo è andato sotto quattro volte in commissione su emendamenti al decreto Milleproroghe, che il giorno prima era stato votato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. Un giorno tutti d’accordo, il giorno dopo tutti per conto loro: “Così non si va avanti”, ha protestato il premier secondo le veline di Palazzo Chigi».
Invece che lamentarsi, Draghi dovrebbe prendere coscienza di aver a che fare, grazie a Mattarella, con un Parlamento allo sbando e definire una strategia che tenga conto di questa situazione di fatto.

Su Open si riporta questa frase di Mario Draghi: «Se dobbiamo fare un anno di campagna elettorale, allora tanto vale dirlo chiaramente: abbiamo scherzato. Tanto vale prenderne atto».
Che cosa vuole il presidente del Consiglio: abolire le elezioni del 2023? Ha abbastanza divisioni a sua disposizione?

Su Huffington Post Italia Alessandro De Angelis scrive: «In un clima da crisi strisciante il premier va da Mattarella e poi convoca i capi delegazione. Ma i partiti tra la fedeltà al governo e quella ai propri mondi votanti di riferimento sceglieranno i propri mondi».
Se Draghi e Mattarella avessero un approccio realistico alla situazione italiana, che tenesse conto di osservazioni tipo questa di De Angelis, l’Italia ne guadagnerebbe molto.

Su Affaritaliani si riporta questa frase di Mario Draghi: «Ci sono delicate questioni internazionali».
Le delicate questioni internazionali valgono anche per la Francia, ma lì nessuno si sogna di interrompere la campagna per le presidenziali. Tra le “delicate questioni internazionali” peraltro c’è anche un blog del leader carismatico dei  5stelle (il movimento a cui appartiene il ministro degli Esteri) in cui si scrive che bisogna contrastare l’egemonismo americano contando su quello cinese. Non aver sciolto il Parlamento quando era necessario sia nel 2018 sia nel 2019 ha regalato mostruosità politiche di questo genere.

Su Affaritaliani si scrive: «La maggioranza si spacca durante l’esame degli emendamenti al dl Milleproroghe in commissione alla Camera. La Lega e Forza Italia votano con FdI una retromarcia sul contante: il tetto che dallo scorso primo gennaio è sceso a mille euro torna ora per un anno a duemila euro. La modifica sposta infatti l’entrata in vigore della soglia più bassa dal primo gennaio 2022 al primo gennaio 2023. La modifica è passata, secondo quanto viene riferito, per un solo voto con il parere contrario del governo».
Adesso si cercherà di mettere qualche cerotto alla situazione, ma la questione irrisolvibile è quella “elettorale”: si voterà in primavera, si voterà nel 2023. Nessun partito sceglierà di suicidarsi. In realtà l’unica soluzione è selezionare le questioni di assoluta emergenza, approvare entro marzo il Def, trovare accordi bipartisan per gestirle, rimandare a quando ritornerà un Parlamento legittimato le questioni controverse (trovando accordi bipartisan per contenere le conseguenze delle divisioni sui rapporti con l’Europa) e andare a votare a giugno.

Su Atlantico quotidiano William Zanellato scrive: «È importante, per tutti i partiti italiani, delineare un’agenda per le prossime elezioni, determinare con chiarezza le proprie posizioni e instaurare un rapporto di reciproca fiducia con l’elettorato. Dimostrandosi all’altezza di riprendere in mano la guida del paese. Il commissariamento della politica, di cui si lamentano, lo devono contrastare in primo luogo i partiti, non favorirlo».
Ecco una riflessione piena di buon senso.

Su Formiche Corrado Ocone scrive: «Ma è pur vero che queste dovrebbero essere superate per cominciare a costruire una futura maggioranza di governo, e prima ancora per vincere le elezioni. Ora, è proprio questa volontà che sembra mancare, in verità soprattutto da parte del partito di Fratelli d’Italia, fra l’altro premiato da una politica di opposizione al governo che lo fa naturale ricettacolo di tutti gli umori protestatari e di tutti i disagi che percorrono in questo momento la società italiana».
Comprendo e condivido il fastidio di Ocone per una Meloni che antepone costantemente la tattica e la propaganda alla strategia e a una visione generale per l’Italia fondata su un’analisi e non su slogan. Però il grande errore nei tempi recenti è stato commesso da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini che non hanno voluto Mario Draghi al Quirinale e che non hanno messo in agenda l’unico rimedio per un Parlamento allo sbando: le elezioni anticipate.

Su Startmag Marco Dell’Aguzzo scrive: «Le precisazioni del ministro Giorgetti al Sole 24 Ore (“non è così scontato e non è così obbligato per [Stellantis]” investire in Italia) lasciano tuttavia immaginare una situazione meno positiva di quella dipinta da Pichetto. Tanto più che Carmine Fotina, il giornalista del quotidiano che ha condotto l’intervista al ministro, fa notare come Stellantis abbia rimborsato “con un anno di anticipo” il prestito che le era stato garantito da Sace, la società statale di assicurazione del credito. Con il rimborso del prestito vengono meno gli impegni di Stellantis per il mantenimento della produzione in Italia».
Un certo establishment un tempo molto afFIATato e ora particolarmente sFIATato si è dato da fare per impedire l’ascesa di Draghi al Quirinale. Chi pensava che lo facesse per difendere interessi nazionali, si rende conto, anche leggendo le note che su si riportano, che quello non era l’obiettivo. Ecco un altro motivo per cui riavere un Parlamento rilegittimato, è questione della massima urgenza.

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